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Attualità

Il silenzio della P.A. dopo le modifiche alla legge 241/90 - 1

Premessa e rilievi comparatistici. Fenomenologia dei tipi di inerzia provvedimentale Il silenzio inadempimento: cenni di analisi storica ed evoluzione normativa e giurisprudenziale dell'istituto

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Premessa e rilievi comparatistici
Il legislatore, in particolare con l'articolo 2 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, ha previsto che l'Amministrazione non possa mai rimanere inerte non solo dinanzi ai procedimenti a iniziativa del cittadino, ma anche a quelli cui essa stessa dà avvio, quando cioè il procedimento comincia d'iniziativa d'ufficio. L'articolo 2 della legge 241/90 è in questo senso una diretta attuazione del principio costituzionale di correttezza e buon andamento dell'azione amministrativa della P.A., statuito dall'articolo 97 della Costituzione.

La recente giurisprudenza, inoltre (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6531), ha ritenuto che l'obbligo di provvedere sull'istanza del privato sussiste non soltanto quando tale obbligo sia espressamente previsto, ma anche quando dai fatti segnalati dal privato - ove accertati - derivi ex lege un comportamento dovuto a carico dell'Amministrazione (come, ad esempio, in caso di segnalazione di abusi edilizi), e sempre che rispetto a tale comportamento dovuto sia ipotizzabile un interesse dell'istante.
L'obbligo di provvedere dell'Amministrazione a sua volta presuppone che l'istanza del richiedente sia rivolta a ottenere un provvedimento cui questi abbia un diretto interesse, e che essa non appaia subito irragionevole ovvero risulti all'evidenza infondata.

Il tema è generalmente presente anche nel panorama legislativo europeo. In particolare, nella legge sul procedimento amministrativo del 25 maggio 1976 della Repubblica federale tedesca, in Francia nella legge 11 luglio 1979 (confermata dalla legge 17 gennaio 1986) e in Spagna nella nuova legge sul procedimento amministrativo del 26 novembre 1992.
Anche l'Unione europea, nel Trattato per la Costituzione europea siglato a Roma il 29 ottobre 2004, all'articolo 101, comma 1, sancisce chiaramente che ogni persona ha diritto che le questioni che la riguardino siano trattate dalle istituzioni, organi e organismi dell'Unione europea, oltre che in maniera equa e imparziale, in un "tempo ragionevole", con l'obbligo per l'Amministrazione di motivare sempre le proprie decisioni(1). Inoltre, al comma 3 dell'articolo 101 si stabilisce anche la sanzione del risarcimento del danno per le Amministrazioni che non rispettino tale principio. Principio che ha una particolare forza cogente perché reca con sé la conseguenza che le decisioni in tal senso della Corte di giustizia dell'Unione europea, qualora siano interpretative di norme del Trattato, sono per il nostro ordinamento giuridico piene fonti del diritto a tutti gli effetti, alla stregua di una norma interna.

La valutazione di disfavore per l'inerzia della P.A. era tuttavia già contenuta nel Testo unico delle leggi comunali e provinciali n. 383 del 1934, ove, all'articolo 5, vi era una prima distinzione tra silenzio significativo, cioè quello che il legislatore ritiene di valutare in via preventiva dandogli il valore tipico di accoglimento (cosiddetto silenzio assenso) o rifiuto dell'istanza (cosiddetto silenzio rifiuto o silenzio diniego), e silenzio non significativo, riferibile in via residuale a quei casi nei quali il legislatore non si preoccupa di qualificare l'inerzia della P.A. Lo stesso articolo 5, inoltre, conteneva anche la distinzione tra silenzio rigetto e silenzio rifiuto, attribuendo all'inerzia sul ricorso gerarchico la qualificazione di silenzio rigetto. In particolare, l'articolo 5 stabiliva che, allo scadere di 120 giorni dalla proposizione del ricorso gerarchico, l'interessato poteva esperire il rimedio della diffida e messa in mora dell'Amministrazione dopodichè, decorsi 60 giorni da questa, si formava il silenzio rigetto che si poteva impugnare dinanzi al giudice amministrativo.

Fenomenologia dei tipi di inerzia provvedimentale
L'inerzia della P.A. cui consegue una fattispecie favorevole per l'interessato è rappresentata solo dal silenzio assenso (o silenzio accoglimento), che è un silenzio di tipo significativo, qualificato e tipizzato come tale dal legislatore.
Invece, l'inerzia cui consegue una fattispecie sfavorevole per l'interessato è rappresentata dal silenzio rigetto, anch'esso di tipo significativo in quanto qualificato e tipizzato dal legislatore, che opera anche nei casi residuali di inerzia della P.A. nel corso di un procedimento sussumibile nella fattispecie del ricorso gerarchico. Nell'Amministrazione finanziaria, ad esempio, con la recente sentenza della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 16776 del 2005, si è avuta una qualificazione giurisprudenziale del silenzio rigetto, prevedendosi che il contribuente possa invocare il giudice tributario ogni qual volta l'Amministrazione finanziaria "(...) manifesti la convinzione che il rapporto tributario debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare, (...) anche nel caso in cui tale manifestazione sia espressa con la procedura del silenzio rigetto".

Quando però il silenzio ha il significato della reiezione di un'istanza, volta a esprimere il cosiddetto interesse pretensivo del cittadino, si configura il silenzio rifiuto. Una norma che qualifica il silenzio come reiezione di un'istanza, ad esempio, è quella dell'articolo 19 del Dlgs n. 546 del 1992 sul contenzioso tributario, ove, alla lettera g), si prevede l'esperibilità del ricorso avverso il "rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti".
Come chiaramente affermato dalla giurisprudenza amministrativa al riguardo, il silenzio-rifiuto costituisce uno strumento avente la precipua finalità di provocare, nell'ambito di un rapporto tra privato e P.A. previsto e regolato dalla legge, una pronuncia esplicita da parte dell'Autorità amministrativa, allorché questa abbia l'obbligo di provvedere sulla domanda del privato e sia, pertanto, competente a soddisfare l'esigenza dello stesso(2).
Da questo si distingue il silenzio diniego, che è l'inerzia con valore tipico che si ha quando il silenzio dell'Amministrazione impedisce di svolgere un'attività per la quale è necessaria un'autorizzazione o un titolo abilitativo, anch'esso ascrivibile alle fattispecie di silenzio significativo in quanto qualificato e tipizzato dal legislatore.

L'inerzia con valore non significativo è invece rappresentata dal solo silenzio inadempimento, in cui non vi è una norma che qualifica le conseguenze del comportamento inerte della P.A. Tuttavia, a seguito della riforma della legge 241/90 e, in particolare, con la riformulazione dell'articolo 2, appare oggi sostenibile affermare che non esista più il silenzio inadempimento, perché tutti i tipi di silenzio sono stati ormai disciplinati dal legislatore. Residuano tuttavia delle ipotesi tassativamente previste di inadempimento legittimo quando l'Amministrazione sia chiamata a provvedere su una istanza palesemente illegittima o infondata; quando si chieda di adottare uno stesso provvedimento già adottato e la P.A. non intenda provvedere diversamente; oppure quando si chieda di adottare un atto evidentemente lesivo o elusivo di un giudicato ordinario o amministrativo(3).
La giurisprudenza ha inoltre affermato il principio di diritto in base al quale, nella procedura di formazione del silenzio, non basta a escludere o interrompere l'inerzia amministrativa il fatto dell'avvenuto svolgimento di una qualche pur effettiva attività istruttoria da parte della P.A., quando la durata di questa si sia prolungata in maniera abnorme, in violazione del dovere di concludere (in modo espresso) ogni procedimento amministrativo, secondo quanto prevede l'articolo 2 della legge n. 241 del 1990(4).

Il silenzio inadempimento. Cenni di analisi storica ed evoluzione normativa e giurisprudenziale dell'istituto
Il Testo unico degli impiegati civili dello Stato n. 3 del 1957 recava, all'articolo 25, una particolare procedura nel caso del dipendente cui veniva irrogata una sanzione disciplinare. Egli poteva opporsi mediante una sorta di ricorso gerarchico, dopodichè, decorso il termine di 60 giorni dall'impugnazione, poteva diffidare e mettere in mora l'Amministrazione mediante notifica a mezzo ufficiale giudiziario(5). Trascorsi altri 30 giorni da questa, si formava il silenzio e lo si poteva impugnare dinanzi al giudice amministrativo.
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 8 del 1960(6), assimilò la disciplina in tema di silenzio di cui all'articolo 25 del Testo unico 3/1957 a tutti i casi di inerzia provvedimentale della P.A., ma non affrontò il tema della qualificazione e degli effetti di un eventuale provvedimento emesso tardivamente, ad esempio nelle more del giudizio amministrativo (la ciclica proposizione del pluridibattuto quesito: il trascorrere del tempo incide sulla consumazione del potere della P.A.?).

Nel 1971 alcune disposizioni contenute nel Dpr n. 1191 sul ricorso straordinario al presidente della Repubblica e nella legge n. 1034 sul processo amministrativo fanno cadere la necessità della diffida e messa in mora della P.A., stabilendosi così che trascorsi 90 giorni si poteva direttamente impugnare il silenzio dinanzi al giudice amministrativo.
Quello scaturente dall'evoluzione normativa del 1971 era un silenzio di tipo significativo, favorevole per l'interessato, con valore di reiezione dell'istanza, qualificato normativamente come silenzio rigetto. Restano però fuori le innumerevoli ipotesi di silenzio inadempimento, di richieste non evase dalla P.A., che non beneficiavano della disciplina sui termini di conclusione del procedimento, intervenuta a seguito della legge 241/90.

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 10 del 1978, statuisce che la disciplina del silenzio inadempimento è sempre quella del Testo unico degli impiegati civili dello Stato del 1957. Tale rimase fino all'8 marzo 2005, data di entrata in vigore della legge n. 15 dell'11 febbraio 2005. Anche la giurisprudenza amministrativa, infatti, fino a tale data non aveva più modificato orientamento sul tema della formazione del silenzio inadempimento.
Tuttavia, sempre l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisone n. 4 del 1978, nel rilevare che il potere della P.A. non si consuma con il trascorrere del tempo e che però deve essere un potere legittimamente esercitato, sosteneva che i termini di conclusione del procedimento, ancorché non perentori, debbano comunque avere un qualche rilievo. In particolare, evidenziava la necessità che nei confronti dell'interessato, se il provvedimento viene emanato tardivamente e gli è favorevole, il giudizio amministrativo eventualmente da lui instaurato doveva essere dichiarato improcedibile per carenza d'interesse (ove interesse era da intendersi in senso strettamente processuale, quindi interesse attuale e concreto all'impugnazione) ex articolo 100 del Codice di procedura civile. Il controinteressato, però, qualora avesse avuto un interesse, poteva impugnare il provvedimento tardivamente emanato perché illegittimo. Invece, se il provvedimento tardivamente emanato era sfavorevole per l'interessato, costui lo poteva impugnare sia lamentando la sussistenza di vizi propri del provvedimento, sia per il solo fatto che era stato emanato tardivamente, ma, per farlo, doveva iniziare un nuovo giudizio.

Nel novembre del 1989 si arriva alle decisioni n. 16 e 17 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sulla base delle quali si giunge all'affermazione che la P.A., nell'eventualità nella quale scada un termine che non è legislativamente qualificato come perentorio, non consuma il potere di emanare il provvedimento e, quindi, questo è legittimo, giungendo così a conclusioni opposte rispetto a quelle delle decisioni n. 4 e 10 del 1978. Pertanto, se il provvedimento tardivamente emanato è favorevole per l'interessato, il controinteressato perde il diritto all'impugnazione, perché il provvedimento è legittimo, tranne nell'ipotesi di sussistenza di termine legislativamente qualificato come perentorio(7).
Tuttavia, il soggetto che intende reagire contro l'inerzia della P.A. ha ancora l'onere di seguire il rigoroso iter procedimentale indicato dal citato articolo 25 del Testo unico degli impiegati civili dello Stato del 1957(8).

La necessità di tale iter procedimentale, inoltre, non è venuta meno neanche dopo l'entrata in vigore della l. 21 luglio 2000 n. 205. La nuova normativa, infatti, non ha introdotto elementi innovativi in ordine all'istituto del silenzio della P.A., nel senso che non ha modificato il procedimento della sua formazione, ma ha solo inteso dettare norme che disciplinano le forme procedimentali ed i contenuti delle decisioni sui ricorsi avverso il silenzio dell'Amministrazione, imponendo un più agile svolgimento delle sole procedure che si svolgono in sede giudiziale. L'esigenza dell'indefettibile necessità della previa intimazione dell'Amministrazione rimasta inerte nell'adozione di un provvedimento, da effettuarsi mediante la notifica alla stessa, a mezzo di ufficiale giudiziario, di un apposito atto di diffida con l'assegnazione di un congruo termine per provvedere, non inferiore a trenta giorni, deve pertanto ritenersi non eliminata né assorbita nel sistema procedurale introdotto dalla nuova legge n. 205 del 2000, che ha solo dettato un'apposita disciplina per la decisione dei ricorsi avverso il silenzio della P.A.
La giurisprudenza ha ritenuto, perciò, che resta estraneo alla nuova disciplina della legge 21 luglio 2000, n. 205, il regime della formazione del silenzio, che attiene ancora al momento sostanziale dello stesso(9).

Sul tema, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2002, confermò la giurisprudenza consolidata che riteneva, nel giudizio avverso il silenzio, che il giudice amministrativo dovesse esclusivamente accertare se l'inerzia fosse illegittima o meno, imponendo alla P.A., nel caso di accoglimento del ricorso, di provvedere sull'istanza entro il termine assegnato, in quanto era inibito al giudice di spingersi a stabilire il concreto contenuto del provvedimento, perché in tal caso non residuerebbero spazi se non per un'attività meramente esecutiva(10).

Fino alle modifiche all'articolo 2 della legge 241/90, intervenute con la legge 14 maggio 2005, n. 80, ove viene previsto che in sede di valutazione sul silenzio della P.A. "(...) il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza", era perciò esclusa la possibilità per il giudice di sostituirsi all'Amministrazione nell'esercizio del potere amministrativo nella prima fase del rito del silenzio, precludendosi così la proponibilità, in questa fase, dell'azione di risarcimento danni, che avrebbe imposto la cognizione della fondatezza sostanziale della pretesa del ricorrente in un contesto ove il giudice doveva, al contrario, limitarsi al solo accertamento dell'obbligo per l'Amministrazione di provvedere sull'istanza del ricorrente.


1 - continua. La seconda puntata sarà pubblicata lunedì 9 gennaio


NOTE:
1) Anche Giustiniano ordinò ai giudici di decidere una causa entro tre anni: "ne lites fiant immortales".

2) Consiglio di Stato, sezione IV, 17 giugno 2003, n. 3409.

3) Ai sensi dell'articolo 21 septies della legge 241/90, l'atto emanato in violazione o elusivo di un giudicato è nullo.

4) Tar Lazio, sezione I, sentenza 14 gennaio 2001, n. 114.

5) Al riguardo, l'articolo 25 del Testo unico n. 3 del 1957, dopo aver previsto, al primo comma, che "l'omissione di atti e di operazioni, al cui compimento l'impiegato sia tenuto per legge o per regolamento, deve esser fatta constare da chi vi ha interesse mediante diffida notificata all'impiego e all'amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario", stabilisce, in particolare, al comma successivo, che "quando si tratti di atti o di operazioni da compiersi ad istanza dell'interessato, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza stessa".

6) Confermata nel 1965 con la decisione n. 23 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

7) Il Consiglio di Stato fa in tal modo propria la tesi secondo la quale il silenzio non significativo non è un atto, ma un grimaldello giuridico processuale per consentire l'impugnazione. Le modifiche in tal senso alla legge 241/90 scardineranno questa impostazione.

8) Così il Consiglio di Stato, III sezione, 2 giugno 1998, n. 113; V sezione, 18 novembre 1997, n. 1331; Tar Sardegna, 10 giugno 1999, n. 765; Tar Lazio, 1 agosto 2000, n. 6536; Tar Napoli, II sezione, 4 gennaio 2000, n. 2; Tar Milano, II sezione, 22 gennaio 2001, n. 134; Tar Campania, Napoli, n. 4853 del 13 novembre 2001; Tar Lazio, sezione III, 8 ottobre 2003, n. 8128.

9) Tar Lazio, II sezione, 2 maggio 2001, n. 3597; 17 marzo 2001, n. 2058; Tar Basilicata, 26 giugno 2003, n. 664; Tar Puglia, Bari, sezione I, 13 giugno 2003, n. 2428.

10) In tal senso, oltre al Consiglio di Stato, anche Tar Puglia, Lecce, sezione II, 22 ottobre 2002, n. 5304; Tar Abruzzo, L'Aquila, 4 dicembre 2003, n. 1005; Tar Campania, Napoli, sezione I, 1 agosto 2003 n. 10771.

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