
Lo stato dell’arte
Per comprendere a fondo la ratio legis della disposizione nazionale sui prezzi di trasferimento non si può che fare riferimento ai lavori dell’Ocse ricorrendo ad un breve excursus storico. È difatti noto che l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nell’ambito dell'attuazione dei propri compiti istituzionali (tra i quali l’elaborazione di politiche intese ad assicurare la crescita e la stabilità economica e la cooperazione tra governi) si è ampiamente dedicata alla materia dei prezzi di trasferimento. Per l’appunto in seno all’Ocse è stato elaborato il principio cardine in materia di determinazione dei prezzi di trasferimento, ovvero il cosiddetto principio di libera concorrenza (arm’s lenght principle) trasposto nel nostro ordinamento nel concetto di "valore normale" contenuto nell’articolo 9 del Testo Unico. Tale principio ha segnato il passaggio dalla unitary entity theory alla separate accounting theory.
Il fondamento delle due teorie
La prima teoria ha dato vita al metodo globale di tassazione unitaria dei gruppi il quale prevede che il gruppo venga tassato quale unica entità economica cosicché il reddito complessivo debba essere suddiviso tra le parti di cui l’entità si compone in base a formule predefinite. La seconda teoria si fonda all'opposto sul metodo basato su entità separate che esige che ciascuna entità di un gruppo multinazionale venga considerata autonomamente rispetto alle altre. Per assicurare la corretta applicazione di quest’ultimo metodo, le contrattazioni infragruppo devono essere determinate alle stesse condizioni che sarebbero convenute da imprese indipendenti. Questo è, in estrema sintesi, il concetto espresso dal principio di libera concorrenza che trova la propria espressione compiuta nel primo comma dell’articolo 9 del Modello Ocse di Convenzione fiscale e il suo più evoluto sviluppo nelle direttive Ocse sui prezzi di trasferimento del 1995.
Principio di libera concorrenza e tassazione internazionale
Da un punto di vista sistematico il principio di libera concorrenza, che si basa per l’appunto sull’approccio per entità separate, deve essere inquadrato nell’ambito delle regole di tassazione internazionale volte ad evitare la doppia imposizione. È facile intuire che, in assenza di uno standard condiviso per la corretta ripartizione della basi imponibili tra Stati, oltre al rischio di doppia o multipla imposizione sugli stessi utili, si potrebbe innestare una spirale dannosa di concorrenza fiscale determinata dal prevalere di regole unilaterali di determinazione dei prezzi di trasferimento che avvantaggino lo Stato che le applica. Un simile contesto, alterando il terreno competitivo a livello internazionale, sarebbe di sicuro ostacolo alla crescita economica. In tal senso, l’arm’s lenght principle così come il criterio di ripartizione dei profitti globali sulla base di formule predefinite, sebbene nettamente diversi sia dal punto di vista concettuale che operativo, nel fornire uno strumento internazionalmente riconosciuto volto ad evitare la doppia imposizione, si pongono il medesimo obiettivo.
Vantaggi e svantaggi
Tra i due metodi, però, la ripartizione in base a formule predefinite rispetto all’arm’s lenght principle presenta più svantaggi che vantaggi ed è stato per questo abbandonato fin dalla adozione delle prime direttive del 1979. Il primato del principio di libera concorrenza è ampiamente argomentato nelle direttive del 1995, sia con motivazioni di carattere pragmatico che teorico. In primis, le guideline rilevano le difficoltà insite nella condivisione delle formule allocative a livello internazionale, in particolare considerando che ogni Stato cercherebbe di dare maggior risalto nella formula di ripartizione ai fattori che predominano nella propria giurisdizione. Non meno importante appare l’argomento dettato dall’arbitrarietà delle formule stesse che non potrebbero tenere conto delle condizioni specifiche in cui le imprese agiscono in relazione alle funzioni svolte ed ai rischi sostenuti, potendosi così verificare che venga assegnato un profitto ad una entità che si esporrebbe a perdite nel caso fosse un’impresa indipendente. Viceversa, il principio di libera concorrenza riflettendo la realtà economica evita di creare distorsioni fiscali sulla competizione nei mercati, garantendo parità di trattamento fiscale tra imprese che fanno parte di gruppi multinazionali e imprese indipendenti.
Le conclusioni
In conclusione, l’arm’s lenght dealing si pone come criterio di valutazione dei componenti positivi e negativi di reddito allorquando le condizioni alle quali è sottoposta la transazione possono essere facilmente alterate poiché sotto il controllo di un medesimo soggetto economico ed è, da un lato, volto a evitare la doppia imposizione, dall’altro è posto a presidio della congruità delle basi imponibili nazionali e a tutela della concorrenza e della competitività. Alla luce dell’analisi sviluppata dovrebbe emergere in tutta evidenza che la ratio del principio di libera concorrenza diverge sensibilmente da una finalità antielusiva che rappresenta semmai un effetto secondario che scaturisce dall’applicazione del principio stesso. Del resto, le direttive Ocse del 1995 espressamente affermano che: "la valutazione del transfer pricing non deve essere confusa con la valutazione dei problemi relativi alla frode o elusione fiscale anche se le politiche di transfer pricing possono essere utilizzate a tali fini". La materia dei prezzi di trasferimento attiene quindi al diritto sostanziale e nel nostro ordinamento la disposizione normativa relativa al transfer pricing è difatti contenuta nel comma 7 dell’articolo 110 del Testo Unico, anziché nel D.P.R. 600/73 in materia di accertamento.