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Attualità

Strumenti finanziari: i chiarimenti dell'Agenzia

Profili problematici della tassazione delle rendite

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Il paragrafo 1 della circolare n. 6/E del 13 febbraio 2006, che raccoglie le risposte date dall'Agenzia delle entrate in occasione di Telefisco 2006, si sofferma su alcune questioni relative alla tassazione delle rendite finanziarie, dall'esame delle quali emergono alcuni profili problematici. In particolare, sono state affrontate cinque differenti questioni:

  1. determinazione delle plusvalenze relative a strumenti finanziari partecipativi non equity
  2. modalità di ripartizione delle riserve di capitale ai nudi proprietari
  3. determinazione del costo delle partecipazioni ricevute a titolo di dividendo in natura
  4. natura del reddito conseguito dal cointeressato nei contratti di cointeressenza propria senza apporto
  5. competenza delle perdite e dei redditi conseguiti nell'esercizio d'impresa relativi a strumenti finanziari partecipativi esteri.

Con riferimento al punto sub 1., si è posto il quesito se gli strumenti finanziari partecipativi che prevedono l'obbligo di restituzione del capitale alla scadenza (non equity) generino in ogni caso plusvalenze qualificate ai sensi dell'articolo 67, primo comma, lettera c), n. 1) del Tuir, ovvero sono da considerare rappresentativi di una partecipazione al patrimonio, e, quindi, le plusvalenze saranno qualificate o non qualificate in funzione del valore dell'apporto.
L'Agenzia delle entrate ha rigettato entrambe le predette soluzioni, ritenendo applicabile l'articolo 67, primo comma, lettera c-ter), del Tuir.
In particolare - ribadendo quanto già affermato nella circolare n. 52/E del 2004 - si è preliminarmente ricordato che sono assimilati alle azioni e godono del medesimo regime fiscale degli utili gli strumenti finanziari caratterizzati da una remunerazione totalmente collegata ai risultati economici della società emittente o di una società del gruppo o dell'affare in relazione al quale sono stati emessi e ciò "anche nel caso in cui sia prevista la restituzione integrale dell'apporto". In tal caso, la cessione dello strumento finanziario può dar luogo a una plusvalenza qualificata (o meno) a seconda del superamento (o meno) delle percentuali di patrimonio indicate nell'articolo 67, primo comma, lettera c), del Tuir.
Se non si verifica la condizione della totale remunerazione, come nel caso in cui la remunerazione degli strumenti finanziari sia in parte costituita da interessi e in parte collegata ai risultati economici, occorre verificare se lo strumento finanziario sia assimilabile ai titoli obbligazionari o a quelli atipici.
Ebbene "nel caso in cui sia prevista la restituzione integrale del capitale apportato, lo strumento finanziario è assimilabile ai titoli obbligazionari", il che comporta che il reddito diverso sarà determinato "secondo le regole proprie dei titoli non partecipativi di cui all'articolo 67, comma 1, lettera c-ter) del TUIR".
Il che equivale ad affermare che tali strumenti finanziari, non potendo essere rappresentativi di una partecipazione al patrimonio, non pongono alcun problema di determinazione della loro natura qualificata (o meno).

Il quesito di cui al punto sub 2. riguardava l'applicabilità della presunzione assoluta di previa distribuzione delle riserve di utili di cui all'articolo 47, primo comma, II periodo, del Tuir, al caso di nudi proprietari che avessero effettuato apporti in conto capitale sub specie di sovrapprezzo azioni o versamenti in conto capitale e successivamente l'assemblea avesse deliberato di ripartire tali riserve fra i nudi proprietari stessi.
L'Agenzia delle entrate, dopo aver ribadito la natura assoluta della presunzione di cui al citato articolo 47 del Tuir, ha rilevato che la disposizione opera "indipendentemente dalla condizione del soggetto percettore delle somme distribuite".

I principali profili problematici discendono dalle questioni sollevate con i quesiti 3, 4 e 5.
In particolare con riferimento al punto sub 3., è stato posto il quesito se, in caso di percezione di un dividendo in natura rappresentato da azioni o quote di una società, il costo fiscale delle azioni o quote ricevute dovrà essere pari al loro valore normale alla data di assegnazione o al 40 per cento o 5 per cento di tale valore, a seconda che il percipiente sia imprenditore individuale o società di persone ovvero soggetto passivo Ires.
L'Agenzia delle entrate - dopo aver ricordato quanto disposto dal sesto comma dell'articolo 68 del Tuir in materia di determinazione delle plusvalenze derivanti da azioni o quote di una società - ha chiarito che "nonostante l'ammontare che concorre alla formazione del reddito imponibile del percettore sia pari al 40% o al 5% del loro importo, si ritiene che il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni sia pari all'intero importo del valore normale delle stesse" e ciò perché "la riduzione dell'imponibile, infatti, costituisce una mera modalità di determinazione del reddito che ha finalità di evitare la doppia tassazione in capo ai percipienti e alla società emittente".
Il che equivale a dire che, in capo al percipiente il dividendo, il valore normale delle partecipazioni ricevute costituirà costo fiscalmente riconosciuto.
Specularmente, in capo alla società erogatrice del dividendo, qualora il costo fiscale riconosciuto delle partecipazioni sia superiore o inferiore al valore normale delle stesse, sorge un differenziale negativo o positivo, che dovrebbe rispettivamente costituire minusvalenza o plusvalenza da assegnazione ai soci, la cui deducibilità/imponibilità dipenderà dall'insussistenza anche di uno dei requisiti per la participation exemption, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 86, 87 e 101 del Tuir.
Ebbene, in caso di minusvalenza da assegnazione su partecipazioni prive anche di uno dei requisiti della participation exemption, la distribuzione di dividendi in natura potrebbe rappresentare un espediente volto a dedurre dal reddito d'impresa della società erogatrice costi di investimento in partecipazioni che circolano infragruppo e che non hanno la natura di partecipazioni di trading.
In tali casi, si potrebbe fare ricorso alla norma antielusiva di cui all'articolo 37-bis del Dpr n. 600 del 1973, ogniqualvolta si scorga una strumentalizzazione del regime della participation exemption.

Passando al quesito sub 4., si domanda se, attesa l'indeducibilità delle perdite derivanti dai contratti di cointeressenza propria di cui all'articolo 2554, primo comma, II periodo, del codice civile per i cointeressati non esercenti attività d'impresa, sia da considerarsi altrettanto indeducibile la minusvalenza derivante dalla cessione del predetto contratto.
Sul punto, l'Agenzia delle entrate, dopo aver affermato sulla base dell'articolo 45 del Tuir, "che le partecipazioni alle perdite del cointeressante non sono deducibili per i cointeressati non esercenti attività d'impresa", ha ritenuto altresì non deducibile la minusvalenza derivante dalla cessione del contratto, in quanto "si tratta di un reddito diverso di natura finanziaria di cui all'articolo 67, comma 1, lettera c-quinquies) del TUIR che, per effetto di quanto disposto dall'articolo 68, comma 9, dello stesso Testo unico, è determinato senza dedurre le minusvalenze e i differenziali negativi".
Ciò posto, ci si domanda quale sia il trattamento tributario di entrambe le predette categorie di perdite, qualora i cointeressati esercitino un'attività d'impresa.
A tal fine, assume rilevanza il combinato disposto di cui agli articoli 87, terzo comma, e 101, primo comma, del Tuir, dal quale si desume che non sono deducibili dalla determinazione del reddito d'impresa le perdite relative a contratti di cointeressenza con apporto diverso da quello di opere e servizi.
Il che dovrebbe comportare la deducibilità sia delle perdite sofferte in vigenza di contratto sia di quelle sofferte a seguito della cessione del contratto di cointeressenza propria, il quale si caratterizza per la mancanza di un determinato apporto.
Ebbene, in questo caso potrebbero porsi in essere, nell'ambito di un medesimo gruppo economico, comportamenti ad hoc volti a realizzare un effetto "traslativo" delle perdite sofferte da un soggetto del gruppo al cointeressato appartenente al medesimo gruppo.
Infatti, a seguito della sopportazione della perdita da parte della società in cui si ha la cointeressenza, il cointeressato dovrà ripianare, per la sua quota parte, le perdite. Ebbene, mentre per il cointeressato tale ripianamento rappresenterà un costo deducibile dal suo reddito d'impresa, per la società rappresenterà un provento imponibile, volto a neutralizzare la quota parte delle perdite sofferte di competenza del cointeressato.
Il che comporta, appunto, uno "slittamento" della perdita dalla società al cointeressato.
In tali ipotesi, si dovrà verificare se il contratto di cointeressenza risponda a precise esigenze economiche e, in caso negativo, se con lo stesso non si sia mirato a un aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario, censurabile ai sensi dell'articolo 37-bis del Dpr n. 600 del 1973.

Infine, il quesito di cui al punto sub 5. era volto a conoscere se per gli strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti - il cui rendimento sia costituito da una partecipazione al risultato economico dell'emittente e sia deducibile dal reddito imponibile estero dell'emittente stesso - posseduti da un soggetto esercente impresa commerciale, la partecipazione alle perdite sia deducibile nell'esercizio in cui si chiude l'esercizio dell'emittente a prescindere dal regolamento finanziario e se lo stesso criterio si applica per la partecipazione agli utili.
L'Agenzia delle entrate, dopo aver ricordato che tali strumenti finanziari, non essendo assimilabili alle azioni, possono essere assimilati alle obbligazioni o ai titoli atipici, ha precisato che qualora non sia riconosciuto il diritto alla restituzione integrale del capitale mutuato - come nel caso in esame - lo strumento finanziario sarà assimilato ai titoli atipici.
Ciò posto, l'Agenzia delle entrate giunge alla conclusione secondo cui "fino al momento del realizzo - cioè alla scadenza del titolo o quando lo stesso sarà ceduto - le eventuali perdite del soggetto emittente avranno rilievo per il sottoscrittore esclusivamente ai fini della valutazione dello strumento finanziario. Si applicherà, pertanto, l'articolo 94 del TUIR", e, in particolare il quarto comma dello stesso.
Ebbene, in questo caso potrebbero porsi in essere, nell'ambito di un medesimo gruppo economico, comportamenti ad hoc volti a realizzare una doppia deduzione della medesima perdita seppure con rilevanza transnazionale: una volta in capo alla società residente all'estero emittente e un'altra volta in capo al sottoscrittore residente in Italia appartenente al medesimo gruppo economico.
Peculiarità di tale seconda perdita è che non deriva da alcun realizzo del valore, ma da un atto valutativo.
Tuttavia, la deduzione della suddetta seconda perdita è negata, almeno fino al momento del realizzo dello strumento finanziario, dal combinato disposto di cui agli articoli 101, secondo comma, e 94, quarto comma, del Tuir, dal quale si desume che non sono deducibili le svalutazioni di obbligazioni e di "altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alle lettere c) e d)" dell'articolo 85 del Tuir, a condizione che tali strumenti finanziari non siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e siano ricompresi tra le immobilizzazioni finanziarie.
Nell'ammontare indeducibile delle svalutazioni dei suddetti strumenti finanziari andranno, altresì, ricompresi gli eventuali ulteriori apporti effettuati dal sottoscrittore dello strumento finanziario per ripianare le perdite della società emittente.
In conclusione, venuta meno la possibilità di svalutare con rilevanza fiscale le partecipazioni, immobilizzate o circolanti, la possibilità di portare in deduzione dal reddito di impresa perdite sofferte da società a cui, a seguito della riforma del diritto societario, è possibile partecipare a vario titolo (ad esempio, sottoscrivendo strumenti finanziari o partecipando a particolari affari), rischia di riprodurre fenomeni di doppia deduzione delle medesime perdite fiscali, una delle quali sub specie di perdita da valutazione, sistematicamente poco conciliabili con il regime di esenzione che caratterizza la nuova imposta sul reddito delle società.

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