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Attualità

La territorialità dell'imposta prescinde dalla nazionalità del progettista

L'accertata evasione del tributo impone l'apertura d'ufficio della partita Iva

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A seguito di un'indagine sul versamento dell'Iva, da parte di soggetti non residenti, per prestazioni di servizi su beni immobili presenti in Italia, si è rilevata la totale evasione del tributo da parte di progettisti esteri, i quali si sono avvalsi dell'istituto dell'outsourcing per sottrarsi agli adempimenti. L'accertamento dell'imposta dovuta comporta l'apertura d'ufficio della partita Iva in Italia al soggetto non residente che non si è avvalso della facoltà dell'identificazione diretta o non ha nominato, per l'effettuazione di quella specifica prestazione, un rappresentante fiscale.

Il percorso d'indagine sui progettisti esteri è stato suggerito, indirettamente, dai vari articoli di stampa sui grandi architetti stranieri che spesso ricevono l'incarico, dagli enti locali, di progettare particolari strutture o ammodernare il quadro urbanistico preesistente.
L'obiettivo del percorso è di controllare l'effettiva applicazione dell'Iva, da parte di soggetti non residenti, alle prestazioni di servizi riguardanti beni immobili per le quali, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, lettera a), del Dpr 633/1972, l'imposta è territorialmente rilevante in Italia, se il bene è situato nel territorio stesso.
Rilevato che tali prestazioni consistono in progetti immobiliari e pertanto l'Iva va applicata in Italia, si è constatato che quasi tutti i progettisti esteri hanno evaso l'imposta dovuta per tali prestazioni.

A seguito di invito dell'ufficio, un primo ente locale dichiarava di aver ricevuto da un ingegnere extracomunitario prestazioni di progettazione immobiliare e di aver pagato un determinato ammontare su cui non era stata applicata l'Iva dovuta.
Come già ricordato, ai sensi del decreto Iva, le prestazioni di servizi relative a beni immobili si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando l'immobile è situato nel territorio stesso, e pertanto l'imposta, nel caso di specie, è territorialmente rilevante in Italia.

Da interrogazioni effettuate in Anagrafe tributaria, però, non risultava che l'ingegnere extra Ue avesse nominato un rappresentante fiscale in Italia per adempiere gli obblighi Iva relativamente alle operazioni effettuate nel territorio dello Stato (all'attualità, come ribadito dalla risoluzione 220/2003, nessun soggetto extra Ue può identificarsi direttamente ai sensi dell'articolo 35-ter del Dpr 633/1972).
Inoltre, la nomina del rappresentante fiscale ai sensi dell'articolo 17, comma 2, del Dpr 633/1972, è obbligatoria qualora il soggetto non residente effettui nel territorio dello Stato operazioni soggette a Iva nei confronti di committenti che non agiscono nell'esercizio di imprese, arti o professioni (nel caso di specie, infatti, il Comune, agendo nell'ambito della sua attività istituzionale, non può essere considerato soggetto Iva).

L'ente locale, condividendo la tesi dell'ufficio, contattava l'ingegnere il quale, eleggendo domicilio presso il Comune medesimo, apriva partita Iva in Italia al fine di pagare l'imposta dovuta, come da avviso di accertamento notificato al professionista, per il quale vi è stata completa acquiescenza.

Per quanto riguarda un secondo Comune, occorre innanzitutto precisare che anche tale ente ha stipulato convenzioni con alcuni architetti esteri, ma solo uno di essi, sempre per un incarico di progettazione, ha nominato un rappresentante fiscale in Italia che ha rilasciato regolare fattura con applicazione dell'Iva.
Per la progettazione di un imponente complesso immobiliare, l'ente locale ha corrisposto un determinato corrispettivo a un architetto comunitario il quale ha emesso a proprio nome fatture "estere" non contenenti, comunque, neanche l'Iva del paese estero (ciò per chiarire che l'Iva, dovuta comunque in Italia ai sensi del richiamato articolo 7 del Dpr 633/1972, non è stata applicata neanche nello Stato Ue di residenza del progettista, ovvero, cosa più grave, per tali prestazioni l'Unione europea non ha incassato alcuna imposta sul valore aggiunto).
L'architetto comunitario, dunque, non ha nominato alcun rappresentante fiscale in Italia (solo dal 14 settembre 2002 è possibile, per i soggetti Ue, identificarsi direttamente ai sensi dell'articolo 35-ter del Dpr 633/1972) per le prestazioni di progettazione dell'opera pubblica sita in Italia.

Passando a un altro architetto comunitario, lo stesso Comune ha stipulato con tale professionista una prima generale convenzione (che per grandi linee indicava quali aree urbane sarebbero state oggetto di intervento architettonico), a cui ne sono seguite delle altre più settoriali e specifiche riguardanti la redazione di veri e propri progetti per i quali tale architetto ha ricevuto i relativi corrispettivi.
Anche quest'ultimo progettista estero non ha nominato alcun rappresentante fiscale in Italia per i progetti effettuati e non ha versato l'Iva dovuta. Le fatture "estere" presentate all'ente locale, inoltre, non contengono neanche l'Iva estera (anche se l'Iva è territorialmente rilevante in Italia), e anche in questo caso nelle casse dell'Ue non è entrata Iva alcuna, né dal Paese di residenza dell'architetto né dall'Italia, per le prestazioni di progettazione effettuate in Italia (infatti ogni Stato membro deve versare al bilancio comunitario una parte delle "risorse proprie" derivanti dall'Iva nazionale incassata).

In particolare, per le fatture estere rilasciate, l'architetto comunitario si è avvalso dell'istituto dell'outsourcing, molto diffuso in Europa, che consente al prestatore (o cedente) di far emettere fattura, per proprio conto, da un terzo soggetto: in particolare, le fatture per conto del professionista estero sono state emesse da una società con sede in altro Stato Ue. La responsabilità fiscale, comunque, ai sensi dell'articolo 21, comma 1, del Dpr 633/1972, e come ribadito anche dalla circolare 45/2005, rimane sempre in capo al prestatore.

E' chiaro, dunque, che i due architetti hanno effettuato progettazioni di immobili con una evasione Iva assoluta, nel senso che l'imposta non solo non è stata applicata in Italia (dove era dovuta), ma non è stata applicata neanche nei loro rispettivi Paesi, e ciò si evince dalle fatture "estere" che gli stessi hanno emesso (direttamente o avvalendosi dell'istituto dell'outsourcing) senza applicazione dell'Iva.

A conforto di quanto innanzi esposto, si richiama la sesta direttiva Cee che uniforma la normativa Iva fra tutti i Paesi membri dell'Unione europea e che, all'articolo 9, comma 2, lettera a), testualmente recita: "Il luogo delle prestazioni di servizi relative a un bene immobile, incluse le prestazioni di agente immobiliare e di perito, nonché le prestazioni tendenti a preparare o a coordinare l'esecuzione di lavori immobiliari come, ad esempio, le prestazioni fornite dagli architetti e dagli uffici di sorveglianza, è quello dove il bene è situato".

In conclusione, al fine di accertare l'Iva dovuta, si aprirà d'ufficio la partita Iva in Italia ai due architetti comunitari. Inoltre, tale procedura si applica non solo per gli anni anteriori al 2002 (anno in cui è entrato in vigore l'istituto dell'identificazione diretta ex articolo 35-ter del Dpr 633/1972), ma anche per gli anni successivi se il soggetto non residente non si è avvalso della facoltà dell'identificazione diretta o non ha nominato, per l'effettuazione di quella specifica prestazione, un rappresentante fiscale.

Ultima considerazione da svolgere è che gli enti locali, agendo nell'ambito della propria attività istituzionale, non possono sicuramente considerarsi soggetti Iva. Solo per i committenti Iva, infatti, vi è l'obbligo di autofatturarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, del Dpr 633/1972, quando l'imposta sia territorialmente rilevante in Italia e il prestatore estero non si sia identificato direttamente o non abbia nominato un rappresentante fiscale al fine di ottemperare agli obblighi Iva.
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