Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Attualità

Strategie di gruppo: transfer pricing e compensazioni funzionali (2)

Non è corretto motivare l’adozione di prezzi più bassi alle controllate con la giustificazione che queste svolgono altre funzioni che devono essere adeguatamente remunerate

_1150.jpg

Ricostruzione del “valore normale”
Il metodo “CUP”, di solito usato dall’Amministrazione per la ricostruzione del valore normale, confronta il prezzo di beni o servizi trasferiti nel corso di una transazione tra imprese associate, con il prezzo applicato a beni e servizi trasferiti nel corso di una transazione comparabile sul libero mercato in circostanze comparabili.
Se vi è una differenza tra i due prezzi, “ciò può indicare che le condizioni delle relazioni commerciali e finanziarie delle imprese associate non sono concorrenziali, risultando pertanto necessario sostituire il prezzo applicato nel corso di una transazione controllata con il prezzo della transazione sul libero mercato” (vedi capitolo II, paragrafo C, del Rapporto Ocse del 1996).

Basandosi sugli stessi listini prezzi della capogruppo, in questi casi è possibile confrontare il prezzo più basso in favore delle controllate con il valore delle transazioni nei confronti degli altri clienti, sia italiani che esteri.
La presenza di transfer pricing viene, quindi, riscontrata analizzando il procedimento di formazione del prezzo finale.

Immaginiamo, infatti, che, per ogni articolo, il procedimento di formazione del prezzo si determini sulla base di un moltiplicatore, intorno a due, da applicarsi sul costo della materia prima, costituito per l’80 per cento da costi fissi e provvigioni e per il 20 per cento da oneri finanziari, imposte e margine di utile netto.
Sul prezzo base, pari a 100, vengono poi calcolate le percentuali di ricarico, riguardanti di volta in volta i maggiori costi sostenuti per il trasporto, o per i dazi doganali.
Tali modalità di calcolo, del resto, possono essere utili anche come elementi di riprova, mediante l’applicazione del metodo basato sul margine netto della transazione (transactional net margin method).
Tale metodo, basato sull’utile della transazione, esamina il margine di utile netto conseguito in una transazione posta in essere da un’impresa associata, rapportando lo stesso a una base adeguata.

La legittimità dell’accertamento dell’ufficio sarà confermata laddove l’analisi della formazione del prezzo di vendita (e del margine di utile conseguito) testimoniano una netta diversità tra l’utile ottenuto da una transazione con una società controllata e quello ottenuto da una medesima transazione con imprese indipendenti; in particolare, se emerge che la controllante italiana, nella transazione con le imprese controllate estere, non percepisce alcun utile, in quanto la vendita, a seguito dell’applicazione degli sconti, avviene in realtà sottocosto, mentre nelle transazioni con le imprese indipendenti consegue invece un utile netto.

Compensazioni funzionali
Si potrebbe, tuttavia, ancora eccepire che i prezzi di vendita alle consociate devono essere per forza inferiori, dato che tali società, a differenza degli altri clienti (esterni), svolgono altre funzioni che devono essere adeguatamente remunerate: costi della funzione commerciale, costi di subagenzia, rischio di insoluto, onere di riacquisto dei capi invenduti eccetera.
Ma questo punto di vista non è condivisibile.

Infatti, può anche essere vero (laddove oltretutto adeguatamente provato) che le controllate svolgano funzioni che comportano maggiori oneri rispetto ai clienti non del “gruppo”. Ma, come affermato anche nella direttiva Ocse, una parte può effettivamente assicurare un vasto numero di funzioni in relazione a quelle dell’altra parte della transazione, ma ciò che rileva è il reale significato economico di quelle funzioni, in termini di frequenza, natura e valore per le rispettive parti della transazione.
In pratica, ciò che deve essere appurato è se gli sconti effettuati alla controllata possono davvero considerarsi giustificati da tali maggiori oneri “funzionali”.

E’ logico che, proprio trattandosi di società dello stesso “gruppo”, ci siano particolari condizioni economiche nelle relazioni commerciali con la capogruppo, ma da una tale scontata considerazione la capogruppo non può far discendere che tali rapporti non sono comparabili con nessun altro (e che quindi non si può applicare la disciplina antielusiva del transfer pricing).
Ciò che rileva, si sottolinea per l’ennesima volta, non è (soltanto) se tali rapporti sono economicamente giustificati, ma (soprattutto) se sono fiscalmente giustificati, se rispondono cioè al principio di libera concorrenza.

Cercare allora di giustificarsi adducendo lo stesso motivo per cui il recupero viene fatto non può portare lontano: facevo loro prezzi migliori perché erano mie consociate e cercavo di coprire i loro maggiori costi “funzionali” (anche questi “maggiori” perché, proprio in quanto mie consociate, si sobbarcavano oneri che imprese indipendenti non si sarebbero sobbarcate) con i miei maggiori ricavi (rectius: con la rinuncia ai maggiori ricavi che sarebbero derivati da una corretta applicazione del prezzo al valore normale).
Da una parte, quindi, il “gruppo” sottrae ricavi in Italia e dall’altra li invia all’estero a coprire costi anch’essi “gonfiati”.
Il tutto per meri calcoli di “gruppo” che prescindono dall’interesse delle singole società.

E poi, comunque, seppure tali funzioni (e costi connessi) fossero rilevanti, l’analisi funzionale non deve avvenire per comparti stagni, ma deve valutare le complessive condizioni contrattuali: tutte le altre (ulteriori agli sconti) eventuali condizioni contrattuali di vantaggio, di solito riconosciute alle consociate (dilazione dei termini di pagamento, accollo dei costi di ristrutturazione, accollo dei costi di pubblicità, eccetera) non coprono già e compensano gli oneri sostenuti dalle consociate?

Questo fenomeno, del resto, ha un nome preciso: compensazioni intenzionali. Secondo le direttive Ocse, infatti, in presenza di compensazioni intenzionali, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe richiedere all’impresa associata di dimostrare che, dopo aver considerato le compensazioni, le condizioni che regolano le transazioni controllate sono conformi al principio di libera concorrenza.

Conclusioni
La normativa fiscale italiana, in accordo con le Convenzioni internazionali (Ocse), non consente che un’impresa controllante ceda beni di propria produzione a una sua impresa controllata a un prezzo più basso di quello generalmente praticato alle altre imprese. Se si adotta tale sistema, infatti, l’impresa rinunzia, di fatto, al maggior utile che avrebbe potuto conseguire se avesse ceduto il bene al prezzo normale, cioè al prezzo praticato alle altre imprese indipendenti.
Così facendo, però, la capogruppo altera l’equilibrio del mercato, in quanto consente che le sue controllate, acquistando a un prezzo più basso, si trovino in posizione più favorevole rispetto ad altre imprese dello stesso tipo.

Tale pratica di prezzi sottocosto, inoltre, consente, di fatto, un trasferimento di capitale (non tassato in quanto non dichiarato) dalla capogruppo alla consociata estera, atteso che quest’ultima, di solito, non ribalta sul proprio prezzo di vendita il minor costo pagato alla controllante.
Il maggior utile conseguito, infatti, viene magari reinvestito nell’acquisto di beni, oppure per coprire eventuali perdite.

Se si operasse secondo diritto, secondo cioè la pratica del prezzo al valore normale, il maggior ricavo della capogruppo costituirebbe un maggior utile e sarebbe assoggettato (in Italia) a tassazione.
Solo in via successiva la quota di reddito netto (utile netto) derivante potrebbe, a seguito di apposita e ufficiale deliberazione assembleare, essere trasferita alla società controllata sotto forma di aumento di capitale della stessa.

2 – fine. La prima puntata è stata pubblicata giovedì 26


URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/attualita/articolo/strategie-gruppo-transfer-pricing-e-compensazioni-funzionali-2