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Dal mondo

Soda tax: un deterrente che funziona.
In tre anni consumi giù del 50%

Secondo l’Università della California, la tassa sulle bevande zuccherate ha modificato le abitudini dei consumatori

sugar tax

L’introduzione di una tassa sui consumi di bevande gassate e zuccherate influenza gli acquisti e incoraggia abitudini alimentari più sane. È la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Università della California i quali hanno pubblicato una ricerca relativa ai consumi di queste bibite prima e dopo l’introduzione della soda tax in diverse città americane. Lo studio è stato pubblicato il 21 febbraio scorso sull’American Journal of Public Health ed è il primo a dimostrare l’efficacia di questa misura nel lungo termine.
 
I risultati della ricerca
L’esperimento ha interessato un campione di 2.500 persone che sono state intervistate per strada nei quartieri più frequentati di tre città della California: Berkeley, Oakland e San Francisco. Il monitoraggio è avvenuto sia prima che dopo l’introduzione della soda tax e già dopo i primi mesi dalla sua entrata in vigore si è assistito ad un crollo dei consumi, che ha interessato soprattutto gli abitanti di Berkeley con reddito più basso. Lo studio ha rilevato che a distanza di tre anni dall’introduzione della nuova tassa, avvenuta nel 2014, i residenti bevono il 52% in meno di bevande analcoliche, gassate, per sportivi o al caffè rispetto a prima. Nello stesso periodo è cresciuto del 29% il consumo di acqua. Si tratta di un risultato importante, sebbene il campione non sia stato scelto in base a criteri rappresentativi.
Secondo i ricercatori, non è ancora possibile dimostrare una correlazione diretta tra l’introduzione di questa misura fiscale e il cambio dei consumi, anche perché altri studi suggeriscono che alcuni comportamenti possono essere modificati grazie all’interiorizzazione – da parte dei consumatori – del messaggio che le bibite gassate e zuccherate facciano male, per cui i cambiamenti potrebbero essere spontanei e dovuti ad un cambio di percezione. Tuttavia, l’inversione del trend delle abitudini negative non è stata registrata tra i cittadini residenti nelle vicine città di Oakland e San Francisco, dove non era ancora stata introdotta la tassa. Questo, nonostante le quantità di consumo erano pressoché uguali nelle tre città e il tema era da mesi all’ordine del giorno nel dibattito pubblico. L’introduzione della soda tax in queste due città è avvenuta poi, rispettivamente, a metà 2017 e 2018.
 
La soda tax per combattere obesità, diabete e malattie cardiovascolari
Lo studio evidenza come l’introduzione di una tassa ad hoc rappresenti un modo efficace per contrastare abitudini alimentare sbagliate che portano all’insorgere di malattie, tra l’altro gravose per il comparto sanitario. I ricercatori hanno spiegato che “un alto consumo di queste bibite è collegato a maggiore obesità, diabete e malattie cardiovascolari, le cui cure che costano miliardi ogni anno, per cui la tassazione deli soft drink è un modo per tener sotto controllo questi costi”. La soda tax rappresenta anche una forma di contro-informazione, per bilanciare le pubblicità aziendali che rendono questi cibi desiderabili, accessibili e convenienti.
 
Più chiarezza per attuare politiche fiscali locali
I risultati di questa ricerca arrivano in un momento in cui la politica si muove in direzioni completamente opposte. Da un lato ci sono, infatti, città come Philadelphia e Seattle che hanno abbracciato questa battaglia, mentre dall’altro diverse giurisdizioni come gli Stati di California e Washington hanno esplicitamente vietato alle loro città di introdurre questo tipo di tassa.
 
L’impatto sulla società
Il 76% dei cittadini elettori di Berkeley - la prima città degli Usa ad introdurre la soda tax - si era espresso a favore di un prelievo fiscale sulle bibite gassate e zuccherate al fine di contrastare cattive abitudini. Oggi la maggior parte delle entrate tributarie provenienti da questa nuova tassa finanziano programmi di educazione alimentare e sportiva e programmi di giardinaggio nelle scuole e nelle organizzazioni locali che si occupano di promuovere comportamenti salutari. Una scelta che conferma nell’opinione pubblica l’utilità di questa misura, nonostante l’aumento del prezzo finale delle bibite abbia comportato un aggravio dei costi che è ricaduto quasi esclusivamente sul consumatore finale e non sulla filiera produttiva.
 

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