L'ultimo piano di bilancio statunitense, illustrato dal Presidente Barack Obama, per la prima volta, dopo più di mezzo secolo, non contempla nè sconti fiscali generosi nè misure speciali indirizzate a sostenere il business del petrolio. Anzi, a giudicare dalle dichiarazioni del Presidente, e osservando i dati reali assemblati nelle singole voci di spesa, all'appello mancano ben 26 miliardi di dollari, somma questa che, nel corso dell'anno finanziario 2009-2010, avrebbe dovuto lasciare le casse dell'erario di Washington con destinazione le voci d'entrata sui bilanci delle grandi multinazionali del petrolio USA.
Fisco Usa&Petrolio o divorzio all'americana
Il risultato di questa separazione storica tra fisco e giganti del petrolio, in realtà annunciata già nel corso della campagna elettorale ma inattesa almeno nei tempi, è stato duplice. Sul versante dei diretti interessati, infatti, ovvero le aziende che da 50 anni beneficiano di aiuti e di incentivi fiscali, la decisione di Obama non è stata affatto gradita. Al contrario, quasi in contemporanea alle parole del Presidente l'Associazione petrolifera indipendente americana (IPAA), che ne rappresenta gli interessi, sorta di sindacato dei giganti, ha istantaneamente espresso un rumoroso dissenso. Il principio che le multinazionali statunitensi del petrolio sostengono essere così messo in discussione riguarda un nodo strategico sensibile della storia americana. In pratica, secondo i petrolieri, tagliare gli incentivi fiscali a sostegno del settore equivale a tassare la strada che conduce, o potrebbe condurre, all'indipendenza energetica del Paese, con il risultato che gli Usa potrebbero ritrovarsi nella necessità di rincorrere nuovi partner in cerca di scambi energetici. Commercio questo che, con il trascorrere degli anni, si sta rivelando sempre più complesso e difficile, da porre in sicurezza, soprattutto quando in zona di crisi mondiale anche le certezze economiche più solide sembrano vacillare.
Ma Obama la pensa diversamente
Niente da fare. A oggi le voci critiche sollevate dalla scelta di Obama non sembrano aver scosso il Presidente secondo cui gli sconti fiscali soppressi non sarebbero altro che "ingiustificate scappatoie" servite da precedenti governi a un settore, come quello del petrolio, oramai destinato a essere superato dalla modernità. Infatti, il piano di Obama, oltre a prevedere il taglio agli incentivi alle multinazionali dell'oro nero, contempla anche una serie di agevolazioni, crediti d'imposta e finanziamenti, parliamo di centinaia di miliardi in un quadriennio, destinati a rivitalizzare la ricerca di fonti energetiche alternative e rinnovabili. Iniziativa questa che ha l'obiettivo di associare, ai nuovi investimenti, anche un numero significativo di posti di lavoro che aiuteranno ad accelerare la ripresa sul versante dei consumi privati. Un piano complesso il cui punto di arrivo, posto nel 2050, dovrebbe segnare la riduzione dell'80per cento dei gas serra e delle emissioni nocive prodotte e rilasciate dalle imprese e dalle auto ad oggi in uso.
Stop anche ai fondi per l'idrogeno e il nucleare
Comunque, che non si tratti d'un muro contro muro esclusivamente diretto ai giganti del petrolio è dimostrato dalla presenza di tagli sostanziali non soltanto sul capitolo del petrolio. Riduzioni significative si possono osservare anche sui fondi stanziati per lo smaltimento dei rifiuti e degli scarti originati dall'attività degli impianti nucleari e, per finire, su quelli diretti a incentivare la ricerca sull'idrogeno come fonte alternativa che, a conti fatti, scivolerebbe dagli attuali 101milioni di dollari fino a 68milioni.