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Dal mondo

Australia: sulla carbon tax
compiuto un passo indietro?

Sulla ecotassa, dovuta da chi concorre all’inquinamento ambientale, si torna "ab origine" almeno per il momento

senato australiano
Alla fine, nella lotta politica, hanno prevalso, almeno in questa fase, i motivi socio-economici su quelli ambientali tanto che, primo Paese al mondo, in Australia si torna indietro sul progetto della “carbon tax” (tassa sulle risorse energetiche che emettono biossido di carbonio nell’atmosfera, che si propone come obiettivo primario quello di ridurre le emissioni di gas serra).
 
La carbon tax
La “carbon tax” raffigura un esempio di “ecotassa” (ovvero di una tassa dovuta da chi concorre all’inquinamento ambientale) che colpisce un "male" (cioè un comportamento negativo) anziché un "bene". Fortemente voluta ed approvata nel luglio 2012 dal precedente governo (mediante la proposta di Julia Gillard che ne aveva fatto un vero e proprio cavallo di battaglia nel corso dell’allora campagna elettorale) la cancellazione della “carbon tax” è stata votata con 39 sì e 32 no nel luglio di quest’anno. Solo due anni di vita, quindi, preceduti, da lunghe trattative, scontri e incontri che duravano da almeno otto anni.
 
Gli impegni del protocollo di Kyoto e Doha
La politica globale tesa a ridurre le emissioni di elementi di inquinamento, com’è noto, deve farsi rinvenire nei protocolli di Kyoto (Giappone) e in quello di Doha (Qatar). In estrema sintesi, in questi accordi è prevista la riduzione di biossido di carbonio, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo.
L’Australia, uno dei Paesi con maggiore tasso di propagazioni inquinanti per persona, aveva pensato alla tassa contro i soggetti produttori come meccanismo per rispettare gli impegni internazionali assunti (il 2 dicembre 2007 in occasione della ratifica degli accordi).
Tuttavia, il programma, secondo alcuni oppositori, si è rivelato non efficiente ed efficace. Nella sostanza, le grandi aziende australiane sono state costrette ad acquistare dei “pass” per emettere CO2 traslando il costo delle “concessioni” sui consumatori e rendendo la tassa fortemente impopolare (se si considera, peraltro, che il prezzo dell’elettricità aveva visto un incremento del 10% e quello del gas del 9%).
 
Gli annunci in campagna elettorale
Anche in questo caso l’abolizione della tassa fa seguito a una promessa elettorale sostenuta da Tony Abbott, eletto, poi, nel settembre del 2013. Lo stesso primo ministro aveva definito la misura fiscale come “toxic tax” in luogo di “carbon tax” ovvero tributo altamente tossico e nocivo in grado di ostacolare la crescita dell’economia dei “canguri”, già fortemente penalizzata dalla crisi internazionale.
 
Il meccanismo di funzionamento
La politica fiscale della “carbon tax” prevede che ogni tonnellata di inquinamento da anidride carbonica (rilasciata dai combustibili fossili) è colpita ad una apposita aliquota. Nel caso di specie, la tassa australiana, che colpiva le società più inquinanti, tra cui le minerarie e quelle per la fornitura di energia elettrica, comportava il pagamento di una somma pari a 23 dollari australiani (circa 18 euro) per mille chilogrammi prodotti di gas serra. In seguito il livello fiscale è stato indicizzato all’inflazione e salito a 24,15 dollari per tonnellata nel 2013 ed a 25,40 dollari nel 2014. Esenti dalla tassa, risultavano, invece, i carburanti per il trasporto su strada (come ad esempio, la benzina).
 
Il sostegno pubblico alle imprese
Ora, la politica ambientale australiana, intende intraprendere  una nuova rotta. L’obiettivo non è di colpire chi inquina ma, al contrario, agevolare, mediante la concessione di aiuti pubblici, nella forma di contributi o incentivi fiscali, chi riduce le emissioni. Secondo le stime governative con il “Direct Action Plan” si perverrà una riduzione del 5% di CO2 entro il 2020.
 
La classifica internazionale
Nella classifica globale, a ogni modo, è la Cina il Paese più inquinante del pianeta (responsabile del 25% delle emissioni di gas serra). In questa nazione, sono allo studio varie ipotesi di “carbon tax”. Seguono, gli Stati Uniti (17%) e poi l’India (6,6%).
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