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Attualità

Scissione parziale e scorporo di un contratto di lease-back Parere favorevole con rituale clausola di salvaguardia

Parere n. 32 deliberato il 9 dicembre 2004

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MASSIMA: l'operazione di scissione parziale e proporzionale, di per sé considerata, non presenta profili di elusività qualora non venga utilizzata strumentalmente all'interno di un più ampio disegno unitario, volto a conseguire un indebito risparmio d'imposta e in assenza di valide ragioni economiche. La circostanza che la società beneficiaria concederà in locazione a prezzi di mercato gli immobili acquisiti dalla scissa e subaffitterà alla scissa l'immobile detenuto per effetto dello scorporo - contestuale alla scissione - del contratto di lease-back, non sembra generare alcun illecito risparmio d'imposta dal momento che i canoni costituenti costi per la società scissa originaria saranno, correlativamente, componenti positivi di reddito per la società beneficiaria neocostituita.

La pronuncia in commento ha per oggetto il trattamento fiscale relativo a una operazione di scissione parziale e scorporo di un contratto di lease-back.
Il Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, nella seduta del 9 dicembre 2004, ha emesso un parere favorevole, suggellato dalla rituale clausola di salvaguardia (necessaria, nel caso di operazioni di tale natura, a elevato potenziale prospettico elusivo anche perché strutturate attraverso una serialità di atti posti in essere nel tempo).

Snoccioliamo il caso attraverso l'esposizione resa dall'interpellante, una società operativa nella produzione di pompe per l'industria alimentare e farmaceutica, per l'esercizio della quale si avvale di un cospicuo patrimonio immobiliare.
In ossequio alla necessità di reperire i mezzi finanziari per i futuri investimenti e nuove iniziative produttive, la richiedente intenderebbe realizzare un'operazione di lease-back riguardante uno dei cespiti immobiliari in uso attualmente, deducendo fiscalmente i canoni di locazione finanziaria addebitata a norma dell'articolo 102, settimo comma, del nuovo Tuir.
In un momento successivo verrebbe attuata una scissione parziale, con scorporo del patrimonio immobiliare e del contratto in corso di lease-back, con costituzione ex-novo di una società "beneficiaria" - che svolgerebbe esclusivamente attività di locazione di beni immobili propri o assunti in leasing - la quale affitterebbe il patrimonio immobiliare medesimo alla "scissa" e, sempre a quest'ultima, subaffitterebbe l'immobile condotto in lease-back.

La società istante precisa, supportando documentalmente le proprie asserzioni, di non avere alcuna preclusione a un facile accesso al credito bancario (onde fugare ogni sospetto sulla possibile capziosa strumentalizzazione della prospettata riorganizzazione in funzione della costituzione di una illecita garanzia patrimoniale nei confronti dell'istituto bancario concedente) e offre un vasto repertorio di motivazioni, assumibili come "valide ragioni economiche" richieste dalla normativa antielusiva (articolo 37-bis, Dpr n. 600/73), a sostegno della non elusività del progetto.

Come più volte evidenziato per omologhe fattispecie, tassativamente indicate dal legislatore come potenzialmente elusive nel comma 3 dell'articolo 37-bis del Dpr n. 600/73 citato (trasformazioni, fusioni, conferimenti in società, cessioni di crediti, cessioni di eccedenze d'imposta), l'opponibilità all'Amministrazione Finanziaria è, ai sensi del comma 1, legata alla contestuale compresenza delle seguenti condizioni:

  1. esistenza di valide ragioni economiche, oggettivamente e plausibilmente, ricercabili nell'apprezzabilità economico-gestionale dei fattori causali che determinano la volontà realizzativa del progetto
  2. non proiettabilità della scelta progettuale, anche solo in via indiretta e mediata, verso vantaggi fiscali indebiti, ovvero verso la violazione delle norme tributarie.

Nel caso che si commenta il contribuente, come si è detto, adduce molteplici elementi giustificativi precisando che, con la realizzazione del disegno, i soci fondatori:

  1. si prefiggono di conservare la proprietà degli immobili al fine di renderne accessibile la compagine sociale a figli, dipendenti o terzi, limitando il più possibile l'esborso monetario dei soggetti da ultimo menzionati
  2. di svolgere una attività immobiliare diversa, anche sotto l'aspetto gestionale, da quella di produzione di pompe escludendo, in tal modo, il patrimonio immobiliare dal rischio d'impresa
  3. aumenterebbero la redditività del capitale investito attraverso una ponderabile riduzione dello stesso relativamente alla componente immobiliare anche nella prospettiva di una eventuale, ma possibile, cessione del controllo della società (ciò in quanto gli investitori finanziari non sarebbero interessati al patrimonio immobiliare).

Il caso esposto suggerisce qualche elemento di riflessione.
Si è detto che l'interpellante intenderebbe stipulare un contratto di lease-back avente come oggetto uno degli immobili utilizzati per lo svolgimento delle proprie attività, che sarebbe, successivamente alla realizzazione della scissione parziale, ceduto alla beneficiaria, la quale, a sua volta, subaffitterebbe l'immobile in lease-back alla scissa.
La fattispecie integra lo schema negoziale tipico del lease-back, contratto mediante il quale il proprietario di un bene lo cede a un'impresa finanziaria che lo retrocede (back) contestualmente, in locazione finanziaria, all'originario contraente dietro corresponsione di canoni contenuti e con facoltà di riacquistare, allo scadere del termine di durata del contratto, la proprietà del bene venduto versando il prezzo concordato per l'eventuale riscatto.

Della natura di tale tipologia contrattuale si è occupato anche il Supremo giudice di legittimità, il quale, con la sentenza n. 9944 del 28 luglio 2000, ha affermato che il lease-back presenta l'autonomia strutturale e funzionale di un contratto atipico, di per sé non riconducibile a una alienazione a scopo di garanzia (censurata dall'ordinamento come illecita) sebbene passibile, come qualunque negozio, di un utilizzo illegittimo qualora, in particolare, sconfini in palese violazione o mera elusione del divieto di patto commissario (ex articolo 2744 c.c.), sanzionabile anche dall'ordinamento tributario (circolare n. 218/E del 30 novembre 2000).

Nella medesima pronuncia la Corte di cassazione, inoltre, sostiene che il contratto di lease-back ha in comune con il leasing la "causa" (finanziamento) che ne giustifica l'uniforme trattamento giuridico-tributario, a nulla rilevando, sull'articolazione della fattispecie, il fatto che l'impresa procede al riacquisto di un bene in precedenza venduto alla società di leasing anziché all'acquisto di bene fornito da un terzo (ipotesi che non può giustificare l'applicazione di una disciplina diversa, neppure agli effetti tributari).
Tale interpretazione legittima l'impresa utilizzatrice a dare evidenza ai canoni periodici come componenti negativi di reddito, deducibili a norma dell'articolo 109 del Tuir, nel rispetto delle condizioni dettate dall'articolo 102, comma 7, del Tuir (nel caso di bene immobile, il leasing deve avere una durata minima di otto anni) e, contestualmente, a portare in detrazione (ex articolo 19 del Dpr n. 633/72) l'Iva assolta sui detti canoni.

Una volta posta in essere la scissione parziale, con l'attribuzione del contratto di lease-back alla beneficiaria di nuova costituzione, è evidente che quest'ultima subentrerà nella posizione fiscale propria della scissa.
L'operazione di scissione, poi, essendo, a norma dell'articolo 173, comma 1, del Tuir, fiscalmente neutrale (dal momento che essa non dà luogo a realizzo ovvero a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni alla scissa), non è fisiologicamente elusiva ma è atta a diventarlo qualora venga utilizzata strumentalmente per realizzare le finalità censurate dal già citato articolo 37-bis del Dpr n. 600/73 e non appaia economicamente giustificata.

Il Comitato consultivo ritiene che le ragioni economiche addotte dall'istante siano condivisibili in quanto fondate sulla oggettiva esigenza economico-gestionale di scindere attività diverse al fine di razionalizzare, snellendola, l'attività produttiva e di coinvolgere eventuali soggetti terzi interessati a convenire ad alleanze di tipo strategico.
Nella scissione proporzionale, inoltre, i soci ricevono azioni o quote della società beneficiaria nella stessa composizione percentuale detenuta presso la scissa e ciò è sufficiente a sfatare ogni supposizione su precostituibili arricchimenti di alcuni soci a danno di altri (fondatamente plausibile in caso di scissione di tipo non proporzionale).

Un altro contributo ad allontanare ulteriori elementi di sospettosità elusiva è la volontà del contribuente di non vulnerare il patrimonio sociale della scissa con alcun depotenziamento rispetto all'antecedente regime giuridico-patrimoniale, dal momento che i beni non verrebbero sottratti al regime d'impresa, ma manterrebbero latenti i relativi plusvalori che concorreranno al reddito secondo le regole vigenti al momento in cui verranno ceduti o assegnati ai soci.

Qualora la società non assumesse gli impegni dichiarati, il progetto di scissione parziale farebbe sorgere dubbi sul suo possibile utilizzo che lo attrarrebbe nell'ambito d'applicazione dell'articolo 37-bis del Dpr n. 600/73.
In particolare, sarebbe ipotizzabile una realizzazione in funzione di una successiva cessione a terzi delle quote di partecipazione nella beneficiaria, spostando così la tassazione dei beni di primo grado (immobili) a quelli di secondo grado (partecipazioni) nell'intento di lucrare un risparmio fiscale, da qualificarsi indebito perché percepito attraverso un voluto aggiramento delle norme sulle plusvalenze.
O ancora - sempre riferendoci a situazioni a elevato indice di possibilità realizzativa - un utilizzo elusivo potrebbe manifestarsi nel caso in cui la costituzione della beneficiaria assumesse il ruolo di società "contenitore", perché tale circostanza metterebbe a nudo il vero intento della scissione: svuotare la società istante dei beni immobili prima della cessione del controllo, ottenendo l'evidente vantaggio d'imposta derivante dal rinvio della tassazione delle plusvalenze latenti relative ai beni strumentali assegnati alla società che funge da contenitore.

Le due ipotesi appena illustrate non sembrano prefigurabili nella fattispecie in esame (di per sé non elusiva) a meno che - in sede accertativa - essa non si palesi come parte di una concatenazione di atti, che comporti una successiva censura di elusività, derivante dall'essere il segmento di un disegno organizzativo più vasto.
In sostanza, la potenziale attitudine a un uso distorto dello strumento negoziale della scissione deve essere valutata alla luce dell'intero comportamento tenuto dai contribuenti, perché l'elusione, in genere, non è circoscrivibile a un solo atto, ma esprime la propria significatività in una sequenza di atti, geneticamente riconducibili a un'unica volontà realizzativa.

Nel caso in esame, una volontà eventuale, attuata attraverso un comportamento più complesso di quello manifestato attraverso l'unico atto di scissione, non sembra riscontrabile, in considerazione dello scopo economico perseguito dalle parti, per il cui raggiungimento la scissione parziale proporzionale rappresenta piuttosto il naturale strumento di attuazione.
La conclusione cui giunge il Comitato consultivo non esclude, come di rito, la non sottacibile prospettiva del verificarsi di atti o operazioni, riconducibili fisiologicamente alla scissione, che possano snaturare le finalità dichiarate, imponendo una diversa valutazione del disegno, che sarebbe da qualificare come elusivo perché strumentale al perseguimento di obiettivi (in particolare, il trasferimento delle partecipazioni societarie) non coerenti con la dichiarata volontà di suddividere il patrimonio della scissa per gestire separatamente l'attività operativa da quella di amministrazione del patrimonio immobiliare.

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