Più di mille aziende high-tech, 1.126 per l’esattezza, nel corso del quinquennio passato hanno trasferito le rispettive sedi in Irlanda, regalando al Paese, in ripresa e con un Pil stimato oltre il 4%, ben 200mila nuovi posti di lavoro, considerando anche l’indotto e altrettanti redditi che, insieme, hanno sospinto il gettito delle entrate tributarie su di un terreno positivo dopo un numero quasi interminabile di semestri in profondo rosso. In altre parole, l’escamotage fiscale di cui stiamo parlando è stato uno dei pilastri fondanti della ricostruzione dell’Irlanda che dal rischio 99% default è ora in una fase di consolidamento della ripresa. Detto questo, è facile intuire il perché l’ultima legge di bilancio, sorta di equivalente della nostra legge di stabilità, introducendo una specifica variazione alla normativa che governa la tax inversion e decretandone di fatto la messa in mora, il cui termine ultimo spirerà nel 2020, ha lasciato molti giganti dell’informatica, e non solo, sul piede di guerra, anzi, di partenza. Le perplessità sono davvero numerose. Insomma, la norma “double Irish”, come viene anche definita la pratica della tax inversion modello celtico, è giunta al capolinea?
Scorriamo la nuova norma – Innanzitutto, per comprendere la nuova normativa è necessario tenere bene in considerazione come l’Ocse, l’Unione europea, in particolare Francia e Germania, e Stati Uniti, nei mesi passati abbiano esercitato una pressione coordinata sul governo lasciando scarsi spazi o margini diplomatici per un soluzione alternativa. Ma cosa prevede la riscrittura della legge? In pratica, entro il 2020 le società semplicemente registrate, come sussidiarie o controllate, in Irlanda ma non residenti affatto sotto un profilo meramente fiscale, dovranno optare per il cambio effettivo di residenza, e quindi per il pagamento, in Irlanda, delle royalties e non solo. Conseguentemente, la chance che la società madre rilocalizzata in Irlanda trasferisse ad esse royalties e quant’altro per poi consentire che gli stessi flussi di denaro fossero trasferiti magari alle Bermuda o alle Cayman dalla sussidiaria, non sarà più consentito. Il margine delle royalties zero-tax, benedetto da centinaia di aziende che, come quelle informatiche, farmaceutiche e high-tech, su di esse fondano i rispettivi profitti, giungerà a chiusura, a estinzione, in senso normativo naturalmente. Comunque, la profittabilità non tramonterà in senso assoluto. Al contrario.
L’Irlanda lancia il paracadute fiscale per le multinazionali sedotte dalla tax inversion – In sostanza, pagare in Irlanda le tasse comporterà sempre, e comunque, un vantaggio fiscale senza paragone per le multinazionali che vi si sono trasferite, in particolar modo dagli Usa. In aggiunta, a queste aziende sarà dedicato uno speciale “Knowledge development box”, una sorta di menù altamente sofisticato, in termini di ingegneria finanziaria, che offrirebbe, a seconda dei profili e delle necessità di ciascuna multinazionale, una lunga serie di sconti, fiscali, bonus, crediti d’imposta e quant’altro, con il risultato che, dal 12,5%, queste entità potranno arrivare a pagare una cifra altrettanto simbolica, magari il 5%. In altri termini, non sarà il zero-tax rate garantito dalla tradizionale tax inversion tipo irlandese, ma rappresenterà un’esca fiscale che sicuramente continuerà ad attrarre nuove aziende straniere.
Parole chiave, tax inversion – A cosa ci si riferisce quando si parla di tax inversion? In pratica, si tratta d’un escamotage estremamente sofisticato, uno strumento di ingegneria finanziaria tra i più complessi, che le grandi aziende, soprattutto americane, usano per pagare meno tasse negli Stati Uniti e che altre hanno adottato cambiandone solo alcuni punti. Ecco come funziona: una società, poniamo che parli statunitense, sposta, tramite l’acquisizione o la fusione con una rivale estera, la propria sede fiscale in un altro Paese la cui aliquota applicata ai profitti è decisamente più vantaggiosa, per esempio, non a caso, in Irlanda. A questo punto il gioco è fatto, o quasi.
Perché per renderlo ancor più audace l’impresa che trasferisce sede e proprietà in Irlanda, acquisendo o fondendosi con una rivale, per esempio, indirizza royalties e altrei flussi di denaro su di una sussidiaria che, registrata in Irlanda ma non residente nel Paese per motivi fiscali, a sua volta paga le imposte e le tasse dovute mettiamo… alle Cayman. Risultato, alla fine della duplice inversione, da cui double Irish, al Fisco del Paese originario resta poco o niente, a quello di Dublino una somma comunque accettabile, per il Paese e per le sue dimensioni, mentre alla giurisdizione offshore dove l’inversione finisce la corsa restano soltanto i libri contabili della società sussidiaria.
I dati – Per alcune fonti in questo modo è tenuta all’estero un tesoro superiore ai 2.000mila miliardi di dollari. E comunque, questa pratica, sotto un profilo esclusivamente normativo, è legale.
Irlanda: sul tax inversion si volta
pagina a partire dal 2020
A decretare una volta per tutte la fine dell’escamotage sofisticato è la legge di bilancio messa a punto per il 2015
