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Dal mondo

Ocse, ottimizzare le tasse sull’energia
favorirebbe i Paesi in via di sviluppo

Secondo uno studio, un’imposta di circa 30 euro per ogni tonnellata di C0 2 proveniente dai combustibili fossili farebbe aumentare il Pil dell’1%

Energy pollution

Una migliore ottimizzazione della tassazione energetica potrebbe migliorare le finanze dei Paesi in via di sviluppo e allo stesso tempo ridurre l’inquinamento, oltre a mobilitare risorse interne. Lo sostiene uno studio dell’Ocse (Taxing Energy Use for Sustainable Development), che ha analizzato i prelievi e i sussidi nel settore energetico di 15 Paesi emergenti o in via di sviluppo di Asia, Africa e America Latina.

L’ambito della ricerca
I Paesi passati sotto la lente dell’Ocse sono Costa d’Avorio, Egitto, Ghana, Kenya, Marocco, Nigeria e Uganda in Africa; Filippine e Sri Lanka in Asia; Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Guatemala, Giamaica e Uruguay in America Latina, oltre ai Caraibi. Si tratta di Stati che, a differenza di quelli più industrializzati, dovranno fronteggiare una ripresa economica, dopo la crisi causata dalla pandemia, con entrate fiscali decisamente minori. Basti pensare che il rapporto medio tra imposte e Pil di queste nazioni è di appena il 19%, rispetto al 34% nei Paesi Ocse. C’è da dire però che il tasso di crescita nel periodo pre-pandemico è stato nettamente superiore rispetto ai Paesi industrializzati: tra il 2007 e il 2017 il PIL di queste nazioni è cresciuto in media del 4,4% annuo (2,7% pro capite) rispetto all’1,5% (e 0,9% pro capite) dell’Ocse e di conseguenza anche il fabbisogno energetico e le emissioni di CO2 associate sono aumentati, sebbene le percentuali di crescita siano risultate inferiori rispetto a quelle del Pil.

I risultati dello studio
Secondo lo studio, le economie emergenti trarrebbero vantaggio dalla tassazione delle fonti energetiche non sostenibili, anche nel caso in cui venissero accompagnate da forme di sostegno da destinare ai gruppi a basso reddito per favorire in maniera diffusa la transizione energetica. I Paesi analizzati, infatti, potrebbero generare entrate fiscali pari all’1% del Pil se venisse applicata un’imposta di circa 30 euro per ogni tonnellata di emissione di C02 proveniente dai combustibili fossili. Al momento, il gettito proveniente dalle imposte sull’energia nei Paesi dell’area Ocse è pari all’1,6% del Pil, mentre nei Paesi analizzati il comparto energetico contribuisce per lo 0,5%.
Purtroppo, ad oggi, i vari governi hanno preferito adottare una tassazione molto blanda delle forme di energia inquinanti, perché spesso i combustibili fossili vengono ancora utilizzati per il riscaldamento delle abitazioni, nelle cucine, per l’illuminazione, eccetera. In questo modo, però, non c’è nessun scoraggiamento all’utilizzo di queste fonti energetiche inquinanti e ciò influisce sulle finanze pubbliche, tant’è che nella maggior parte dei Paesi oggetto dell’analisi il costo dell’elargizione dei sussidi alle industrie energetiche supera quello delle relative entrate fiscali.
Per questo per l’Ocse l’introduzione di una carbon tax più incisiva dovrebbe tenere conto anche di adeguati incentivi per garantire un accesso alle forme di energia più pulite da parte delle fasce più fragili della popolazione e promuovere in maniera più efficace la transizione ecologica. Questa transizione nel lungo periodo porterebbe vantaggi dal punto di vista ambientale, perché diminuirebbe l’inquinamento, e dal punto di vista economico, perché mobiliterebbe risorse per la riconversione in chiave sostenibile dell’economia stessa.

Il futuro fa ben sperare
Fortunatamente nessuna di queste nazioni, al momento, genera altissimi tassi di emissioni inquinanti, nonostante la crescita registrata negli anni antecedenti alla pandemia sia stata abbastanza sostenuta: un terzo di loro non utilizza il carbone, uno dei combustibili fossili più inquinanti, di conseguenza anche la quota di emissioni di CO2 derivanti da questa fonte di energia è relativamente bassa (8% sul totale) rispetto alla media Ocse (21%). Inoltre dal rapporto emergono anche alcuni ulteriori segnali positivi, come per esempio l’uso di energia eolica e solare in rapida crescita in diverse aree o il fatto che 13 dei 15 Paesi oggetto dell’indagine hanno già sperimentato l’introduzione di accise sui carburanti, il che significa che una possibile riforma della tassazione sulle emissioni inquinanti sarebbe relativamente semplice da attuare.
I vari governi hanno mostrato interesse sull’argomento, che si può desumere dalla loro partecipazione alla Coalition of Finance Ministers for Climate Action (CFMCA) o alla Carbon Pricing Leadership Coalition (CPLC) ed è proprio a loro che si rivolge questo report, nato con l’obiettivo di offrire una base dati ai politici e ai decision maker locali per introdurre delle politiche in grado di portare ad uno sviluppo economico in linea con gli accordi di Parigi e con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e che possa quindi coniugare la crescita del Pil con la riduzione dell’inquinamento e la nascita di una vera e propria economia circolare.

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