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Dal mondo

Il nuovo "Sandokan" dei paradisi fiscali

Nel 2005 sale sul podio Labuan, la perla asiatica dell’offshore. Pronte invece a scivolarne fuori le mitiche Bahamas


Nel corso degli ultimi anni l’oramai estesa cartografia, che contempla le numerose giurisdizioni internazionali capaci di alimentare da decenni la mappatura dei paradisi fiscali, sembra  ormai prossima all’assunzione di una  connotazione decisamente innovativa rispetto a quella tradizionalmente esibita nel corso del decennio passato. E la recente affermazione della piazza finanziaria di Labuan è sintomatica di un cambiamento radicale che sta ridisegnando il profilo dei centri offshore.
Infatti, almeno secondo i dati pubblicati recentemente dall’autorità di Stato malesiana che si occupa di registrare e di raffigurare le performance contabili della giovane piazza offshore gestita e ospitata sulle spiagge della mitica "Perla di Labuan", il paradiso fiscale asiatico che prospera fin dal 2000 al riparo dei confini nazionali della Malesia e che pare rinvigorire gli antichi ricordi di Sandokan, l’eroe salgariano ben noto nel nostro Paese, sembra aver raggiunto un tasso di crescita la cui dimensione, davvero inattesa, l’ha promossa sul podio mondiale dell’offshore, soprattutto all’interno di quello che seduce e intercetta i flussi dei capitali d’origine asiatica e le finanze delle aziende dei Paesi più ricchi del sud-est asiatico.
Sorpresa in vista per le Bahamas: l’Iva pronta a sbarcare
Naturalmente, la recente affermazione della piazza finanziaria di Labuan tra i più atletici dei paradisi fiscali ospitati sul Pianeta non è l’unica novità che sta ridisegnando la geografia del mercato dell’offshore. Il secondo cambiamento interessa addirittura le Bahamas, sovrane arcaiche delle sabbie libere da tasse e imposte. In realtà, nel caso in cui in breve tempo le autorità locali dovessero giungere all’approvazione e alla messa in pratica di un regime d’imposizione indiretta simile al modello dell’Iva europea, il noto Paese caraibico scivolerebbe ben al di sotto del podio planetario dei paradisi fiscali. A questo riguardo, il ministro degli Esteri dell’arcipelago caraibico, Fred Mitchell, ha rivolto la settimana scorsa un vero e proprio appello ufficiale ai membri dell’assemblea legislativa, invitandoli a predisporre le norme che conducano in tempi brevi all’entrata in vigore (per le Bahamas si tratterebbe di una sorta di esordio assoluto n.d.r.) di un regime impositivo eccezionalmente speculare rispetto al modello europeo che ruota intorno alla tradizionale imposta sul valore aggiunto, ovvero, la nostra Iva.
L’accordo tra Bahamas e gli Usa in materia fiscale
L’appello non giunge come un richiamo isolato. Infatti, già da un biennio, le Bahamas hanno siglato un accordo speciale bilaterale in materia fiscale con gli Stati Uniti che, sulla base di una semplice richiesta delle autorità statunitensi, obbliga de facto i numerosi centri, pubblici e privati, della finanza locale a rivelare dati e numeri relativi ai depositi e alle transazioni che hanno per protagonisti operatori, aziende e contribuenti stranieri, naturalmente, in questo caso si tratta di cittadini facoltosi americani e di società Usa. Tale cambiamento ha ridotto in maniera piuttosto significativa il principio della riservatezza che, per decenni, ha accompagnato il boom delle Bahamas come recettore e sede d’accoglienza pressoché leggendaria dei flussi di capitali statunitensi in fuga dal fisco di Washington. Attualmente, a differenza che in passato, l’appello del ministro pone invece in risalto i termini nuovi che dovranno condizionare il profilo emergente delle Bahamas nel prossimo decennio riconducendolo indietro dalla mappa assoluta dei paradisi fiscali e riconsegnandolo alla geografia economica pratica del Pianeta. Insomma, si tratta di un vero inizio per le spiagge e le palme che addolciscono l’estetica ambientale di queste isole.
Lo sprint finanziario della perla di Sandokan
Tornando allo spettacolare mutamento del profilo offshore di Labuan, i dati diffusi recentemente si riferiscono sia alla crescita del numero delle società, soprattutto estere, che si registrano annualmente all’interno della innovativa giurisdizione per beneficiare delle norme antifisco e delle regole soft che governano il mercato finanziario locale, sia ai numeri relativi ai miliardi di dollari che oramai risultano depositati sui conti gestiti dalle circa 60 banche operative sull’isola, per l’esattezza ben 57, delle quali almeno 11 risultano prolungamenti di istituti di credito di dimensioni internazionali interessati ad acquisire una quota significativa del mercato finanziario labuanese in così decisa crescita.
La coda delle società estere
Per quanto riguarda le aziende, delle oltre 4mila registrate e operative sul territorio labuanese, ben 2701 sono società offshore, ovvero, compagnie che si sono insediate all’interno della giurisdizione speciale malesiana per raggiungere scopi esclusivamente finanziari e che quindi non hanno nessun tipo di rapporto con l’economia tradizionale del Paese. In pratica, su tale versante, dal 2002 al 2004 è stato registrato uno sprint davvero inatteso dato che gli uffici delle imprese di recente conio e apertura sono stati contabilizzati in oltre 800 nel corso dell’ultimo biennio. Insomma, un flusso da primato se lo si paragona con i medesimi trend numerici di altri centri offshore che risiedono nella regione del Sud-Est asiatico.

* Fonte: Labuan Offshore Financial Services Authority
Nel grafico è riportato l’andamento relativo alla duplice crescita, nel periodo 2002-2004, sia del numero complessivo delle aziende registrate regolarmente all’interno della giurisdizione speciale di Labuan, sia della quota costituita dalle società straniere esplicitamente operative sul mercato dell’offshore (i dati sono espressi in migliaia).

Sei miliardi di dollari custoditi nei caveaux
Transitando invece dal versante numerico degli operatori economici internazionali che scelgono di insediare i loro uffici finanziari sulle spiagge labuanesi al valore dei depositi bancari concentrati nei moderni caveaux dell’ex isola agognata da Sandokan, anche in questo settore i dati sembrano confermare una decisa crescita. Infatti nel 2004 le risorse finanziarie custodite nei sotterranei delle banche di Labuan hanno oltrepassato i 6 miliardi di dollari, quasi raddoppiando rispetto agli oltre 3 miliardi registrati nel 2003. Tale flusso costituisce dunque la prova di una marcia in più piuttosto significativa e, soprattutto, condizionata dall’espansione costante e progressiva dei capitali e delle risorse finanziarie attratte dalla giurisdizione malesiana oramai con un ritmo annuale.

* Fonte: LOFSA 2005-Report
Le somme gestite dalle banche, malesiane e straniere, tramite la titolarità dei comuni depositi (i valori riportati sono espressi in miliardi di dollari).

Labuan seduce i ricchi musulmani

Una seconda novità, piuttosto interessante, posta in evidenza e segnalata dalla stragrande maggioranza degli esperti del settore finanziario, sottolinea la provenienza omogenea delle risorse e dei capitali in ingresso nelle banche labuanesi. Infatti, considerando l’armonizzazione giuridica delle norme che regolano le procedure e i processi del settore finanziario con quelli che sono i principi e gli standard piuttosto restrittivi che limitano le finanze legate ai capitali d’origine islamica, l’isola sembra invece aver adottato una serie di misure che consente anche alle risorse dei facoltosi musulmani di essere investite, per esempio all’interno della Borsa finanziaria di Labuan, una sorta di Wall Street malesiana. E questo senza dover infrangere i limiti e i divieti che distinguono le autostrade azionarie e finanziarie del mondo islamico da quelle tradizionalmente in uso sui mercati occidentali. Insomma il fatto che all’interno dell’isola siano applicate sia le norme ordinarie e comuni che quelle prescritte dai codici musulmani, ha garantito negli ultimi anni l’aprirsi di un’ampia finestra in favore degli operatori e degli investitori provenienti non soltanto dai ricchi Paesi dell’Occidente ma anche da quelli, forse non così ricchi di risorse, che sono iscritti all’interno della cartografia islamica.
I vantaggi offerti dalla perla fiscale di Labuan
I vantaggi offerti da questa nuova giurisdizione sono davvero molteplici. Innanzitutto, per le società c’è l’opportunità di registrarsi negli elenchi delle Offshore Trading Companies, oppure, in quelli delle Offshore non Trading Companies. Le prime non sono tenute al pagamento di alcuna imposta. Le seconde invece versano un’imposta fissa, una sorta di canone unitario, la cui aliquota è ferma al 3 per cento sui profitti, indipendentemente dalle somme dichiarate. Dunque si tratta di una sorta di flat tax di modello malesiano. Naturalmente, entrambe le aziende possono però optare per il versamento alle autorità dell’isola di una cifra variabile fino ad un massimo di circa 4 mila euro l’anno. In pratica, si tratta di un canone annuale tramite il quale le aziende si garantiscono una generale pace fiscale. In cambio di tale cifra, infatti, nessun documento finanziario, pratica o dichiarazione tributaria o di altra natura, è richiesta all’azienda iscritta nei registri.

Inoltre, è bene rammentarlo a conclusione, a Labuan non sono sbarcati in questi anni né la tassazione sui capital gain né le imposte di registro. Naturalmente, la riservatezza in favore di una tale architettura finanziaria, che riguarda e interessa soprattutto le compagnie straniere, è rigorosamente garantita dalle autorità locali. E la domanda nasce spontanea: cosa ne penserebbe il mitico Sandokan, la tigre di Mompracem?
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