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Dal mondo

Australia: le locazioni brevi
sotto la lente del Fisco

L’ospitalità ai tempi della sharing economy fa i conti con gli aspetti tributari. Focus anche sulle misure europee

SHARING ECONOMY
L’amministrazione fiscale australiana (ATO) sta lanciando un’importante operazione, attraverso un massivo data matching (incrocio di dati informatici), per contrastare il fenomeno dell’evasione nel settore delle locazioni brevi. Indiziato speciale il crescente numero di alloggi (case, appartamenti e camere) disponibili attraverso piattaforme online specializzate che appartengono alla c.d. “sharing economy”. L'ATO stima che i dati provenienti dalle piattaforme on line permetteranno di esaminare il comportamento di 190mila soggetti. La sharing economy è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. Le previsioni dell’OCSE indicano che entro il 2025 raggiungerà un volume di 335 miliardi di USD. Governi ed istituzioni internazionali analizzano da tempo il fenomeno ripensando al quadro normativo esistente alla ricerca degli interventi funzionali all’integrazione delle attività della sharing economy. Numerosi gli aspetti in gioco a partire dalle forme di tutela dei consumatori e dei lavoratori, alla creazione delle condizioni che permettano una competizione leale nei settori coinvolti, fino al rispetto degli obblighi tributari.

L’attività di controllo
Nella lista delle priorità dell’ATO, il monitoraggio delle locazioni immobiliari a breve termine occupa attualmente un posto di rilievo. Ad affermarlo è Kath Anderson, Assistant Commissioner di ATO, che ha sottolineato come “il mercato delle locazioni brevi rappresenta una importante quota dell’economia” e al contempo “ci sia evidenza che alcuni contribuenti non si stiano comportando correttamente”. I dati del 2016 dimostrano che il fenomeno delle locazioni brevi ha raggiunto in Australia dimensioni considerevoli coinvolgendo 2,1 milioni di persone ed esprimendo un reddito di 42 miliardi di AUD. La disponibilità di alloggi per periodi brevi è esplosa negli ultimi anni grazie all’avvento di piattaforme online di condivisione. Se da un lato la facilità di accesso al sistema da parte di un crescente numero di case, appartamenti e stanze entrate nel circuito online degli alloggi ha offerto ai singoli individui l’opportunità di sfruttare nuove fonti reddituali o di incrementare quelle già esistenti, dall’altro ha generato una serie di criticità sotto il profilo tributario. I rischi, infatti, sono quelli che alcuni soggetti pensino di potersi sottrarre facilmente alle loro responsabilità tributarie e ai controlli ovvero che non percepiscano correttamente gli obblighi fiscali. Sono queste essenzialmente le motivazioni che hanno convinto ATO a sviluppare una strategia di controllo che prevede di incrociare i dati provenienti dalle piattaforme online, nonché dai loro istituti finanziari, con quelli in possesso dell’amministrazione, con l’intento di identificare i soggetti che manifestano discordanze in ordine alla locazione. Come ha osservato l’amministrazione australiana, l’economia condivisa ha cambiato il modo di fare business. Ciò che non si è modificato, invece, sono le norme fiscali. ATO suggerisce allora poche semplici regole, per evitare di commettere errori, a presidio di quelli che possono essere considerati gli aspetti sui quali si concentra il controllo. Tutte le somme percepite dai proprietari hanno natura reddituale, le deduzioni collegate all’immobile spettano solo se lo stesso risulta locato ovvero disponibile per la locazione ed infine i costi di manutenzione sono deducibili per quote in diversi anni. Fa da corollario la prescrizione per una accurata registrazione di tutte le operazioni. Lo spirito dell’iniziativa è quello di permettere ai soggetti che hanno commesso errori di sanare spontaneamente la loro posizione con l’applicazione di una sanzione ridotta.
 
Il processo di data matching
Il data matching, ovvero la combinazione di dati provenienti da fonti diverse, rappresenta per ATO un potente strumento amministrativo e di applicazione delle norme. Le informazioni provenienti da terze parti vengono compilate elettronicamente, validate, analizzate e utilizzate per molteplici finalità tra cui la predisposizione della dichiarazione precompilata, l’individuazione di fenomeni fraudolenti e di evasione, l’incremento della compliance ed in generale per rassicurare la comunità che il sistema tutela individui e attività oneste. Ad esempio, la combinazione tra raccolta dati ed utilizzo della tecnologia rappresenta uno strumento sempre più utilizzato per l’identificazione dei redditi non inclusi in dichiarazione. ATO raccoglie informazioni da molte fonti, sia private che pubbliche, generando un volume di più di 600 milioni di transazioni annue. Tra i soggetti dai quali vengono acquisite le informazioni ci sono banche, istituzioni finanziarie, datori di lavoro, apparati governativi e statali, piattaforme di vendita on line, assicurazioni, ecc. Alcuni soggetti, come ad esempio le banche hanno un obbligo stabilito per legge di trasmettere le informazioni. In questo caso si parla di legislated data collection. In altri casi invece, le informazioni vengono acquisite al fine di presidiare uno specifico rischio. Si parla allora di special purpose acquisition data. Inoltre, le informazioni possono essere acquisite anche in ambito internazionale in base ai trattati stipulati dall’Australia.
 
La sfida alla sharing economy da parte dell’Unione Europea
L’economia collaborativa o condivisa è un fenomeno in costante evoluzione e la sua definizione può evolvere di conseguenza. In generale, ci riferiamo a modelli imprenditoriali nei quali le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l'uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. L'economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti: i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e competenze; gli utenti di tali servizi; gli intermediari (le piattaforme online). L’attenzione delle istituzioni europee sui nuovi modelli di business ha portato negli anni scorsi a sviluppare un’agenda di lavoro per affrontare le questioni principali, come accesso ai servizi, autorizzazioni ad operare, tutela dei consumatori e modalità di tassazione. L'economia collaborativa, infatti, crea nuove opportunità sia per i consumatori, attraverso l'accesso a nuovi servizi, a un'offerta più ampia e a prezzi più bassi, che per gli imprenditori. Allo stesso tempo, può causare incertezza sulle norme applicabili, dal momento che rende meno nette le distinzioni tra consumatore e prestatore di servizi, lavoratore subordinato e autonomo, o la prestazione di servizi a titolo professionale e non professionale. Inoltre, esiste anche il rischio che si sfruttino le "zone grigie" normative per aggirare le norme intese a tutelare l'interesse pubblico. Nel 2017 il Parlamento Europeo ha richiamato l’attenzione sulla necessità di individuare linee guida comuni tra i Paesi membri in materia di sharing economy tenuto conto della diffusione del fenomeno. Infatti, i dati di Eurobarometer 2016 mostrano che nel 2015 il 17% dei consumatori europei ha utilizzato servizi forniti dalla sharing economy, mentre il 52% è risultato consapevole dei servizi offerti. Un mercato che è stato in grado si sviluppare un volume di transazioni pari a 28,1 miliardi di euro, con un settore trainante, quello degli alloggi, che ha contribuito per il 54% del valore precedente. A fare da capofila dell’area EU la Francia con il 36% di utilizzatori, mentre l’Italia si è attestata al 17%. Sul fronte delle modalità di tassazione la partita è ancora tutta da giocare. Lo conferma un recente documento del 6 novembre 2017 del Comitato Economico e Sociale Europeo che fa un’analisi sulle possibili politiche fiscali da adottare per far fonte alla crescita dell’economia collaborativa. Se il principio base è quello di applicare le regole esistenti e non normative speciali, le difficoltà principali, connesse alla misurazione del reddito, si rilevano qualora le piattaforme siano localizzate fuori dai confini europei ma generino valore all’interno. Medesime preoccupazioni contenute anche nel Tax Policies in the EU – 2017 Survey del dicembre 2017 che richiama l’attenzione sulla necessità di garantire neutralità fiscale per tutti gli attori presenti sul mercato, colmando lo svantaggio competitivo a danno dei modelli di business tradizionali. Attualmente molti Paesi europei sono impegnati in un processo volto a disciplinare questa parte dell’economia attraverso proposte, dibattiti oppure con l’adozione di una o più iniziative tra le quali spicca anche il coinvolgimento e la collaborazione tra fisco e piattaforme elettroniche.
 
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