
Agassi, il campione del tennis statunitense giocato a due mani, tenace ed orgoglioso, personalmente piuttosto inconciliabile con il termine sconfitta, sembra oramai deciso ad accettare la parola fine, che lo coglie sorprendentemente soccombente, nel lungo match che lo ha visto avversario del Fisco di Sua Maestà, ovvero, l’Inland Revenue. In pratica, l’ultimo scambio si è giocato di fronte a un pubblico ristretto ed estremamente selezionato, quello che compone il Law Lords, una sorta di Corte Suprema di giustizia che in Gran Bretagna funziona da ultima istanza di giudizio.
Il Fisco secondo i Law Lords
In realtà si tratta di una competenza particolare e secolare che rientra tra quelle svolte dalla Camera dei Lords, quindi da un ramo legislativo del Parlamento britannico. In pratica, è un potere davvero speciale che, de facto, non trova riscontro nella stragrande maggioranza delle democrazie europee. Infatti, all’interno delle infrastrutture giuridiche e normative dei paesi membri dell’Unione europea, non si assiste alla separazione dell’ultimo grado di giudizio dal giudiziario al legislativo, esattamente come previsto dal potere proprio del Law Lords. Peraltro, si tratta di una eccezione che volge oramai al termine dato che, entro il 2008, è prevista la nascita di una Corte Suprema di modello quasi continentale che comporterà il pensionamento dell’ultimo grado di giudizio che attualmente dipende ancora da una speciale Commissione della Camera dei Lords. Ma proprio a ridosso della pensione, il Law Lords ha regalato la sconfitta ad Agassi.
La storia del match
Rispetto alla stagione 1998-1999, il Fisco britannico chiese ad Agassi, tra l’altro in relazione alla partecipazione al torneo di Wimbledon, di versare circa 27 mila sterline all’Erario. La motivazione era sostenuta dal fatto che, nonostante il tennista non fosse residente nel Regno Unito, l’entrata in vigore dell’Income and Incorporations Taxes Act del 1988, riconosceva comunque congruo che gli sportivi e, più in generale, gli Entertainers stranieri che, in base a specifici accordi, avrebbero partecipato a tornei o ad incontri ed esibizioni all’interno dei confini della Gran Bretagna, grazie ai quali avrebbero guadagnato anche entrate maggiori da eventuali sponsorizzazioni, avrebbero dovuto versare al Fisco una quota, sia pure modesta, di tali ricavi. In realtà, né la Nike ed Head che all’epoca sponsorizzavano Agassi, nè la società che incassò concretamente i guadagni delle sponsorizzazioni, la Agassi Enterprises Inc., risultavano stabilmente registrate nel Regno Unito. Per questa ragione, il campione di tennis rifiutò di versare all’Erario britannico quanto gli veniva richiesto. La contesa si trascinò per alcuni mesi, poi per anni, fino ad arrivare in appello, dove il giudizio premiò Agassi e sembrò frustrare le ragioni dell’Erario britannico. A questo punto però, il Fisco decise di rivolgersi in ultima istanza ai Law Lords, sorta di Corte Suprema, con il risultato che, in extremis, ovvero, al tie-break, il campione è stato sconfitto.
Uno sguardo oltre il confronto Fisco-Agassi
Naturalmente, l’Inland Revenue, l’Agenzia delle Entrate britannica, non si è affatto accanita contro lo stile tennistico di Agassi. Infatti, la ragione vera della lunga contesa è semplicemente legata alla necessità da parte dell’Amministrazione tributaria di evitare la sconfitta che, se subìta, avrebbe comportato per il Fisco l’obbligo di restituire a diverse decine di atleti e di volti noti, e meno noti, dello spettacolo alcuni milioni di sterline che, sempre in applicazione dell’Income and Incorporations Taxes Act del 1988, sono stati diligentemente incassati dall’Erario. Insomma, il fatto di aver dovuto scomodare i Law Lords è dipeso più dalla posta in gioco che non da un accanimento specifico e immotivato nei riguardi di Agassi.