
La nozione di "residenza normale"
La Corte di Giustizia, interpretando l’articolo 6 della direttiva 83/1993, ha precisato quali sono i criteri da valutare ai fini della qualificazione della nozione di residenza normale, che prescinde dalla definizione degli ordinamenti interni. Secondo i giudici comunitari, infatti, la residenza normale "deve essere considerata come il luogo in cui l’interessato ha stabilito il centro permanente dei suoi interessi" (v. per analogia, sentenze Ryborg, punto 19, e Louloudakis, punto 51). Il criterio della permanenza è individuato nella stessa direttiva, che fissa una soglia minima di dimora di almeno 185 giorni l’anno. Tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire: la presenza fisica della persona che invoca l’applicazione di franchigie, quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo in cui i figli vanno a scuola, quello dell’esercizio delle attività professionali, quello in cui vi sono gli interessi patrimoniali, dei legami amministrativi con le autorità pubbliche o gli organismi sociali. La Corte, però, sostiene che non è sufficiente il solo elemento di fatto, personale o professionale che sia, perché quest’ultimo deve coincidere con la volontà di risiedere in un determinato Stato. Inoltre la Corte stabilisce un criterio di priorità prevedendo che, qualora una valutazione globale dei legami professionali e personali, non sia sufficiente a individuare il centro permanente degli interessi di una persona, deve essere data preminenza ai legami personali.
L’applicazione di franchigie fiscali ai lavoratori
La direttiva comunitaria n. 83/183 del 28 marzo 1983, modificata dalla 89/604, recepita nell’ordinamento italiano con la legge n. 479 del 26 novembre 1992, si pone l’obiettivo di favorire la libera circolazione delle persone, eliminando ostacoli all’importazione di beni da parte di privati, fissando franchigie fiscali. Nel caso di specie la Corte di Giustizia ha chiarito che l’esclusione dal pagamento dei tributi per l’importazione di beni personali, nel caso di trasferimento di residenza, deve essere prevista anche laddove la direttiva n. 83/183 non sia applicabile. Questo è in linea con il trattato 39 Ce, che assicura il diritto alla libera circolazione del lavoratori. In ogni caso, toccherà al giudice nazionale verificare concretamente se il pagamento di tributi conduce ad una situazione svantaggiosa per il lavoratore che risiede in modo permanente in un Paese membro.