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Attualità

Transfer pricing, dall'individuazione alla risoluzione delle controversie (1)

Problematiche relative alle imposte dirette nella determinazione dei prezzi di trasferimento

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I principi di determinazione dei "prezzi di trasferimento" degli scambi internazionali sono dettati, nell'ambito dell'Unione europea, dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che nel rapporto "Transfer pricing and multinational enterprices", del 1979, ha stabilito il postulato base da rispettare nel contrasto ai fenomeni di transfer pricing, quello dell'"arm's length" o della "libera concorrenza". Tali principi, nel 1984 e nel 1987, sono stati riveduti e adeguati dalla stessa Ocse, fino ad arrivare alla stesura nel 1995 dell'ultimo rapporto, dal titolo "Transfer pricing guidelines for multinational enterprises and tax adminitrations".

Secondo le indicazioni di tale rapporto, i prezzi di vendita praticati tra le consociate devono essere adeguatamente valutati dalle Amministrazioni dei territori interessati, al fine di verificare se le condizioni economiche applicate e quelle fiscali non sono alterate da fenomeni distorsivi e rispondono ai principi di libera concorrenza.
La normativa italiana, in particolare, ha recepito nell'ordinamento giuridico le direttive Ocse nelle circolari 32, protocollo 9/2267, del 22 settembre 1980, e 42 del 12 dicembre 1981, e negli articoli 9 e 110 del Tuir, e non consente, in ossequio alle disposizioni internazionali, che un'impresa ceda beni, servizi o diritti propri a una sua consociata o controllata a prezzi più bassi di quelli generalmente praticati alle altre imprese. La presenza di vantaggi compensativi o intenzionali nella determinazione del valore di scambio (dovuti, ad esempio, allo svolgimento da parte di talune società di funzioni interne per conto del gruppo, quali servizi di marketing o di garanzia bancaria) riduce, infatti, i margini di utile applicati e modifica gli equilibri di mercato, creando posizioni di vantaggio (minori ricavi o minori costi a seconda dei casi) e consentendo, in contemporanea, trasferimenti di capitale (non tassati in quanto non dichiarati) a società estere o in territori privilegiati.

La disciplina del transfer pricing in chiave antielusiva valuta in base al valore normale i beni ceduti e i servizi prestati, ribaltando l'onere della prova sulle società che, tramite transazioni infragruppo antieconomiche, manovrano i prezzi al fine di pilotare a piacimento gli utili nella ricerca di un arbitraggio fiscale.
L'individuazione di corrispettivi non conformi al prezzo di libero mercato, ossia al prezzo mediamente pattuito in condizioni similari e per lo stesso tipo di prodotto o servizio, comporta in fase di accertamento del fenomeno, il recupero della quota parte di minor costo o di maggior ricavo trasferito in capo a un soggetto collegato o controllato. Nella determinazione di tale valore reddituale occorre valutare attentamente i criteri di calcolo dei prezzi nelle transazioni e il momento di imputazione.

L'applicazione del criterio del "valore normale", previsto dall'articolo 110 del Tuir, in materia di prezzi di trasferimento e la rideterminazione degli stessi può implicare:

  1. variazioni in aumento del reddito, che rilevano nel calcolo della base imponibile Ire, Ires e Irap
  2. variazioni in diminuzione del reddito che, invece, non rilevano, ai sensi del comma 7 dello stesso articolo 110 del Tuir, poiché individuano valori da chiedere a rimborso, soltanto dopo che siano state istaurate e quindi definite, in senso favorevole per il contribuente, le "procedure amichevoli" previste dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi.

Le rettifiche operate dagli organi accertatori ai valori applicati in occasione di transazioni infragruppo possono comportare fenomeni di doppia imposizione internazionale quando i maggiori componenti positivi di reddito o i minori componenti negativi accertati in uno Stato, non siano riconosciuti quali maggiori componenti negativi o minori componenti positivi nello Stato di residenza dell'impresa associata controparte dell'operazione.
L'articolo 9 del modello Ocse, pertanto, detta le regole al fine di limitare il fenomeno della doppia imposizione sopra descritto. In pratica la disposizione stabilisce che se uno Stato rettifica il reddito in aumento, in seguito alla correzione dei prezzi di trasferimento interni, l'altro Stato provvederà a effettuare una rettifica corrispondente in diminuzione del reddito.

Il commentario Ocse precisa, in proposito, che il secondo Stato non è automaticamente obbligato a rettificare in diminuzione i redditi della società controparte residente. La correzione è dovuta solo se il secondo Stato ritiene che gli utili recuperati dal primo riflettano correttamente gli utili che si sarebbero avuti se la transazione fosse avvenuta al prezzo di libera concorrenza. Lo stesso commentario non specifica il metodo con il quale deve essere effettuata la correzione, ma è lasciato spazio ai Paesi contraenti di concordare bilateralmente le regole specifiche che essi desiderano aggiungere all'articolo. La maggior parte dei trattati bilaterali stipulati dall'Italia per prevenire le doppie imposizioni contiene una disposizione simile a quella dell'articolo 9, paragrafo 1, del modello Ocse, con statuizione dell'arm's lenght principle per le transazioni tra imprese associate.

La determinazione dei prezzi di trasferimento nelle imposte sui redditi
L'articolo 110, comma 7, del Tuir disciplina le regole da seguire nella determinazione dei prezzi di trasferimento e dispone una "valutazione al valore normale dei componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa". Tale dettame prevede alcuni presupposti di applicazione:

  • la necessità della presenza di un soggetto estero
  • il requisito d'impresa
  • la nozione di controllo
  • lo scostamento dal "valore normale".

I beni e i servizi oggetto di valutazione reddituale, in particolare, devono essere accertati a norma degli articoli 110, comma 2, e 9, comma 3, del Tuir da esso richiamato (quando non diversamente disposto) ai sensi del quale per valore normale si intende il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.

Il valore normale fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Lo stesso articolo 9, al comma 4, precisa che il valore normale è determinato:

  • per azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi relativi all'ultimo mese
  • per le altre azioni, le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente, ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, all'ammontare complessivo dei conferimenti
  • per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati ai primi due punti, comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo.

La nozione generale di valore normale, quindi, fa rimando al prezzo mediamente praticato in condizioni di libera concorrenza e si avvale di tariffe o metodi di confronto del prezzo tra operatori di beni e servizi simili.

Il ministero delle Finanze, nella circolare n. 32 del 1980, individua tre metodi base, o tradizionali, per la determinazione del "valore normale" mutuati dal rapporto Ocse:

  1. il confronto del prezzo
  2. il prezzo di rivendita
  3. il costo maggiorato.

Laddove tali metodi non possano trovare applicazione, sia per la mancanza di situazioni comparabili sia per l'impossibilita di addivenire a un confronto attendibile tra le cessioni o prestazioni, è possibile ricorrere a metodi alternativi, sempre nel rispetto del principio della libera concorrenza, quali la "ripartizione dei profitti globali", la "comparazione dei profitti", la "redditività del capitale investito" o i "margini lordi del settore economico".

1 - continua

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