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Attualità

Zone franche, cambiamenti in vista con il nuovo codice doganale

Per le merci non comunitarie e, a certe condizioni per le comunitarie, nessun dazio sui depositi e tantomeno altri oneri e misure di politica commerciale

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A pochi mesi dall’aggiornamento del codice doganale comunitario è finalmente possibile fare un bilancio sul nuovo assetto doganale dell’Unione europea voluto dal Parlamento europeo e dal Consiglio che, congiuntamente, hanno lavorato allo scopo di rendere concreta l’applicazione delle misure tariffarie e di altre misure vigenti in ambito comunitario anche alle transazioni con Stati o territori che non fanno parte del territorio doganale della Comunità. La novità, attuata con il regolamento n. 450/2008, rappresenta il momento d’arrivo di un lungo processo di elaborazione della normativa decollato con il regolamento del Consiglio n. 2913 del 12 ottobre 1992 che è stato nel tempo sempre più adattato all’esigenza, condivisa dagli operatori economici e dalle autorità doganali, di omogeneizzare le procedure doganali dei vari Paesi (dotati di propria autonomia fin dagli anni ottanta) particolarmente dopo i richiami conseguenti alla Convenzione riveduta di Kyoto circa l’attivazione di procedure elettroniche semplificate.


Lo sdoganamento centralizzato

La Convenzione riveduta di Kyoto ha imposto la presentazione, registrazione e controllo della dichiarazione in dogana prima dell’arrivo delle merci e la separazione del luogo in cui la dichiarazione viene presentata da quello in cui le merci sono ubicate. In tale ottica il nuovo codice doganale realizza lo sdoganamento centralizzato dando facoltà agli operatori di utilizzare le dichiarazioni semplificate, periodiche con dilazione di pagamento.


La gestione del commercio internazionale

Vediamo, in concreto, l’impatto che sta avendo la normativa regolamentare nella gestione del commercio internazionale e quali sono gli elementi di novità ed apprezzabilità. L’uso delle informazioni e comunicazioni tecnologiche (meglio note come Tic) ha già prodotto risultati ottimali in quanto l’applicazione della via elettronica a tutte le operazioni doganali e commerciali offre agli operatori economici le stesse possibilità in ciascuno Stato membro deflazionando i comportamenti anticoncorrenziali in entrata e in uscita dalla Comunità.


I controlli e le sanzioni

Analogo intento armonizzativo investono le misure di controllo e l’attività sanzionatoria. Le autorità di controllo (polizia, guardie di confine, autorità veterinarie e ambientali) agiscono in sintonia come recettori delle richieste avanzate dagli operatori evitando che quest’ultimo debba lasciare la propria "dichiarazione" a ciascuno di essi dell'atto del controllo. Altra novità che sta riducendo in modo significativo il contenzioso è la nomina del rappresentante doganale non più oggetto di riserva normativa interna e il contenuto ampio del mandato che oltre allo status di operatore economico autorizzato viene abilitato anche a prestare servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito.


Il capitolo delle zone franche

Una delle modifiche più importanti degna di menzione è quella relativa alla configurazione giuridica delle zone franche dove le merci non comunitarie, e a certe condizioni anche quelle comunitarie, possono essere depositate senza essere soggette ai dazi all’importazione, altri oneri e misure di politica commerciale. All’interno delle zone franche doganali è possibile svolgere, a condizioni agevolate, non soltanto il magazzinaggio ma anche attività industriali, commerciali e di servizi, soprattutto quelle di trasformazione delle merci che transitano lungo le rotte internazionali, grazie alla possibilità di vincolare queste ultime ad altri regimi doganali che consentono tali usi. Il nuovo codice doganale ha semplificato e specificato i regimi speciali definendo i criteri di accertamento del momento in cui sorge l’obbligazione doganale che il codice del 1992 aveva lasciato in ombra.


Eliminata la distinzione tra deposito franco e zona franca

Le nuove norme, infatti, hanno eliminato la distinzione tra deposito franco e zona franca, inserito le zone franche tra i regimi doganali speciali di deposito e non più tra le altre destinazioni doganali e, soprattutto, abolito le zone franche "non intercluse" (di cui all’articolo 168 bis del previgente codice), ossia quella particolare zona, la prima e unica zona franca "non interclusa" in Italia. Istituita dall’agenzia delle Dogane il 1° agosto 2003, era situata all’interno dell’area portuale di Gioia Tauro che, con la desuetudine delle zone franche tradizionali, si sarebbe imposta con una propria fisionomia, non gravata da vincoli formali tipici delle zone franche tradizionali ma soggetta a obbligazione doganale semplificata e applicabili secondo le modalità del regime del deposito doganale (controlli di tipo II, secondo quanto stabilito dal Regolamento CE n. 993/2001).

I problemi di sicurezza connessi alla registrazione delle merci

L’individuazione delle zone franche rappresenta una questione di non poco conto anche per i problemi di sicurezza connessi alla registrazione delle merci in entrata e alla determinazione del momento in cui sorge l’obbligazione doganale. In questa prospettiva viene consentito l’uso di una garanzia unica per tutte le categorie di regimi speciali a copertura di più transazioni. Per contenere le pratiche fraudolente vengono stabilite misure differenziate per l’applicazione della garanzia globale lasciando impregiudicata sia la possibilità di vietarla, ove il rischio di frode diventi elevato, che il rapido svincolo delle merci ove l’operatore economico fornisca anticipatamente le informazioni necessarie per i controlli sull’ammissibilità delle merci "a rischio". La previsione di regimi speciali pone in questa fase ancora interrogativi e la valutazione sulla bontà della definizione è al momento ancora prematura lasciando aperto l’enigma sull’autorità più dotata nella realizzazione efficace degli obiettivi del Regolamento istitutivo del codice aggiornato. Un conseguimento  salvaguardato dalla normativa comunitaria che demanda alla Comunità il diritto di intervenire in base al principio di sussidiarietà (articolo 5 del trattato) ove gli Stati non provvedano in misura sufficiente.  

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