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Attualità

Con il ruling internazionale rapidità e certezza fanno la differenza

La nuova procedura di interpello è stata introdotta nell’ordinamento tributario dall’articolo 8 del decreto legge 269 del 2003

La finalità del nuovo strumento è prevenire possibili conflitti tra Amministrazione finanziaria e imprese con attività internazionale contribuendo a rendere più immediata e certa la quantificazione del debito tributario. L’articolo 8 del decreto legge 269 del 2003 ha introdotto nel nostro ordinamento tributario una nuova procedura di interpello, il ruling internazionale, riservata, in via principale, ai soggetti attratti dalla disciplina di cui all’articolo 110, comma 7 del Tuir, ai sensi del quale "I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti (…) se ne deriva aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali ‘procedure amichevoli’ previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi".

Il ruolo del contraddittorio
Nell’istanza di accesso alla procedura (gli uffici competenti a ricevere le istanze sono quelli di Roma e Milano), il contribuente interessato a definire in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria i criteri di calcolo del valore normale delle operazioni ricadenti nel regime dei prezzi di trasferimento, deve: fornire indicazioni dettagliate sui beni o servizi oggetto delle operazioni infragruppo; indicare le ragioni per le quali il rapporto intercorrente tra l’impresa residente e la società estera ricade nell’ambito di applicabilità dell’articolo 110, comma 7; prospettare il comportamento che intende adottare in ordine al metodo di determinazione del valore normale, indicando le ragioni per cui si ritiene che lo stesso sia conforme alla legge. Verificata l’ammissibilità dell’istanza, il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate formula un invito a comparire, instaurando così la fase del contraddittorio. La procedura si conclude con un accordo che vincola le parti per l’anno in cui è stato sottoscritto e per i due successivi, inibendo all’Amministrazione finanziaria l’esercizio del potere di accertamento sulle questioni oggetto dell’accordo medesimo.

Gli obiettivi del ruling
Le finalità dell’istituto, peraltro specificate nella relazione di accompagnamento al decreto legge 269 del 2003, appaiono evidenti: il ruling che occupa dovrebbe infatti costituire un valido strumento atto a prevenire possibili conflitti tra l’Amministrazione finanziaria e le imprese con attività internazionale. La procedura di interpello prevista dall’articolo 8, comma 1 del decreto legge 269 del 2003 è assimilabile a un Advance Pricing Agreement (Apa), oggetto di uno specifico Report Ocse datato 1995. Nella sostanza, un Apa si configura come un accordo tra contribuente e una o più Amministrazioni fiscali, e mira a fissare i criteri base per la determinazione dei prezzi di trasferimento applicabili a specifiche transazioni nel corso di un prefissato periodo di tempo.

Le tipologie di Apa
Un Apa può coinvolgere una o più Amministrazioni fiscali, così qualificandosi come unilaterale o multilaterale. In quest’ultimo caso, l’accordo sarà sottoscritto tra contribuente e Amministrazioni fiscali di due o più Stati, eliminando, o, per lo meno, attenuando, i rischi connessi al verificarsi di fenomeni di doppia imposizione. Essendo tuttavia il ruling internazionale di recente introdotto nel nostro ordinamento ascrivibile alla categoria dell’Apa unilaterale, non può escludersi che la sua pratica applicazione possa attrarre a tassazione materia imponibile altrove già assoggettata ad imposta (in caso di Apa unilaterale, infatti, l’Amministrazione dello Stato estero in cui hanno sede le controparti interessate rimane libera di non adeguarsi all’accordo). È bene ricordare che, per limitare l’insorgere dei descritti effetti distorsivi, gli Stati membri dell’Unione europea hanno stipulato una apposita Convenzione multilaterale, ratificata dall’Italia con la legge n° 99 del 1993. Nello specifico, l’accordo prevede che: l’impresa interessata all’eliminazione della doppia imposizione informi la competente autorità dello Stato nel quale risiede; quest’ultima, qualora reputi fondata la questione, si attivi presso la corrispondente autorità dell’altro Stato per tentare di regolare in via amichevole il caso; ove le autorità non raggiungano un accordo, il caso sia sottoposto al vaglio di una Commissione consultiva; tale Commissione sia chiamata ad esprimere un parere tecnico in ordine alle modalità di eliminazione della doppia imposizione; entro sei mesi dalla data in cui viene reso il parere, le autorità debbano raggiungere un accordo; se non lo raggiungono, debbano adeguarsi al parere reso dalla Commissione.

Gli altri interventi
Al di fuori dell’ambito Ue, l’insorgere di fenomeni di doppia imposizione può essere limitato soltanto attraverso la stipula, da parte degli Stati interessati, di apposite convenzioni, che, se elaborate secondo il Modello Ocse, possono prevedere un doppio strumento di intervento: la ‘procedura amichevole’, la cui efficacia rimane però subordinata all’effettiva volontà delle autorità degli Stati contraenti di addivenire alla regolazione del caso in via amichevole; il ‘correlative adjustment’, che impone allo Stato che abbia beneficiato del trasferimento di materia imponibile realizzato attraverso manovre di transfer pricing l’obbligo di effettuare le opportune correzioni. Importante sottolineare come tale procedura si trovi assai di rado riprodotta nelle vigenti convenzioni internazionali contro la doppia imposizione.
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