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Dal mondo

Paradisi fiscali in coda a Pechino.Pronta la risposta di Washington

Giurisdizioni offshore di rotta sulla Cina. E’ il nuovo trend sul mercato dei capitali a bassa tassazione

La globalizzazione corre, gli equilibri internazionali cambiano e i mercati mutano. Risultato, i capitali, e soprattutto gli attori principali che li gestiscono, s’adeguano. Non desta quindi stupore il bussare orami ripetuto dei paradisi fiscali e delle giurisdizioni, offshore, generalmente a bassa se non modesta o micro-tassazione, che s’affollano in cerca d’un numeretto di fronte al China-desk. Prassi ordinaria, sostengono gli operatori navigati esperti del settore fiscal-finanziario, cui s’accodano anche economisti e analisti dei piani alti, tra cui spiccano persino i consiglieri più in vista e assidui frequentatori della Casa Bianca, della Banca Centrale statunitense – Fed – e naturalmente della City. Insomma, la voce è piuttosto unanime: business as usual. Se non fosse per una semplice variante che rischia di accendere una vera e propria rincorsa in direzione del mercato cinese dei capitali, con protagonisti stavolta proprio i Paradisi fiscali. E la voce stonata, fuori dal coro, si chiama Svizzera e si pronuncia Berna. La Confederazione, infatti, guidata dal Presidente Doris Leuthard, ha dato il via ad una visita piuttosto ricca di appuntamenti e d’incontri, ma soprattutto copiosa nel bottino che si prefigge di ricondurre sui bilanci dell’economia elvetica e, naturalmente, del mercato dei capitali che su di essa naviga.
 
Berna, rotta su Pechino – Comunque, l’agenda della nutrita delegazione svizzera prevede, in ordine: un incontro ufficiale con il Presidente Hu Jintao, con il quale discutere della duplice apertura dei rispettivi mercati ad oggi ancora modesta, nonostante un background storico risalente agli anni cinquanta. Quindi, lo scambio d’opinioni con i numeri uno dell’industria e del commercio cinesi che dovrebbe accompagnare il saluto con il Presidente del Congresso del Popolo, Wu Bangguo. In pratica,una sorta di passerella istituzionale con degli obiettivi piuttosto concreti.
 
Viaggio in Cina, questione di capitali, anzi, di soldi, altro che il Milione – Innanzitutto, il punto d’arrivo è definire la sottoscrizione d’un accordo di libero scambio che consenta, de facto, l’ampia deroga per una serie di dazi, di tariffe e di imposte che, ad oggi, si applicano su diversi beni e servizi oggetto di scambio tra i due Paesi, soprattutto in ingresso sul mercato cinese. All’apertura dei rispettivi sistemi economici dovrà inoltre collegarsi l’intensificarsi degli investimenti, sia in uscita che in direzione dei rispettivi mercati. Insomma, un flusso di capitali che funzioni da autostrada finanziaria tramite la quale orientare e reindirizzare movimenti e redistribuzione di somme significative e di ricchezza in cerca di luoghi e di occasioni su cui investire.
 
I numeri del flirt tra le Alpi e la Grande Muraglia – In realtà, osservando i dati, la taglia degli scambi tra Berna e Pechino non sono affatto sorprendenti. In termini di import-export, infatti, il flusso non oltrepassa i 7,6 miliardi di euro. Ciò che desta sorpresa invece, è il raffronto tra le due voci. L’export svizzero, infatti, pari a 4miliardi di euro, risulta superiore all’import del made in China che plana sul mercato elvetico, soltanto 3,6 miliardi di euro. La Confederazione, quindi, esibisce una bilancia commerciale con segno positivo, all’incirca +400milioni di euro l’anno, a confronto con la Cina. Fatto questo piuttosto raro, soprattutto per un Paese ascrivibile come occidentale. Sul versante degli investimenti sono 5 miliardi di euro che, annualmente, dalle banche elvetiche prendono la via del mercato cinese. Una somma questa che, una volta siglato l’accordo di libero scambio è stimata raddoppiare nell’arco d’un solo triennio. Dunque, il nuovo accordo dovrebbe, nei termini e nelle condizioni che si discutono da novembre 2009, soddisfare entrambi i partner, persino il fisco cinese, le cui entrate potrebbero aumentare per effetto dell’ingigantirsi delle somme provenienti dal sistema bancario elvetico. Un tesoro nient’affatto indifferente.
 
Niente paura Washington vigila – Detto, fatto. Annunciato mesi or sono, il nuovo piano anti-offshore predisposto dall’Amministrazione finanziaria statunitense è già in parte operativo. In sintesi, per intercettare i nuovi flussi di capitali che fanno rotta sulla Cina e dintorni, l’Irs, l’Agenzia delle Entrate federale, aprirà a breve nuove sedi a Pechino, a Sidney e a Panama City, via d’uscita prediletta dai capitali Usa in cerca di nuove sistemazioni. Uffici dunque che allungano la lista delle postazioni operative estere aggiungendosi a quelli delle Barbados e di Hong Kong. Obiettivo scontato, stretta sull’evasione internazionale.
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