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Iraq, il crollo del prezzo del petrolio tinge di rosso il bilancio

Il brusco calo ha mandato in tilt i conti pubblici e nel documento contabile del 2009 compare per la prima volta la parola deficit

il mondo immerso nel petrolio

Gelata in arrivo sui conti pubblici iracheni. Infatti, dopo anni di copiosi raccolti, che hanno consentito al bilancio di Baghdad d'irrobustirsi e di accumulare, dal 2005 al 2007, un tesoretto di 29 miliardi di dollari, nel corso del 2008 s'è registrata una brusca inversione di tendenza sul versante degli introiti legati all'export del greggio. In pratica il 2009 vedrà comparire per la prima volta tra le righe del bilancio, non accadeva dal 2004, il termine deficit, e non in relazione a una somma modesta ma per un ammontare di circa 15 miliardi di dollari. L'annuncio ha accompagnato la presentazione da parte del ministro delle Finanze iracheno, Bayan Jaber, della bozza di bilancio per il 2009 che sarà sottoposta al Parlamento per l'approvazione.

Crescono le spese ma le risorse pubbliche calano
Le risorse che l'attuale Esecutivo di Baghdad libererà il prossimo anno per potenziare i diversi capitoli di spesa, soprattutto quelli indirizzati alla sicurezza e alla realizzazione di infrastrutture essenziali, acqua, luce e trasporti pubblici, raggiungeranno la soglia record di 67 miliardi di dollari. A questa somma corrisponderà, sul versante delle somme spendibili, una cifra pari a 52 miliardi di dollari, aprendo di fatto la strada alla comparsa del rosso sui conti pubblici, colore questo evitato per anni, soprattutto grazie ai 10miliardi di dollari che, in media e con cadenza mensile, Washington ha puntualmente provveduto a immettere e a distribuire all'interno dei confini iracheni nel corso degli anni passati, a partire dall'anno successivo all'occupazione del Paese.

Il petrolio e il rosso dei conti iracheni
All'incirca il 90 per cento delle risorse che annualmente giungono nella disponibilità del bilancio di Baghdad derivano, infatti, dalla vendita all'estero di centinaia di migliaia di barili di petrolio. L'export del greggio costituisce una quota talmente rilevante delle entrate complessive che scostamenti, anche marginali, nel prezzo del barile hanno storicamente un impatto immediato sui flussi contabilizzati annualmente in ingresso. A questo riguardo, è sufficiente rammentare che mentre nel luglio dell'anno in corso il listino indicava un prezzo di ben 147 dollari al barile, in questi giorni il prezzo dell'oro nero è scivolato sotto i 60 dollari, in pratica lasciando sul campo dei mercati e delle borse quasi i 2/3 del valore raggiunto in estate. L'impatto di questo ribaltone contabile sui conti iracheni, elaborati in ottobre con il greggio scambiato tra 80 e 96 dollari al barile, risulta quindi evidente.

E il Fisco non sta a guardare
Tuttavia, nonostante le entrate siano segnate in misura significativa dai proventi dell'export del petrolio, in questi anni il Fisco non è stato alla finestra. Nel 2008, per esempio, il gettito cumulativo delle imposte, delle tasse e dei tributi versati e raccolti a livello centrale e locale, dovrebbero oltrepassare l'asticella dei 6 miliardi di dollari. Una cifra questa che, nonostante i venti di crisi e le vicissitudini recenti che hanno marcato la storia dell'Iraq, rappresenta un dato significativo rispetto alle somme ancor più leggere riscosse annualmente dalle Amministrazioni fiscali che operano nei Paesi dell'area mediorientale, nella generalità classificabili come produttori ed esportatori di greggio.
 

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