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Attualità

Sponsorizzazione diretta e indiretta. Ai confini dell'inerenza

Quando è possibile dedurre costi sostenuti al fine di ottenere risultati non immediati

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Le spese di pubblicità, come da ultimo chiarito dalla Cassazione con la sentenza n. 9567 del 23 aprile 2007, sono costituite da costi sostenuti per pubblicizzare prodotti, marchi o comunque l'attività svolta dall'impresa. L'obiettivo cui tende l'imprenditore è quello di incrementare le vendite, attraverso l'acquisizione di nuova clientela o con l'aumento delle cessioni alla clientela preesistente. Caratterizzante le stesse è, quindi, il fine promozionale.

Tra tali spese si distinguono quelle di sponsorizzazione, che si caratterizzano per il contratto che ne sta alla base. Esso prevede l'obbligo del soggetto sponsorizzante di versare una somma di denaro, a fronte dell'impegno del soggetto sponsorizzato a pubblicizzare il prodotto e/o il marchio dello stesso. In esso non si rinviene alcuna componente di liberalità e/o di mecenatismo (irrilevante fiscalmente), ma è finalizzato, così come tutte le spese di pubblicità, a produrre benefici in termini commerciali.
L'intento promozionale è la "causa" del contratto di sponsorizzazione, nella stessa misura in cui lo stesso è caratterizzante per qualsiasi spesa di pubblicità.

Tale intento può essere realizzato con diverse modalità. In modo "diretto", allorquando l'attività promozionale ha a oggetto, in modo esplicito, il marchio e/o i prodotti dell'azienda sponsorizzante, oppure in modo indiretto, se la stessa è sì indirizzata verso prodotti o marchi di terzi soggetti, ma un incremento delle vendite di costoro è in grado di causare un incremento delle vendite dell'azienda sponsorizzante.

Affinché possano essere deducibili, le spese di sponsorizzazione, come ogni altro elemento negativo di reddito, devono rispettare il principio di inerenza. La regola generale di cui all'articolo 109 del Tuir stabilisce che non possono essere portati in detrazione dal reddito imponibile i componenti negativi del reddito che non si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o proventi assoggettati a tassazione.

Il concetto di inerenza va riferito alla complessiva attività svolta dall'impresa, rivolta al fine di produrre ricavi, derivandone, in tal modo, l'inerenza anche dei costi sostenuti al fine di ottenere risultati non immediatamente, o comunque non nell'esercizio in cui sono sostenuti, ma in grado - potenzialmente - di influenzare nel futuro i ricavi dell'azienda.

In tale prospettiva vanno analizzate le spese di sponsorizzazione (sia diretta sia indiretta) che appunto mirano a ottenere un incremento di ricavi non tanto e non solo nell'esercizio in cui sono sostenute.

Analisi di un caso concreto
L'azienda di commercio all'ingrosso X (in particolare, un'azienda di distribuzione di prodotti alimentari, di una nota multinazionale) deduceva un costo per spese di sponsorizzazione a fronte di un contratto stipulato con una Associazione sportiva (squadra di pallacanestro).
I verificatori sottolineavano come la giurisprudenza e la prassi maggioritarie affermassero che le attività che rientrano sotto il nome di pubblicità (tra cui si fanno rientrare, appunto, anche le sponsorizzazioni) sono caratterizzate dalla funzione di reclamizzare un prodotto o un servizio, instaurando un contatto con il pubblico dei consumatori, capace di condizionarne le abitudini di acquisto. In caso contrario, sarebbe vanificato il fine promozionale, la "causa" stessa del contratto, ovvero l'obiettivo dell'incremento delle vendite e con esso verrebbe meno non solo l'inerenza del costo ai ricavi, ma anche la sua natura di contratto di sponsorizzazione.

Infatti, la Cassazione, con la sentenza n. 6502 del 19/5/2000, in merito al concetto di inerenza delle spese di pubblicità, oltre a statuire che il principio di inerenza può essere esteso anche a spese effettuate a fini promozionali, ha affermato che "la comunicazione pubblicitaria ha come obiettivo il raggiungimento di interlocutori interessati ad acquistare il prodotto offerto", chiarendo che essa è strumentale "al consolidamento ed all'ampliamento del mercato". Ne consegue che anche nell'ipotesi di sponsorizzazione, sia diretta sia indiretta, va comunque ricercato quel legame logico tra l'attività dell'azienda sponsorizzante e la promozione dedotta. Legame logico che costituisce la linea di confine tra sponsorizzazioni deducibili e mera erogazione liberale, come tale estranea all'attività d'impresa. Legame logico, che in ipotesi di sponsorizzazione indiretta raddoppia, dovendo collegare prima l'attività promozionale con le vendite del prodotto altrui, e poi queste alle vendite della società sponsorizzante.

Nel caso di specie, le spese di sponsorizzazione avevano la funzione sia di pubblicizzare la denominazione dell'azienda verificata, sia uno dei principali prodotti, di una nota multinazionale, dalla stessa distribuito.

In merito alla prima ipotesi, i verificatori notavano come l'azienda non vendesse ai "consumatori finali", bensì a operatori commerciali al dettaglio, che a loro volta avrebbero venduto alla platea di consumatori finali. All'atto di tale rivendita, questi, sugli scaffali dei dettaglianti, non avrebbero potuto mai rinvenire il marchio o la denominazione dell'azienda verificata, mero distributore di prodotti altrui, bensì i marchi delle aziende i cui prodotti la stessa distribuisce.

La sponsorizzazione in questione si rivolgeva a un pubblico (gli spettatori delle partite di pallacanestro dilettantistico) completamente diverso rispetto alla potenziale clientela dell'azienda X. Appare, infatti, inverosimile che gli spettatori abituali (lungo una intera stagione agonistica) di una squadra dilettantistica di pallacanestro fossero stati tutti operatori commerciali del settore alimentare, essendo, con ogni probabilità, ascrivibili alla categoria consumatori finali.
Ne deriva che i destinatari della sponsorizzazione non potevano che essere indifferenti al messaggio commerciale. Costoro, pur volendo, non avrebbero potuto acquistare direttamente dall'azienda sponsorizzante (grossista), ma al massimo dovevano recarsi presso un diverso operatore commerciale (dettagliante), ove avrebbero potuto, sì comprare dei prodotti della nota multinazionale, che la sponsorizzante distribuisce, ma ignorando completamente chi fosse il fornitore del dettagliante presso cui stavano effettuando l'acquisto.

La pubblicità avente a oggetto la denominazione del fornitore del dettagliante lasciava il consumatore finale totalmente indifferente, non incidendo sulle sue decisioni nemmeno potenzialmente.
Da qui la totale assenza del rapporto tra spettatori della squadra sponsorizzata e la clientela della società sponsorizzante, necessario affinché si possa definire il messaggio pubblicitario come idoneo a stabilire un contatto con un pubblico di consumatori potenzialmente interessati all'acquisto del prodotto, e, quindi, inerente i ricavi derivanti dalla vendita di tali prodotti.

Diversa è la restante ipotesi in cui l'azienda, oltre al proprio marchio, pubblicizza anche uno dei principali prodotti della nota multinazionale, che la stessa distribuisce. Limitatamente a ciò potrebbe configurarsi un ipotesi di pubblicità indiretta, atteso che un incremento delle vendite di un prodotto sì altrui, ma che l'azienda X distribuisce, potrebbe incidere sulle vendite di quest'ultima.

Al fine di verificare l'inerenza di un simile costo è opportuno valutare l'effettiva, anche se potenziale, efficacia della sponsorizzazione. Infatti, la stessa essendo, comunque, diretta verso prodotti altrui, potrebbe non avere alcun riflesso di rilievo sui ricavi dello sponsorizzante. È opportuno rinvenire quel nesso logico, quella consequenzialità, anche solo potenziale, tra attività promozionale, aumento della vendita dei prodotti altrui e successivo aumento delle vendite da parte dello sponsorizzante.

I verificatori sottolineavano come questi prodotti fossero caratterizzati da forme di pubblicità, commissionate dalla multinazionale, a carattere nazionale, e non solo. Appariva loro difficile ipotizzare che una forma di sponsorizzazione, a carattere fortemente locale, potesse avere una efficacia persuasiva aggiuntiva rispetto alla pubblicità a carattere nazionale, anche televisiva, di cui godono i prodotti in questione. Inoltre, appariva loro decisivo sottolineare come l'azienda sponsorizzante operasse su un territorio comprensivo di due intere province, mentre la sponsorizzazione aveva un carattere prettamente locale (comunale), con la residenza di solo una minima parte dei potenziali consumatori (indiretti clienti).

In tal caso, pur essendo i consumatori finali definibili quali "indiretti clienti della sponsorizzante" e, quindi, quali "interlocutori indirettamente interessati ad acquistare il prodotto offerto", il messaggio pubblicitario era totalmente inidoneo a incidere sulle abitudini di acquisto di costoro, con la conseguenza della sua inidoneità a incidere, in modo apprezzabile, sulle vendite del prodotto altrui e quindi sul volume d'affari della sponsorizzante.
La consequenzialità, pur essendo, astrattamente, plausibile tra incremento delle vendite dei prodotti altrui e incremento delle vendite della sponsorizzante, non caratterizzava il preliminare e indispensabile passaggio logico tra messaggio promozionale e incremento delle vendite dei prodotti altrui, nel mercato considerato.

Se la sponsorizzazione non incide sulle vendite del prodotto altrui, non può incidere anche se indirettamente sulle vendite dell'azienda sponsorizzante.
In tale ipotesi, il fine promozionale, l'obiettivo dell'incremento delle vendite, è di fatto privo di concretezza, sia per le dimensioni dell'utenza, sia per le caratteristiche del messaggio pubblicitario, derivandone la non inerenza del relativo costo.

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