Fisco e imprese dieci anni di corsa... al ribasso
Per l'Italia aliquote ancora alte sui profitti delle aziende, ma riduzioni significative negli ultimi 8 anni (- 16 punti) spingono il Belpaese al 5° posto nella graduatoria degli Stati con il ciclo "fiscale" più virtuoso nell'area Ocse e al 3°, dopo Irlanda e Germania, nella Ue
La discesa è stata più pronunciata e visibile soprattutto in Europa e nella cosiddetta area Ocse, cioè tra i paesi più ricchi e con economie industriali cosiddette "avanzate". In entrambi i casi. però, la diminuzione delle aliquote è stata guidata da Stati appartenenti all'ex-blocco sovietico, quindi dei parvenu, come, per esempio, la Polonia, che ha tagliato di quasi il 30 per cento l'imposta sulle società, la Repubblica slovacca (- 24 per cento), e l'Ucraina (- 16,7).
Nell'Europa comunitaria, a sorpresa, è Lisbona ha ridurre maggiormente il passo del fisco sui bilanci delle aziende, mettendo a segno una ritirata "fiscale" del 16,7 per cento rispetto al 2003. Un ripiegamento incauto per molti osservatori internazionali che sottolineano l'instabilità e la precarietà dei conti pubblici del Portogallo.
L'andamento regressivo del fisco sui ricavi della corporate economy globale ha fatto registrare nel corso del 2004 anche un piccolo primato: l'aliquota media nell'area Ocse è scesa al di sotto del 30 per cento, fermandosi a quota 29,96. Si tratta di un record. E' infatti la prima volta che le imposte sulle aziende dei paesi membri dell'Organizzazione di Parigi scendono, sia pur mediamente, al di sotto della soglia del 30 per cento.
La discesa delle aliquote: più marcata in Europa, rallenta invece nel resto del mondo
Se l'Europa fa da lepre, i Paesi dell'America latina e dell'Asia, incluse le tigri asiatiche, sembrano invece scontare una pausa di riflessione. Nel primo caso, infatti, è il Costa Rica ad aver ridotto in maniera più marcata le imposte sulle imprese, tagliando via quasi il 18 per cento dell'aliquota in vigore lo scorso anno. Anche in Messico le aliquote sono scese, ma di un solo punto, in pratica dal 34 al 33 per cento. Il Perù, invece, si è mosso in netta controtendenza e in solitudine, incrementando il peso del fisco sulle aziende per una quota pari all'11 per cento.
Questo quadro è ben rappresentato dalle medie delle aliquote applicate nelle diverse aree geografiche e politiche. Nel perimetro Ocse, le imposte sulle aziende sono oramai, mediamente, al 29,96 per cento. Nell'Unione europea salgono invece al 31,32 per cento, mentre in America latina e in Asia sono stabili al 30,02 e al 30,37 per cento rispettivamente. Visto attraverso le lenti investigative dei valori medi, il paesaggio fiscale delle imposte che gravano sulle società sembra sempre più uniforme. La competizione, come era ovvio, assottiglia i valori del campo da gioco e, da almeno un decennio, sembra aver innescato una vera e propria corsa al ribasso delle aliquote fiscali.
Il trend globale, dal 1996 al 2004, delle aliquote fiscali applicate ai redditi delle imprese
*Variazioni nell'area ocse delle imposte sui redditi delle aziende dal 1996 al 2004. Fonte: Cato Institute, Ocse, Corporate tax rate survey 2004 della KPMG, EIU.
*Aliquote medie in vigore nel 2004 nelle principali aree geografiche ed economiche.
Il caso Italia: quinta nel ridurre le imposte sulle imprese a livello Ocse, terza nella Ue e seconda tra i Paesi del G7
Resta alta l'aliquota italiana sui redditi delle società, in pratica al 37,25 per cento. Il Belpaese però è preceduto dal Giappone (42 per cento), dagli Usa (40) e dalla Germania (38,29), ovvero dalle maggiori economie del mondo. Evidentemente, la differenza tra una locomotiva e un calesse, sui mercati non è soltanto una questione di aliquote. Recentemente, uno studio americano ha sottolineato come più della riduzione delle aliquote, è l'offerta di servizi efficienti da parte di pubbliche amministrazioni particolarmente "illuminate" che garantisce la crescita e la ciclicità positiva dei sistemi produttivi e commerciali.
A ogni modo, se si osserva l'andamento discendente delle imposte sulle aziende, è giusto rilevare come l'Italia registri la quinta migliore performance in termini assoluti. Il peso del fisco sulle imprese è infatti sceso negli ultimi otto anni di ben 16 punti. Tra i Paesi con le economie più importanti, soltanto la Germania ha fatto meglio (-19,1). Il primato spetta naturalmente all'Irlanda. Dublino ha infatti messo a segno una riduzione di ben 25,5 punti, oltre 4 punti all'anno. La ritirata del fisco italiano dai cespiti delle società è stata invece più lenta di quella realizzata dalla tigre celtica ma comunque vigorosa, in pratica 2 punti all'anno dal 1996 a oggi.
Una "virtuosità", quella italiana, che se confrontata con il declino medio delle aliquote nella Ue e nell'area Ocse ci racconta di un Paese che lentamente ma sistematicamente si sta avvicinando ai livelli degli altri partner. Infatti, mentre nel club di Parigi la discesa delle imposte è stata in media di 7,64 punti dal 1996, nel medesimo periodo la riduzione italiana è stata più che doppia (-16).
Cambiano i protagonisti, ma il risultato non muta se si trasferisce il confronto dal perimetro Ocse a quello, più ristretto, dell'Unione europea. Nella Ue, infatti, la discesa è stata mediamente di 6,84 punti, meno di un punto all'anno, mentre l'Italia dal 1996 al 2004 ha mantenuto un passo di due punti per ciascun calendario.
*I valori del grafico rappresentano le migliori performance nazionali nella diminuzione delle aliquote sui redditi delle imprese. Fonte: Ocse, Cato Institute.
Infine, se si considerano i Paesi membri del G7 (Usa, Canada, Giappone, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia), soltanto Berlino ha fatto segnare dimagrimenti delle aliquote sul versante corporate più rapidi e consistenti di quelli italiani nel periodo 1996-2004.
Scendono le aliquote, ma il "take" del fisco non cambia
La storia mondiale delle relazioni tra imprese e fisco negli ultimi vent'anni è dominata dal rincorrersi affannoso tra una selva di norme, di paradisi fiscali e di scorciatoie. Le cronache segnalano ogni giorno i risultati transitori di questa interminabile corsa a ostacoli tra le società, sempre più transnazionali e in fuga dal fisco domestico, e le amministrazioni tributarie, ancora nazionali ma sempre più spostate sul versante internazionale.
In questo quadro, analisi e ricerche ci segnalano un declino invariabilmente pronunciato delle aliquote che pesano sui redditi e sui profitti delle aziende. La ritirata dell'imposta dai bilanci delle società è così plateale che, in alcuni stati, si pensa anche di abolirla totalmente (seguendo l'esempio estone che applica uno zero-rate), oppure, di riformarla, ridisegnandola in corrispondenza con i mutamenti dell'impresa contemporanea, sbilanciata in maniera sempre più marcata sui mercati globali e, quindi, al di fuori dei vincoli delle amministrazioni tributarie nazionali. Comunque, in assenza di una sonorità internazionale comune che definisca in maniera standard e ovunque riconosciuta i termini e il concetto stesso di base imponibile, tali progetti sembrano ancor oggi velleitari.
Il dilemma però persiste. Come è possibile che le imposte sulle imprese scendano, ma il gettito della corporate tax rispetto alle entrate generali resti più o meno invariato? Secondo l'ultimo Revenue Statistics diffuso dall'Ocse, il gettito della corporate tax in relazione all'incasso fiscale degli Stati membri dell'Organizzazione di Parigi resta infatti mediamente incollato da almeno un ventennio all'8,8 per cento, con lievi slittamenti all'8,9, e qualche breve sconfinamento oltre il 9 per cento. Per alcuni economisti, la risposta è semplice. La base imponibile si muove, ma in senso contrario rispetto alle aliquote. Più queste si flettono, più l'altra si allarga, con il risultato che il prelievo resta alla fine stabile. Insomma, nel continuo inseguirsi tra multinazionali e fisco, alla fine la partita finisce in parità.