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Dal mondo

Ocse, tassazione delle multinazionali.
Contano le transazioni con gli utenti

L’Organizzazione di Parigi ha reso noti i principi base su cui si sta muovendo l’elaborazione di un modello condiviso di tassazione dei grandi operatori del web, atteso per la fine del 2020

Digitale_web

L’attesa ricetta finale condivisa a livello globale per tassare i grandi gruppi multinazionali del web ancora non c’è, ma gli ingredienti fondamentali su cui punta l’Ocse sono ormai chiari e ufficiali. L’occasione per fare chiarezza è stato l’ultimo meeting del G20 a Washington gli scorsi 17 e 18 ottobre, in cui l’Organizzazione di Parigi ha presentato ufficialmente la propria proposta alla base del percorso che dovrebbe condurre, entro il 2020, all’approvazione definitiva di una disciplina completa sulla tassazione dell’economia digitale. Secondo la proposta, il diritto di un Paese a tassare un soggetto estero che offre beni e servizi via web dovrebbe sorgere ogni volta che quel soggetto ricava un giro d’affari significativo nell’interazione con gli utenti-consumatori di quel Paese, a prescindere quindi dalla presenza fisica o meno sul territorio di una sede o di una stabile organizzazione della multinazionale.

Superare la presenza fisica sul territorio
Il testo riguarda il primo dei due pilastri su cui deve fondarsi la tassazione dei gruppi multinazionali, secondo il programma di lavoro elaborato dall’Inclusive framework e approvato dal G20 lo scorso giugno a Fukuoka nell'ambito del meeting dei ministri dell’Economia e dei governatori delle banche centrali. Il punto di partenza è la presa d’atto che la digitalizzazione dell’economia e la nascita di nuovi business connessi all’avvento del web rendono inadeguate le regole di tassazione attuali, imperniate sul concetto di presenza fisica di un soggetto economico sul territorio, sia con un sede sia con una stabile organizzazione. Da qui, la necessità di nuove regole per stabilire dove vadano tassati i profitti generati dalle attività digitali (nexus rules), staccando il presupposto d’imposta dalla presenza fisica della multinazionale in ogni Paese in cui opera, e quale porzione di profitti vada tassata (profit allocation).

A contare è il valore generato dal rapporto con gli utenti
La soluzione prospettata rappresenta la sintesi in un “approccio unico” delle tre differenti visioni di tassazione finora formulate all’interno dell’Inclusive framework per superare il legame del presupposto d’imposta con la presenza fisica sul territorio. Le regola individuata raggiungerebbe l’obiettivo di parificare tutti i soggetti che si propongono sullo stesso mercato di utenti perché prescinde dalla localizzazione fisica dell’operatore e mira al solo profitto derivante dall’interazione con il consumatore, compreso il valore generato da un’attività intangibile come l’uso dei dati di navigazione e profilazione o la vendita di prodotti e servizi digitali. La proposta indica anche la possibilità di stabilire una soglia di fatturato come criterio di imponibilità, limitandosi però a suggerire che questa soglia debba essere adattata alle dimensioni di ogni singolo mercato per consentire a tutti i Paesi, anche i più piccoli, di poter acquisire la propria quota di imponibilità per i profitti generati dai consumi dagli utenti del proprio territorio.

Il giudizio agli stakeholder. Traguardo a fine 2020
La proposta rappresenta il documento base su cui lavorerà l’Inclusive Framework , il consesso di 134 Paesi sul progetto Beps (Base Erosion and Profit Shifting) che dovrà arrivare – si spera entro il 2020 - alla formulazione del modello di tassazione finale e condiviso sull’economia digitale ufficialmente targato Ocse. Il testo è attualmente aperto alle osservazioni degli stakeholder in una consultazione pubblica a cui sarà possibile partecipare fino al prossimo 12 novembre.

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