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Dal mondo

Australia, transfer pricing sicuro.
Una guida che punta alla compliance

L’Australian tax office ha pubblicato un vademecum per le transazioni realizzate dagli inbound distributors

immagine di una stretta di mano

Il 13 marzo scorso l’Amministrazione fiscale australiana (Australian Tax Office, ATO) ha pubblicato la Practical Compliance Guideline ("PCG 2019/1"), una guida volta a incentivare la compliance nelle transazioni di transfer pricing limitatamente agli accordi di distribuzione inbound.  Il documento si rivolge infatti ai distributori inbound, ossia agli intermediari che si occupano di distribuire in Australia beni o servizi acquistati da parti correlate estere e destinati alla rivendita.
La guida elenca i fattori presi in considerazione dal Fisco per qualificare questa tipologia di distributori, tra cui la principale attività svolta, la percentuale di reddito derivante dalla vendita di beni o di prodotti o servizi rispetto ad altri redditi, la misura con cui sono intraprese attività diverse da quelle distributive. Sono escluse dalle attività tipiche degli accordi di distribuzione inbound sia le attività di una significativa trasformazione dei beni sia le attività finanziarie ed assicurative.

La composizione della guida
L’Ato ha reso disponibile un framework che consente ai contribuenti di effettuare un’autovalutazione circa il proprio profilo di rischio, inteso come non conformità alle regole australiane sul transfer pricing, degli accordi di distribuzione stipulati con parti correlate estere.
La guida si suddivide in una parte generale, in cui vengono richiamati i concetti per l’individuazione dei distributori inbound, per poi esplicitare l’approccio del Fisco per la valutazione delle posizioni più a rischio, e infine vengono fornite proposte per l’incremento della compliance. La seconda parte, invece, si compone di sezioni contenenti indicatori qualitativi e quantitativi per specifiche categorie di distributori inbound: infatti la guida, oltre a rivolgersi a “distributori generali”,  concentra la propria attenzione anche sui settori delle scienze biologiche, della tecnologia dell'informazione e della comunicazione e dei veicoli a motore.

La valutazione del rischio
Il framework valuta il rischio di transfer pricing confrontando il risultato di profitto risultante dagli accordi stipulati con gli indicatori di profitto del settore di appartenenza; in particolare viene confrontato il margine EBIT relativo alle vendite, ossia il risultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanziari (calcolato sulla media degli ultimi cinque anni), con quello del medesimo settore industriale.
In base agli scostamenti rispetto al settore, sono state identificate tre zone di rischio: bassa, media e alta. Per esempio, la parte dedicata ai “general distributors” evidenzia come gli operatori con un EBIT inferiore al 2,1% saranno considerati a rischio alto, quelli con un EBIT compreso tra 2,1% e 5,3% a medio rischio, ed infine gli operatori con un EBIT superiore al 5,3% ad saranno ritenuti a basso rischio.

Gli interventi finalizzati ad incrementare la compliance
Nei casi di rischiosità medio-alta, il Fisco propone ai contribuenti delle soluzioni correttive con un approccio differenziato sulla base delle diverse zone di rischio:  maggiore è il rating della zona di rischio, maggiore è l'interesse dell’Ato nel cercare di favorire la compliance. Ne consegue che, mentre nel caso dei contribuenti con livello basso di rischio non si prevedono risorse da allocare per incrementare la compliance, nel caso di contribuenti ad elevata rischiosità, il Fisco valuterà le strategie di intervento ritenute più appropriate, come, ad esempio, chiedere maggiori spiegazioni al contribuente, monitorare gli accordi, o attivare una verifica fiscale. La tempistica di intervento viene definita dando priorità a quei contribuenti che, sulla base della media degli ultimi tre anni, presentano perdite.
I contribuenti che si attestano su un livello di rischio medio o alto hanno tre alternative: spostarsi verso la zona a bassa rischiosità, mantenere inalterata la posizione individuata o attivare un accordo preventivo sui prezzi di trasferimento con l’Amministrazione fiscale.
Sempre nell’ottica di favorire la compliance, l’Ato dà l’opportunità di  disapplicare le sanzioni e di ridurre gli interessi nei confronti di quei contribuenti che, entro il 13 marzo 2020, decideranno di rettificare i propri accordi di transfer pricing passati e futuri al fine di posizionarsi verso la zona a bassa rischiosità.

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