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Dal mondo

Africa, lo stato dell’uguaglianza
di genere nel Fisco di 16 Paesi

Nelle Amministrazioni fiscali del continente il 76% dei dirigenti sono uomini

Africa Gender Policies

Studi e indagini recenti hanno dimostrato che, per quanto le politiche fiscali di gran parte dei Paesi africani siano state riformate per ridurre i pregiudizi “espliciti” di genere, contengono ancora tracce evidenti di pregiudizi “impliciti”, anche se all’apparenza meno evidenti. Uno squilibrio questo che si rivela penalizzante sia sul piano sociale che su quello della crescita. Il gender gap infatti, ha un impatto estremamente negativo sullo sviluppo e sulle economie dei Paesi incapaci o restii ad introdurre le necessarie riforme. È in questo contesto che s’inserisce lo studio “Sono state sviluppate politiche fiscali per ridurre la disuguaglianza di genere nei Paesi membri dell’ATAF?” realizzato dal Forum delle Amministrazioni Fiscali Africane, ATAF, con l’obiettivo di fornire una panoramica aggiornata sulle normative fiscali vigenti nei Paesi africani in modo da valutare se riducono o ampliano la disuguaglianza di genere.

Il modello seguito per fissare l’istantanea del gender gap del fisco africano
L’indagine è condotta su un campione stratificato di 16 Paesi africani rappresentativi delle 4 diverse aree geografiche del Continente africano, quella in cui si parla francese, quella anglofona, quella portoghese e la lunga cintura settentrionale dove prevale la lingua araba. L’obiettivo della ricerca consiste nell’individuare un kit di contenuti sui quali disegnare politiche fiscali orientate verso una maggiore uguaglianza di genere riguardo la tassazione. A tal fine, le misure fiscali studiate sono suddivise sulla base di due tipi distinti di pregiudizi di genere, quelli espliciti, più grossolani ed evidenti nella lettura delle norme, che deliberatamente creano una disuguaglianza di genere, e quelli impliciti, più sottili e nascosti. Inoltre, una ulteriore suddivisione riguarda la ripartizione dei pregiudizi di genere a seconda che si tratti dell’Iva, dell’imposta sui redditi delle persone o dell’imposta sui profitti.

Nel 2019 il 76% delle posizioni di vertice nelle Amministrazioni era ricoperto da uomini
Il primo dato di squilibrio è quello del numero delle donne nei ruoli direttivi o di vertice delle Amministrazioni fiscali africane. In pratica, il dato più recente, il 2019, vede tali posizioni ricoperte nel 76% dei casi da uomini. Una sproporzione evidente con in testa le amministrazioni del Gambia e della Nigeria, dove non compaiono donne nei ruoli direttivi ma soltanto uomini. All’estremo opposto, l’Agenzia delle Entrate delle Seychelles vanta il 65% di donne in ruoli di vertice, la maggioranza. Un equilibrio quasi perfetto vale invece per le amministrazioni del Burkina Faso e di Eswatini. Lo stesso vale per le Entrate sudafricane. Ma si tratta di eccezioni rispetto al gap dilagante. E comunque si sono compiuti passi da gigante rispetto ai decenni passati, basti pensare che nel 2010 il gap era di 1 dirigente donna ogni 2,51 dirigenti uomini, mentre nel 2020 siamo a 1 donna ogni 1,75 uomini. C’è ancora molta strada fare.

Le imposte con il gender gap implicito o esplicito
Iniziamo dall’imposta sui redditi delle persone. Il primato negativo è condiviso dal Marocco e dal Sud Africa ante-riforma ‘95. Nel primo caso, il modello fiscale che prevale è quello dell’uomo come capofamiglia, a prescindere. Le esenzioni, deduzioni o detrazioni è all’uomo che guardano in via pressoché automatica. Questo comporta che in tutti quei casi dove è la donna a lavorare e l’uomo è a suo carico, spetta comunque alla donna provare con dovuta certificazione che è lei a reggere la famiglia e quindi a poter vantare diritti ad eventuali benefici fiscali. Nel secondo caso, quello sudafricano, fino al ’95 il reddito del marito era considerato come fonte principale, mentre quello della moglie come meramente aggiuntivo e quindi tassato applicando le aliquote più alte. Dopo la riforma è stata introdotta la possibilità di presentare una dichiarazione dei redditi individuale e non più congiunta e questo ha fatto cessare tale gap. E comunque, in via generale, in gran parte dei Paesi africani le soglie di reddito che fanno scattare l'obbligo dell'imposta iniziano a livelli di gran lunga al di sotto della soglia di povertà, e così le donne, che sproporzionatamente percepiscono bassi reddito nel Continente, sono le più colpite. Camerun, Mozambico e Nigeria, ad esempio, non lasciano alcun reddito non tassato per le persone, penalizzando duramente le donne.

L’Iva non piace alle donne e viceversa
L’Iva è un’imposta indiretta e per sua natura regressiva, quindi le donne, le più povere a basso reddito in Africa ne sono le più colpite. Inoltre, secondo alcuni studi citati all’interno del rapporto, in Africa quasi il 60% delle micro-imprese sono dirette da donne. Con l’Iva che garantisce la fetta più sostanziosa delle entrate fiscali africane, il 31%, più del gettito delle due imposte dirette, sulle persone e sui profitti, è evidente che l’Iva finisce per essere una questione centrale per sbrogliare il gender gap. Sarebbe sufficiente ridurre le aliquote e semplificare le procedure, l’esempio citato da seguire è quello di Singapore, che fissa un’aliquota iniziale al 3% per le piccole attività e una volta verificato che i ricavi sono stabili tende ad aumentarla progressivamente anche in accordo con la crescita economica. Di rado si arriva in doppia cifra, solo in casi estremi, dove da micro il business si trasforma in big.

Le proposte dell’ATAF
Riconoscendo che l'ingiustizia di genere deriva da una serie di fallimenti delle politiche pubbliche, compresi quelli relativi alla tassazione e alla pessima redistribuzione delle entrate statali, l'African Tax Administration Forum sottolinea come ci siano chiare evidenze che i diversi regimi fiscali in vigore siano stati adottati senza alcuna preoccupazione per il loro impatto sulla disuguaglianza tra i sessi, di fatto amplificandola. Una revisione generale della tassazione è quindi necessaria. Tra le misure da adottare, l’introduzione di una no-tax area largamente al di sopra della soglia di povertà, quindi abbassare le aliquote dell’imposta sulle persone fisiche e dell’Iva. Al contempo introdurre incentivi per le piccole partite Iva e innalzare le imposte sulle multinazionali. Cambiamenti indispensabili per passare dalla giustizia fiscale al quinto obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: l'uguaglianza di genere.

 

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