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Dal mondo

Ocse, da digital tax e aliquota unica
tra i 50 e i 100 miliardi di entrate l'anno

Presentato al G20 il report autunnale sui due pilastri e le sfide dell’economia digitale

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Pandemia e divergenze tra gli Stati frenano il raggiungimento d’un accordo entro il 2020, ma non interrompono il lavoro in progress sulla digital tax. Di fatto, l'obiettivo di un’intesa politica è stato spostato a metà del 2021. Tuttavia, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico  continuerà a lavorare per convincere quasi 140 Paesi a rivedere il modo in cui vengono tassate sia le grandi società tecnologiche sia le altre multinazionali attive nei settori più diversi.
In particolare, nel corso della presentazione dello stato dell’arte dell’architettura dei due pilastri su cui si fonda il progetto di un nuovo sistema di tassazione internazionale (che comprende la digital tax), è emerso come molti Stati sperino che il piano Ocse giunga a compimento il prima possibile, in modo da sostituire un numero crescente di misure fiscali unilaterali rivolte ai giganti della tecnologia. In sostanza, una digital tax condivisa e universale, è oramai vista anche come uno strumento essenziale per scongiurare l’insorgere di guerre commerciali che, come indicato nel rapporto Ocse, potrebbero avere un impatto negativo rilevante sul Pil mondiale.

Quanto vale il pacchetto di riforme dell’Ocse?
Se ne parla da anni e finalmente, per la prima volta, uno studio d’impatto, elaborato dall’Ocse, fornisce le prime stime sull’incidenza effettiva che avrebbero le proposte Ocse in termini di produzione di extra-gettito. In sostanza, in seguito all’entrata in vigore di primo e secondo pilastro, complessivamente i Paesi interessati potrebbero beneficiare d’un surplus annuale derivante dall’imposta sui profitti che oscillerebbe, secondo l’analisi tecnica formulata dagli esperti dell’Organizzazione parigina, tra i 50 e gli 80 miliardi a livello globale. In pratica, si tratterebbe di nuove entrate fiscali derivanti dalla tassazione del reddito prodotto da grandi aziende transnazionali.
In realtà, se la stima includesse anche il reddito raccolto in base all’applicazione parallela e coordinata della GILTI tax statunitense - “Reddito Intangibile Globale a Bassa tassazione”, o “Global Intangible Low-Tax Income” – peraltro già operativa negli Stati Uniti, l'effetto sulle entrate internazionali totali originate dalla digital tax potrebbe arrivare a 100 miliardi l’anno, sempre secondo l’Ocse. In tale caso, si tratterebbe di creare, sul piano normativo, una sorta di coabitazione tra le due diverse forme di tassazione, la GILTI tax e la digital tax. Un compito difficile, dato che la tassa statunitense è già in vigore da anni per le multinazionali Usa e ciò potrebbe comportare o una fusione delle due forme impositive o una sovrapposizione, riconoscendo però alle grandi aziende statunitensi il diritto a non subire una doppia tassazione sugli stessi redditi. Ciò necessiterebbe una formulazione complicata della digital tax.

Digital tax, vincenti  e perdenti
Secondo l'Ocse, il nuovo sistema di tassazione internazionale porterebbe in dote nuove entrate ad alcuni Paesi, determinando un aumento dell'imposta sul reddito delle società a livello globale, e questo poiché i profitti delle società verrebbero spostati dalle giurisdizioni a bassa tassazione, mentre i flussi e i meccanismi offshore fin qui usati dalle grandi aziende inizierebbero a perdere il loro tradizionale appeal fiscale. In particolare, la prima parte del piano Ocse, nota come primo pilastro, ridistribuirebbe alcuni dei profitti delle multinazionali ai Paesi in cui hanno utenti o consumatori, mentre il secondo pilastro creerebbe un'aliquota fiscale minima globale. In definitiva, i grandi gruppi multinazionali vedrebbero ridotto il loro spazio di pianificazione fiscale, mentre alcuni Stati ne gioverebbero osservando una crescita del gettito dell’imposta sui profitti. Ma tra i perdenti, indicati espressamente dall’Ocse, rientrano anche gli Hub finanziari internazionali o "poli di investimento" fiscalmente vantaggiosi, ovvero tutti quei Paesi che vantano flussi in ingresso di investimenti esteri diretti superiori a 1,5 volte il loro prodotto interno lordo, come il Lussemburgo, Singapore, Malta, Hong Kong, ma anche la stessa Olanda o le Isole Vergini Britanniche e così via. La digital tax ridurrebbe la loro base imponibile spostando i profitti altrove. Inoltre, un'aliquota minima globale ridurrebbe gli incentivi per le aziende a utilizzare giurisdizioni a tassazione molto bassa.
 

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