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La Spagna nel mirino della Commissione Ue

L’organismo comunitario ha invitato lo Stato, membro dell’Ue e dell’Uem, a modificare alcune norme fiscali incompatibili con il Trattato

In particolare i rilievi fanno riferimento alle norme che attengono la tassazione in materia di redditi da lavoro, alle plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili e alla raccolta di capitali, nonché il regime fiscale dei costi di Ricerca, Sviluppo e Innovazione tecnologica che vìola i princìpi di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, sanciti dagli articoli 43 e 49 del Trattato.
La Commissione europea ha formalmente invitato la Spagna, per il tramite di avvisi motivati (seconda tappa della procedura di infrazione prevista dall’articolo 226 del Trattato), a modificare talune norme di natura fiscale ritenute lesive dei princìpi posti a fondamento del Trattato istitutivo dell’Unione europea, primo fra tutti quello che prevede la non discriminazione tra soggetti residenti e non residenti di uno Stato membro. I rilievi della Commissione hanno avuto per oggetto le norme che attengono alla tassazione prevista in materia di redditi da lavoro, alle plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili e alla raccolta di capitali, nonché il regime fiscale dei costi di Ricerca, Sviluppo e Innovazione tecnologica.
Redditi da lavoro
La normativa fiscale spagnola esistente in materia di reddito di lavoro prevede l’assoggettamento di tale forma reddituale a un’imposta progressiva (applicata in base ad aliquote che vanno dal 15 al 45 per cento) nel caso in cui il percettore sia una persona residente in Spagna; l’imposta si applica, invece, nella misura pari al 25 per cento qualora il reddito sia percepito da soggetti non residenti. Ne deriva, come correttamente osservato dalla Commissione, una evidente disparità di trattamento tra le due categorie di contribuenti, che è tanto più evidente quanto di minor valore sono i redditi percepiti, come avviene, ad esempio, nel caso degli stagisti. L’effetto di una tale discriminazione è quello di disincentivare le persone fisiche non residenti in territorio iberico ad accettare un impiego offerto da un operatore localizzato in Spagna, con la conseguente turbativa che ne deriva per quel che attiene la libera e corretta circolazione di beni e persone all’interno del territorio dell’Unione.
Plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili ubicati in Spagna
Con riferimento alle plusvalenze realizzate per effetto della vendita di immobili, le persone fisiche non residenti sono tassate sulla base di un’imposta stabilita nella misura fissa del 35 per cento. Il trattamento fiscale delle plusvalenze, se realizzate da persone fisiche residenti, varia in funzione del periodo intercorso tra la data di acquisto dell’immobile e la successiva vendita: se inferiore all’anno, la plusvalenza è tassata in maniera progressiva, per essere, al contrario, soggetta all’aliquota fissa del 15 per cento se l’immobile è detenuto per più di un anno. Per effetto di tale sistema, i soggetti non residenti sono nella maggioranza dei casi assoggettati a un carico fiscale superiore, se il bene viene venduto entro un anno dall’acquisto, per esserlo sistematicamente qualora la vendita avvenga oltre tale intervallo temporale.
Imposta sulla raccolta di capitali
Come noto, la direttiva 69/335/CE conferisce agli Stati membri il diritto, non l’obbligo, di assoggettare la costituzione di una società di capitali a un’imposta che non può superare l’1 per cento del capitale raccolto. La legislazione spagnola prevede che il trasferimento della sede legale o della sede di direzione effettiva di una società da uno Stato membro alla Spagna è soggetto al pagamento dell’imposta sulla raccolta di capitali, nel caso in cui tale imposizione non sia prevista nello Stato membro di partenza.
Tale norma è stata ritenuta dalla Commissione europea non conforme al dettato della direttiva 68/335/CE, che conferisce agli Stati la facoltà di applicare tale imposta soltanto nel caso in cui la costituzione della società sia avvenuta nel proprio territorio nazionale. Parimenti contraria al dettato della direttiva richiamata è stata ritenuta la norma spagnola secondo cui sono assoggettate all’imposta sulla raccolta di capitali le filiali e le stabili organizzazioni in Spagna di società aventi sede in un altro Stato dell’Unione europea che non prevedono l’applicazione di tale imposta.
Ciò in quanto, secondo il tenore del documento comunitario, l’imposta può essere percepita soltanto dallo Stato in cui si trova la sede di direzione effettiva della società. Sempre in materia di imposta sulla raccolta di capitali, la normativa spagnola non ne prevede l’applicazione nel caso di scambio di azioni, laddove una società riceva almeno il 75 per cento del capitale emesso da un’altra società. Un eventuale successivo acquisto di ulteriori azioni da parte di quest’ultima è, invece, soggetto a imposizione, quando, invece, a giudizio della Commissione, non dovrebbe esserlo, trattandosi di fattispecie analoga a quella oggetto di esonero.
Deducibilità fiscale dei costi di Ricerca e Sviluppo
In base alla normativa fiscale spagnola, i costi di Ricerca, Sviluppo e Innovazione tecnologica sono deducibili dal reddito soltanto se le attività in questione sono realizzate in Spagna; se realizzate all’estero sono deducibili soltanto a condizione che l’attività principale di Ricerca, Sviluppo e Innovazione tecnologica abbia luogo nel territorio spagnolo e in ogni caso in misura non superiore al 25 per cento dell’importo sostenuto. Inoltre se l’azienda affida lo svolgimento di tali attività a Università o Istituti riconosciuti dalla legge spagnola, i relativi costi sono deducibili in misura superiore rispetto al caso di affidamento di dette attività a istituti esteri.
Tale trattamento preferenziale, accordato alle attività svolte in territorio domestico o affidate a strutture ivi collocate, determina, a giudizio della Commissione europea, un’evidente violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, rispettivamente sanciti dagli articoli 43 e 49 del Trattato.
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