Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Attualità

Transfer pricing e clausola antielusiva Un'assimilazione che non convince

Le considerazioni che spingono a esprimere disaccordo con quanto affermato dai giudici di legittimità

_1243.jpg

La Cassazione, con sentenza n. 22023 del 22 giugno 2006, depositata il successivo 13 ottobre, ha, da un lato, sancito la validità giuridica a livello di canone ermeneutico del rapporto Ocse sui prezzi di trasferimento del 1995, stabilendo, dall'altro, che il contribuente non è tenuto a dimostrare la correttezza dei prezzi di trasferimento applicati, se non prima che l'Amministrazione fiscale abbia essa stessa provato "prima fàcie" il mancato rispetto del valore normale.

L'Amministrazione, aderendo alla tesi sostenuta dagli organi verificatori, ipotizzava un costo maggiore di quello normale da stabilire secondo le previsioni del combinato disposto dagli articoli 76, comma 5 (ora articolo 110, comma 7), e 9 del Tuir, basandosi sulla circostanza che la consociata italiana di un gruppo automobilistico, distributrice sul mercato domestico, si fosse accollata senza compenso l'onere delle riparazioni e manutenzioni delle vetture nuove gravante ex lege, ai sensi dell'articolo 1490 cc, sulle società costruttrici estere del gruppo.

La Cassazione ha scardinato la tesi dell'Amministrazione sostenendo che fosse quest'ultima onerata di dimostrare in concreto che la regola di assorbimento della garanzia non fosse stata rispettata, costituendo un metodo elusivo per ridurre gli utili in Italia a favore di un incremento degli stessi in paesi a più bassa fiscalità. Più specificatamente, la Suprema corte ha affermato che l'ufficio avrebbe dovuto innanzitutto accertare se, realmente, la fiscalità in Italia fosse all'epoca dei fatti superiore rispetto a quella in vigore nei paesi di provenienza dei veicoli compravenduti (Germania, Francia, Gran Bretagna), e solo in seguito rettificare a valore normale il prezzo dei veicoli acquistati dalla consociata italiana, nel rispetto del principio di libera concorrenza stabilito dall'Ocse(1).

L'applicazione del principio di libera concorrenza esige il confronto delle condizioni di una transazione controllata con le condizioni di una transazione indipendente (cosiddetta comparability analysis), essendo il riscontro con operazioni di mercato comparabili requisito per la determinazione del valore normale dei beni compravenduti dalla consociata italiana. In tal senso, i giudici di legittimità hanno rilevato che l'ufficio avrebbe dovuto "determinare il valore normale dei veicoli acquistati verificando, in concreto, se i corrispettivi pagati alle proprie consociate estere fossero effettivamente superiori a tale valore...omissis...mediante confronto dei prezzi praticati all'interno del gruppo con quelli praticati da altre imprese concorrenti...omissis....[l'Ufficio] essendosi limitato a fare riferimento alla particolari condizioni contrattuali esistenti tra le parti...", e che l'onere della prova in materia di transfer pricing grava sull'Amministrazione finanziaria, sulla scorta delle indicazioni contenute nel rapporto Ocse del 1995, il quale, al paragrafo 4.13, prevede che "...laddove per questioni di diritto interno l'onere della prova gravi sull'amministrazione fiscale, il contribuente non può essere giuridicamente obbligato a provare la correttezza del proprio transfer pricing, a meno che l'amministrazione fiscale, non costituisca una presunzione valida sino a prova contraria, dimostrando che la determinazione del prezzo non è conforme al principio di libera concorrenza".

Tuttavia, l'articolo 110, comma 7, del Tuir, costituendo norma sostanziale che incide sulla determinazione del tributo, impone l'obbligo specifico a carico delle imprese residenti di valutare a valore normale le transazioni infragruppo. Ciò dovrebbe comportare per le imprese che determinano il proprio transfer pricing, l'onere di usare i medesimi principi di diligente e prudente gestione aziendale utilizzabili nella valutazione di una decisione industriale o commerciale, avente analogo livello di complessità e importanza, opportunamente documentati(2).

Del resto, il rapporto Ocse del 1995(3) precisa che, persino nel caso in cui l'onere della prova gravi sull'Amministrazione finanziaria, è ragionevole che quest'ultima richieda al contribuente di produrre la documentazione a supporto della propria politica dei prezzi di trasferimento. Non appare, pertanto, condivisibile, anche alla luce della asimmetria informativa tra contribuente e verificatori, ritenere che il contribuente non sia tenuto a documentare in alcun modo la propria politica di transfer pricing, sulla base della circostanza che l'onere della prova gravi sulla Amministrazione finanziaria e non sussistendo specifiche previsioni normative in materia di obblighi documentali.

In sede comunitaria, il "Forum congiunto dell'UE sui prezzi di trasferimento", istituito dalla Commissione europea nel giugno del 2002, si è intensamente dedicato alla questione dei requisiti documentali in materia di prezzi di trasferimento per le imprese associate residenti nell'Ue, elaborando un nuovo approccio definito "Documentazione dei prezzi di trasferimento nell'UE" (Dpt Ue), alla base della proposta del 10 novembre 2005 al Consiglio dell'Ue del relativo "Codice di Condotta". Alla luce delle precisazioni Ocse e della valenza sostanziale della normativa sul transfer pricing, si può affermare che, pur spettando all'Amministrazione finanziaria la dimostrazione che la valutazione effettuata dal contribuente non sia conforme al valore normale, l'omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti necessari per dimostrare che le transazioni sono, al contrario, avvenute al valore normale, comporta una maggiore forza probatoria degli elementi utilizzati per la rettifica del valore della transazione (cosiddetta "inversione pratica" dell'onere della prova, sostenuta da parte della dottrina).

Ciò nondimeno, la questione più pressante che emerge dalla lettura della sentenza verte sulla ratio legis dell'istituto stesso del transfer pricing e sull'inquadramento a sistema, sia nazionale che sovranazionale, che i giudici di Cassazione ne fanno. Sembra, difatti, esser giunti a una svolta interpretativa della norma interna originaria della disciplina, avente potenzialmente la forza di inibirne l'applicazione. L'assimilazione effettuata dalla Suprema corte dell'articolo 110, comma 7, del Tuir, alla clausola antielusiva generale, dettata dall'articolo 10 della legge 408/1990, oggi sostituito dall'articolo 37-bis del Dpr n. 600/73, il quale consente all'Amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi fiscali conseguiti tramite comportamenti volti ad aggirare il sistema fiscale, poste in essere senza valide ragioni economiche, induce la stessa a sostenere che incomba sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare la ricorrenza di taluni presupposti elusivi (l'indebito risparmio d'imposta e l'assenza di valide ragione economiche(4)) che, per la disciplina in questione, si sostanziano nello spostamento di utili dall'Italia a favore di tassazioni estere inferiori.

Occorre tuttavia rilevare che la differenza sostanziale tra la disciplina del transfer pricing e la norma antielusiva generale, di cui all'articolo 37-bis del Dpr n. 600/73, risiede nella circostanza che la finalità precipua del transfer pricing, ratio legis anche della disciplina nazionale, dovrebbe essere quella "di assicurare la corretta base imponibile in ciascuna giurisdizione e di evitare la doppia imposizione, riducendo in tal modo il conflitto tra le amministrazioni fiscali e promuovendo il commercio e gli investimenti internazionali", come ricavato dalla sua stessa fonte più autorevole(5).

Peraltro, se è vero che l'articolo 110, comma settimo, del Tuir svolge anche una funzione antielusiva e che le manovre sui prezzi di trasferimento, di conseguenza, si ripercuotono nella determinazione degli utili delle singole imprese associate, alterando componenti reddituali positive o negative rispetto al valore normale, è altrettanto vero che tali manovre, pur implicando alterazioni nel livello di tassazione dei singoli Stati, possono non essere preordinate ai fini fiscali, ma piuttosto ispirate da finalità economico-strategiche più o meno palesi (e lecite).

Le ragioni che inducono a introdurre alterazioni dei prezzi normali di mercato nei rapporti commerciali e finanziari infragruppo possono essere molteplici: scoraggiare rivendicazioni salariali a livello locale, influenzare il credit rating, drenare gli utili della capogruppo, giustificare pressioni presso le autorità governative locali sui prezzi nei mercati regolamentati, diminuzione del grado di concorrenza in un mercato, estromettere soci di minoranza a livello locale e così via. In tal senso, potrebbe risultare improbo per i verificatori sondare motivazioni economiche-strategiche talvolta note soltanto a livello "corporate", al fine di riconoscerne o meno l'economicità.

A fortiori ratione, l'onere di provare la sussistenza di una minore fiscalità al tempo dell'effettuazione delle operazioni controllate nello Stato che ha beneficiato del trasferimento della materia imponibile (che sostanzia l'indebito risparmio d'imposta), potrebbe risultare ancorché fuorviante, impossibile. Ci si dovrebbe districare non solo tra aliquote, ma tra un susseguirsi nel tempo di agevolazioni, esenzioni, normative nazionali sulla deducibilità di determinate componenti di costo e quant'altro, mentre l'eventuale presenza di perdite pregresse riportabili potrebbe addirittura rendere superflua la verifica dello stesso requisito della minore fiscalità.

Non si dovrebbe infine dimenticare che la distrazione di utili dall'Italia verso i cosiddetti paradisi fiscali viene contrastata da disposizioni antielusive speciali (articoli 167, 168 e 110, commi 10 e 11, del Tuir). La variabile fiscale, quindi, può sicuramente giocare il proprio ruolo nella determinazione dei prezzi di trasferimento, sebbene non necessariamente esclusivo o preminente, mentre la valenza sostanziale della normativa sul transfer pricing consente di affermarne l'applicabilità a prescindere dalle motivazioni che ne hanno indotto la violazione.

NOTE:
1) L'enunciazione ufficiale del principio di libera concorrenza si trova nel paragrafo 1 dell'articolo 9 del Modello di convenzione fiscale Ocse: "[Qualora esistano] condizioni convenute o imposte tra...due imprese [associate] nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che, in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza".

2) Ocse, Direttive sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, paragrafi 5.4 - 5.6, 1995.

3) OCSE, Direttive sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, paragrafo 5.2, 1995.

4) La Cassazione sostiene la razionalità economica dell'operato della società verificata affermando che: "...tali meccanismi di vendita non fossero di per sé anomali bensì razionalmente spiegabili ed economicamente giustificabili per esigenze di politica commerciale e di immagine quali...omissis...finalità queste tutte plausibili che concorrono a svilire ogni ipotizzato intento elusivo privo, anche per questo, di pertinenti riscontri probatori".

5) Ocse, Direttive sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, paragrafo 7, 1995

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/attualita/articolo/transfer-pricing-e-clausola-antielusiva-unassimilazione-che-non-convince