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Dal mondo

India, il nuovo volto di un Paeseche si scopre in paradiso

Alla rabbia tradizionale per povertà e sfruttamento si sommano le fortune che sono uscite illecitamente dal Paese

mappa topografica dell'india

Il fisco offshore lillipuziano seduce anche l'India. Nel 1990 gli indiani all'estero spendevano meno di 400 milioni di dollari, oggi sborsano per lo shopping quasi 10 miliardi. Sempre vent'anni or sono i super-ricchi che si presentavano alle elezioni si potevano contare sul palmo d'una mano, ora invece, nell'ultima chiamata al voto, i milionari che hanno deciso di scendere in politica sono stati 288, e di questi più della metà s'è assicurata un seggio in Parlamento. Per concludere questa panoramica, mentre ogni anno all'incirca 20 miliardi di euro sfuggono ai controlli correndo oltre confine, le entrate fiscali del Paese che supera il miliardo d'abitanti, a ragione un sub-continente, a stento raggiungono i 90 miliardi di euro, cifra questa talmente modesta da far sorridere Stati come Germania, Francia, Regno Unito, Usa e persino la Cina. Tutte realtà con cui Nuova Delhi si confronta a viso aperto quotidianamente. Ma per misurare il nuovo volto dell'India, alla rabbia tradizionale, per la povertà, le sofferenze e lo sfruttamento, si deve sommare la new-entry, legata alle fortune che le elite hanno fatto fuoriuscire illecitamente dal Paese in barba al fisco e alle norme ordinarie della finanza e della sicurezza. Un vero e proprio tesoro che, secondo quanto stimato dai sottoscrittori della petizione civile trasmessa alla Corte Suprema, è pari a circa 1300 miliardi di dollari. Una fortuna questa che ora, la maggioranza degli indiani chiede sia recuperata dai depositi e dai conti correnti registrati nei paradisi fiscali e restituita al Paese. E lo chiedono con rabbia, tanto da spingere molti osservatori internazionali ad affermare che anche l'India, in fondo, ha trovato il sul Eden, peccato sia offshore e non onshore, piccola differenza ma dirimente.

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Usa, Regno Unito o forse la Germania investono in India? No, sbagliato è Mauritius 
Peraltro, come rivelato recentemente dalle autorità indiane, nel periodo 2000-2008, la gran parte degli investimenti esteri diretti di cui ha beneficiato l'economia indiana ha avuto come mittente Mauritius, cioè un centro offshore tra quelli dati in scesa. In realtà, in quest'angolo di mondo un'imposta sui profitti esiste, con aliquota ordinaria pari al 15 per cento, ma grazie all'applicazione d'una serie di norme e di procedure di favore, ecco che per incanto le imprese e gli operatori esteri finiscono per versare al fisco locale una quota pari a un mero e modesto 3 per cento, un'aliquota lillipuziana.

Tabella 2

 
La storia, l'India si scopre in Paradiso
Il tema dominante delle ultime elezioni indiane, per il grado di mobilitazione dell'opinione pubblica e per l'impatto che ha prodotto nel Paese, è riassumibile in due sole parole paradisi fiscali. E l'economia che stenta a riprendersi? Può attendere! Così come possono aspettare le questioni di confine ancora aperte con Cina e Pakistan e la stesura d'una nuova riforma agraria, oltre alle fratture sociali storiche del sub-continente. Occhi puntati, invece, ed energie mobilitate su un tema, quello degli eden del fisco, cioè delle giurisdizioni a bassa tassazione che, fino a qualche mese or sono, si riteneva di stretto monopolio dei Paesi a economia avanzata. Ora invece inizia a mostrare chiari segni di contagio giungendo a dettare e a riscrivere le agende politiche dei governi in carica anche di Stati che si riteneva alieni da certe tensioni contabili.

La fuga dei cervelli, anzi no, dei tesori indiani
In pratica centinaia di milioni di indiani, dal mese scorso si chiedono: come arrivo a fine mese, anzi, alla fine della settimana e, a seguire, che fine hanno fatto gli oltre 1.000 miliardi di dollari, 1.350 per l'esattezza, che diverse forze politiche e centri di ricerca, sostengono esser stati illecitamente esportati al di fuori del Paese per essere distribuiti, nei decenni passati, in decine di paradisi fiscali, a cominciare dalla Svizzera? E ancora, chi li ha sottratti al fisco indiano, allontanandoli dai bilanci familiari di oltre 1miliardo di cittadini? E come rientrarne in possesso? Domande talmente stringenti che, da settimane, una petizione civile ha raggiunto i piani alti della Corte Suprema, invocando il suo intervento. In particolare è stata richiesta in via espressa, l'autorizzazione al Governo ad avviare il monitoraggio delle fortune fuggite all'estero, l'individuazione dei responsabili e, al termine della storia, l'invito alle giurisdizioni coinvolte a restituire il tesoro ai legittimi proprietari, cioè al popolo indiano. Un simile intervento della Corte, non avrebbe precedenti storici, sarebbe la prima volta e comporterebbe anche la riscittura delle norme riguardanti le relazioni con gli altri Paesi.

La posta in gioco, non solo questione di miliardi
Quanto basta per dimostrare che il problema non verte sull'esistenza o meno d'un tesoretto. Al contrario, le somme stimate come illecitamente sottratte al fisco e ai controlli di routine, ammonterebbero infatti a circa 1.350 miliardi di dollari, una fortuna pari all'intero Pil indiano. E per rendersi conto di cosa questa somma potrebbe rappresentare per il Paese, è sufficiente pensare che, qualora questi miliardi ritrovassero miracolosamente la via del ritorno, potrebbero avere un impatto pro-capite sui bilanci delle famiglie indiane stimabile, in media, in 2 mila dollari pro-capite. Tanto rumore per nulla? Una cifra, in fondo, modesta? Nient'affatto, soprattutto in una parte del mondo dove il reddito medio annuale a stento supera i 1000 dollari. Senza contare l'impatto che, anche soltanto il rimpatrio di una parte minima di questi fondi, potrebbe avere sull'economia. Aziende, piccole e medie, lavoratori e agricoltori attendono infatti da mesi i circa 85 miliardi di dollari, in crediti d'imposta, tagli fiscali e agevolazioni, di cui il mercato avrebbe bisogno, almeno secondo le stime dei responsabili economici di Nuova Delhi, per interrompere la discesa imposta dalla crisi.
 

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