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Ocse: contromisure ad hoc per CFC
residenti nei paradisi fiscali - 2

Nel mirino l’eterogeneità che consente alle multinazionali di adottare schemi di pianificazione aggressiva

paradisi fiscali
Nel Rapporto “Implementazioni di regole efficaci in materia di controllate estere”, l’Ocse concentra l’attenzione su sei questioni di rilievo. Nella puntata di oggi il tema è la definizione di controllata estera e di soglia quantitativa.

Regimi CFC e soluzioni Ocse
Tratteggiati i problemi di ordine politico, nella puntata di oggi analizzeremo le problematiche tecniche poste dai regimi CFC e le soluzioni consigliate dall’Ocse. Per definire l’ambito di applicazione soggettivo del regime CFC, uno Stato deve rispondere essenzialmente a due domande: quali entità estere rientrano, al ricorrere delle altre condizioni, nell’ambito applicativo della CFC? Quando si può asserire che un soggetto residente esercita un adeguato livello di influenza sull’entità estere?
 
Entità estere che rientrano nella CFC rule
L’Ocse raccomanda di utilizzare una nozione ampia di entità estera, idonea a ricomprendere non solo l’entità con veste societaria ma anche i Trust, le entità trasparenti e le stabili organizzazioni in regime di branch exemption.
Limitare l’ambito applicativo alle società, infatti, renderebbe oltremodo semplice aggirare il regime CFC.
L’estensione soggettiva, però, non deve dar luogo a fenomeni di doppia imposizione; con riferimento alle entità trasparenti, ad esempio, viene chiarito che le stesse non devono essere ricomprese nella disciplina CFC se i loro proventi sono già imputati per trasparenza alla casa madre.
L’estensione soggettiva, peraltro identica a quella già prevista dall’articolo 167 del Dpr 917/1986, non pone particolari problematiche.
Unico passaggio degno di nota è quello relativo alle situazioni “ibride”, caratterizzate dall’esistenza di differenze qualificatorie tra Stato della controllante, Stato della controllata e Stato di un soggetto correlato che intrattiene rapporti commerciali con quest’ultima.
Per comprendere la complessa problematica, può essere di ausilio il seguente esempio.
 
Esempio
Aco è una società residente nello Stato A (ad alta pressione fiscale) che controlla Bco, una società residente nello Stato B (a bassissima pressione fiscale).
Aco, in base alla normativa CFC dello Stato A, imputa a se stessa e sottopone ad imposizione i redditi di Bco.
Bco riceve un pagamento dalla sua collegata Cco, società residente dello Stato C (ad alta pressione fiscale).
Lo Stato A, ai fini fiscali, non riconosce Cco come un soggetto passivo; in sostanza, per lo Stato A Cco è un’entità trasparente.
Pertanto, Cco deduce il pagamento e Bco lo sottopone a tassazione con un’aliquota preferenziale prossima allo zero.
Aco, al momento di imputare i redditi di Bco, non ricomprende nell’imponibile il pagamento effettuato da Cco.
In questo modo il regime CFC di Aco viene, di fatto, aggirato.
 
La problematica brevemente illustrata non può essere risolta applicando le raccomandazioni del final report n. 2 “Neutralising the Effects of Hybrid Mismatch Arrangements” in materia di pagamenti ibridi, poiché detto report si rende applicabile solo se la differenza qualificatoria sussiste tra lo Stato del pagante e quello del percettore.
Nel nostro caso, invece, tale differenza è attribuibile alle differenti prospettive definitorie esistenti tra lo Stato della controllante e lo Stato del pagante, mentre le prospettive di quest’ultimo e quelle dello Stato del percettore coincidono.
Per risolvere l’empasse, l’Ocse consiglia di introdurre specifiche regole antiabuso volte a ricomprendere nei proventi CFC tutti i pagamenti che la controllata riceve da soggetti collegati, indipendentemente dalla qualificazione giuridica che gli stessi ricevono nello Stato della controllante.
 
Determinazione dell’adeguato livello di influenza
Per stabilire se un’entità estera possa essere considerata “controllata” ai fini della disciplina CFC, bisogna individuare il tipo di controllo rilevante e la soglia quantitativa superata la quale lo stesso si intende integrato.
 
Definizione di controllo
Il controllo, infatti, può essere delibato da un punto di vista giuridico, economico e fattuale. Il controllo giuridico si riferisce, tipicamente, al numero di voti che un soggetto può esercitare, direttamente o indirettamente, nell’assemblea ordinaria o in un equivalente organo decisorio di un altro soggetto. Il controllo giuridico è relativamente semplice da accertare ma è un concetto manipolabile con una certa facilità.
 
Un caso classico di aggiramento può essere realizzato tramite i diritti di opzione su azioni o quote. Ad esempio, si pensi ad un soggetto che detiene il 20% dei diritti di voto di un’entità. Tale soggetto possiede, inoltre, un pacchetto di obbligazioni convertibili che, se esercitate, gli consentirebbero, al netto dell’effetto “diluizione”, di ottenere il 60% dei diritti di voto.
In questo caso, pur non sussistendo il controllo giuridico attuale, il soggetto può sicuramente controllare le decisioni dell’entità poiché, in via potenziale, è in grado di esercitare la maggioranza dei voti assembleari: se gli altri soci non assecondassero le sue decisioni, gli basterebbe convertire le obbligazioni.
 
Altro tipo di controllo è quello economico. Tale locuzione si riferisce ai diritti patrimoniali che un soggetto può vantare sugli utili e sui beni di un’entità. Anche il controllo economico, benché semplice da verificare, può essere facilmente aggirato.
Ad esempio, tramite l’allungamento della catena di controllo, si può demoltiplicare il diritto di partecipazione agli utili.
 
Da ultimo, l’Ocse analizza il cosiddetto “controllo di fatto”. Esso, più che una categoria concettuale autonoma, è il risultato di un’analisi fattuale volta a verificare se, da un punto di vista pratico, un soggetto può esercitare un’influenza dominante sulle scelte di un altro soggetto. A differenza del controllo giuridico o economico, il controllo di fatto è molto complesso da individuare ma è difficilmente manipolabile. Al fine di contemperare le esigenze di semplicità con la conservazione di un livello adeguato di presidio, agli Stati viene raccomandato di utilizzare, in maniera flessibile, tutte e tre le definizioni di controllo.
Ad esempio, il controllo fattuale potrebbe affiancarsi agli altri due tipi ed entrare in scena solo al ricorrere di elementi presuntivi di elusività.
 
Determinazione della soglia quantitativa
Indipendentemente dal tipo di controllo scelto per l’implementazione delle regole CFC, ogni Stato deve fissare una soglia quantitativa al di là della quale il controllo si intende integrato.
L’Ocse si limita ad osservare che, come minimo, il controllo può intendersi integrato al superamento del 50% riferito, a seconda della nozione di controllo adottata, ai diritti di voto o alla partecipazione agli utili.
Più problematico, invece, appare la delineazione del meccanismo di calcolo utilizzabile per misurare la soglia.
Le regole CFC, infatti, sono finalizzate ad evitare che i soggetti residenti erodano la base imponibile nazionale tramite lo spostamento delle proprie attività in paesi a fiscalità privilegiata.
Per rendere pienamente efficace il regime CFC è opportuno misurare la soglia quantitativa con riferimento non al singolo contribuente ma a tutti i soggetti che, in maniera concertata, esercitano il controllo dell’entità estera.
Infatti, due soggetti, anche non appartenenti allo stesso gruppo, potrebbero agire in maniera coordinata per spostare all’estero i propri attivi.
Assodata la necessità di calcolare la soglia di controllo sommando le posizioni di tutti i soggetti che agiscono in maniera concerta, si pone la problematica relativa alla loro individuazione.
 
I tre approcci analizzati dall’Ocse
A tal proposito, l’Ocse analizza essenzialmente tre approcci: fattuale, relazionale e il metodo della residenza. Il primo prevede che l’individuazione dei soggetti che, congiuntamente, controllano l’entità estera sia effettuata a seguito di un’analisi da condurre caso per caso. Tale approccio è molto preciso poiché permette di prendere in considerazione anche soggetti che non sono correlati e non appartengono allo stesso gruppo. La precisione, però, si accompagna ad un’estrema complessità applicativa che, di fatto, rende l’approccio fattuale scarsamente utilizzato. Seguono quello relazionale e il metodo della residenza.
 
L’approccio relazionale
Un modo più comune di affrontate la problematica è rappresentato dall’approccio relazionale. In tal caso, il superamento delle soglie viene valutato con riferimento alla posizione complessiva di tutti i soggetti che sono parte di uno stesso gruppo o possono essere considerati come parti correlate.
Il report non contiene una precisa definizione di parti correlate e, pertanto, può farsi riferimento ai chiarimenti forniti, con riferimento all’ambito soggettivo di applicazione delle regole anti-ibridi, dal Final report n. 2 intitolato “Neutralising the Effects of Hybrid Mismatch Arrangements”.
Secondo quanto esposto nel capitolo 11 del report de quo, sono parti correlate quelle che appartengono al medesimo gruppo di controllo, quelle collegate da rapporti partecipativi diretti o indiretti in misura, calcolata con riferimento ai diritti di voto ed alla partecipazione agli utili, pari o superiore al 25 %, e quelle che sono partecipate da uno stesso soggetto in misura pari o superiore al 25%.
 
Appartengono al medesimo gruppo di controllo i soggetti che: sono ricompresi nello stesso bilancio consolidato; sono collegati da rapporti partecipativi diretti, o indiretti, idonei ad assicurare il controllo di fatto, o sono di fatto controllate dallo stesso soggetto; sono collegati da rapporti partecipativi diretti, o indiretti, in misura pari o superiore al 50% calcolata con riferimento ai diritti di voto o al diritto di partecipazione agli utili; sono imprese associate secondo la definizione dell’articolo 9 del modello OCSE 2014. Parimenti, sono considerate parti correlate quelle avvinte da rapporti di parentela, o affinità, in linea retta.
 
L’approccio relazionale è sicuramente più semplice di quello fattuale, ma allo stesso tempo presenta grossi margini di approssimazione. Infatti, esso non è in grado di cogliere e contrastare le manovre elusive poste in essere da soggetti che non sono avvinti da relazioni di tipo formale, ma che comunque agiscono insieme come se fossero parte di un gruppo: ad esempio, la relazione può derivare da particolari vincoli economici o contrattuali, come accade tipicamente nei contratti di subfornitura, mono-committenza ed in tutti i rapporti contrattuali caratterizzati da clausole di esclusiva unilaterali o bilaterali.
 
Il metodo della residenza
Da ultimo, l’Ocse analizza il metodo della residenza. Tale approccio, in uso negli Stati Uniti d’America, consiste nel sommare i diritti di tutti i soggetti residenti che, singolarmente considerati, detengono una partecipazione superiore al 10 %. In pratica, se la soglia di controllo è fissata al 50% e nello Stato ci sono 6 soggetti residenti con una partecipazione individuale del 12%, il regime CFC sarà applicabile poiché la somma delle singole posizioni permette di ritenere superata la soglia.
Tale approccio, per quanto semplice da implementare, rischia di ricomprendere nel regime CFC anche soggetti che, di fatto, non esercitano alcun controllo sull’entità estera.
Problematiche comuni a tutti gli approcci delineati sono rappresentate dal rilievo attribuibile ai soggetti non residenti ed alle partecipazioni indirette.
L’Ocse, al di là dell’approccio scelto, consiglia di prendere in considerazione anche i soggetti non residenti e dare rilievo anche al controllo realizzato in forma indiretta.
Limitare, infatti, le regole CFC alla sola posizione dei soggetti residenti ed al controllo diretto, permetterebbe di aggirare in maniera semplice la disciplina.
Ovviamente, includere i diritti spettanti a soggetti correlati non residenti può acuire le problematiche relative alla doppia imposizione e, per l’effetto, richiedere appositi meccanismi volti alla sua eliminazione.
 
ESEMPIO
Immaginiamo il seguente scenario.
Aco è un società residente nello Stato A. Aco detiene il 25% del capitale di Cco, società residente in uno Stato a fiscalità privilegiata.
Bco è una società appartenente allo stesso gruppo di Aco e residente nello Stato B.
Bco possiede il 26 % del capitale di Cco.
Sia lo Stato A sia lo Stato B posseggono un regime CFC improntato su un approccio di tipo relazionale.
Pertanto, lo Stato A somma ai diritti di Aco quelli posseduti da Bco e lo Stato B somma i diritti di Bco a quelli posseduti da Aco.
In questo modo, entrambi gli Stati considerano il proprio residente come controllante e tassano per trasparenza gli utili di Cco.
Se gli Stati imputano gli utili di Cco in base alla percentuale congiunta di partecipazione, lo stesso reddito viene tassato in entrambi gli Stati con conseguente doppia imposizione giuridica.
Per porre rimedio a tale evenienza possono essere utilizzati vari metodi che esamineremo nel prosieguo della trattazione.
 
Definizione dei limiti quantitativi e delle esenzioni
I regimi CFC non hanno un’applicazione indiscriminata ma, solitamente, sono modellati in modo da intercettare solo le situazioni che pongono rischi reali e rilevanti di erosione della base imponibile.
Restringere l’applicazione delle regole CFC consente, invero, di concentrare le risorse degli Stati sulle situazioni maggiormente insidiose.
Per focalizzare l’ambito applicativo del suddetto regime, vengono essenzialmente utilizzati tre approcci:
  • l’esenzione de minimis basata sul reddito imponibile;
  • l’approccio antielusivo;
  • l’esenzione de minimis basata sull’aliquota nominale o su quella effettiva;
Esenzione de minimis basata sul reddito imponibile
L’esenzione reddituale permette di non applicare la disciplina CFC quando il reddito imputabile per trasparenza non supera un determinato ammontare. La soglia di esenzione può essere unica per tutti i proventi della controllata estera, oppure possono essere previste soglie diverse variabili in base alla natura degli stessi.
Gli Stati, come il Regno Unito, che prevedono soglie differenziate, solitamente utilizzano soglie ridotte per i componenti positivi derivanti da asset altamente mobili (passive income) e per quelli derivanti da prestazioni intra-gruppo.
L’utilizzo di una soglia di esenzione, nella maggior parte dei casi, si accompagna ad una specifica regola anti-frammentazione che evita indesiderati effetti moltiplicativi.
Si pensi, ad esempio, ad un soggetto che controlla un’entità estera che realizza un reddito di 5.000.000,00 €.
Se lo Stato di residenza del controllante adotta una soglia di esenzione di 3.000.000,00, questi potrebbe procedere ad una scissione parziale della controllata finalizzata a dividere il reddito estero tra due entità, in modo da fruire indebitamente dell’esenzione.
La regola anti-frammentazione, nella sua versione base, prevede di sommare i redditi che il controllante riceve, per trasparenza, da uno stesso Stato estero.
In tal modo, eventuali manovre tese ad usufruire della soglia verrebbero arginate.

2 - continua
La prima puntata è stata pubblicata giovedì 2 febbraio
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