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Dal mondo

Spazio alla fiscalità ambientale:
leva globale contro l’inquinamento_1

Una panoramica sulle misure tributarie che stanno giocando un ruolo strategico per una crescita sostenibile

green economy
Chi inquina paga.  Non si tratta di un modo di dire e nemmeno di un semplice dettato morale, ma di un vero e proprio principio sancito dall’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sposato con sempre più frequenza da molti Paesi. Il primo passo in questa direzione è stato compiuto nel 1990 dalla Finlandia con una tassa sulle emissioni inquinanti e oggi sono più di 80 gli Stati, secondo i dati diffusi dall’Ocse, che stanno conducendo una battaglia a difesa dell’ambiente attraverso oltre 2.400 misure fiscali. I governi, soprattutto alla luce dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici del 2015, che impegna 195 Paesi a limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2ºC, non possono più ignorare la questione ambientale e con modalità diverse stanno trovando nell’imposizione fiscale un alleato contro l’inquinamento.

Fisco e ambiente: un duetto di successo per un effetto “win-win”
Le tasse, insieme agli incentivi, condizionano i prezzi di mercato e, di conseguenza, le decisioni d’acquisto e i comportamenti di imprenditori e consumatori. La produzione e il consumo vengono, quindi, indirizzati verso scelte più “green”, anche attraverso lo sviluppo di una maggiore consapevolezza ecologica in termini di costi e benefici. Le politiche di fiscalità ambientale mirano a generare un effetto “win-win” per cui, da un lato, per pagare meno vengono ridotte, ad esempio, le emissioni di sostanze nocive e il consumo di plastica, dall’altro, entrano nelle casse dello Stato risorse che, in un’ottica circolare, possono essere investite per incentivare produzioni più rispettose dell’ambiente, sensibilizzare i cittadini a un consumo più responsabile e finanziare gli impianti di riciclo.
Un tesoretto che, secondo le ultime stime dell’Ocse, vale per l’Italia oltre 62 miliardi di euro, per gli Stati Uniti circa 125 miliardi di dollari, per la Gran Bretagna più di 42 miliardi di sterline.
 
La Carbon tax e l’Emissions Trading System
La sola Carbon tax, la tassa sui prodotti energetici che emettono biossido di carbonio (CO2) nell'atmosfera, insieme all’ETS (Emissions Trading System), ossia il sistema di scambio delle quote di emissione, ha generato nel 2017, secondo la Banca Mondiale, entrate a livello globale per 33 miliardi di dollari. Si tratta di un dato più che significativo se si considera che le entrate collegate alle iniziative di “Carbon pricing” sono in crescita del 50% rispetto al 2016, grazie all’adozione negli ultimi due anni anche da parte del Cile, della Colombia, delle provincie Canadesi dell’Alberta e dell’Ontario, degli Stati americani della California, del Massachusetts e di Washington di misure fiscali finalizzate a disincentivare l’uso dei combustibili fossili e stimolare gli investimenti in impianti a energia pulita. Una cifra che dovrebbe ancora crescere notevolmente grazie all’adozione sempre crescente da parte di nuovi Paesi di forme di tassazione delle emissioni nocive. Singapore ha pianificato di adottare un sistema di tassazione delle emissioni a partire dal 2020, l’Argentina dovrebbe introdurre la carbon tax dal 2019, in Canada la questione  “tassa sulle emissioni” è un argomento attualmente al centro del dibattito, ma la vera partita di fatto si gioca sull’ introduzione da parte della Cina di meccanismi di Carbon pricing. La Repubblica Popolare è, infatti, seconda solo agli Usa nella produzione di emissioni di gas a effetto serra e, considerato che l’Amministrazione Trump sta adottando una politica in materia ambientale che va nella direzione opposta, confermata anche dagli esiti del recente G7 che si è svolto in Canada, il contributo della Cina sarà determinante sul fronte delle entrate derivanti da politiche di fiscalità ambientale.
 
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