Svizzera: dopo gli Stati Uniti
anche Ue e Francia contro l'offshore
L'Ue nel suo complesso e la Francia, nel caso particolare, apertamente contro il "Leviathan bancario" elvetico

Non soltanto Washington, anche Parigi e Bruxelles guardano oramai apertamente, e senza ansie politiche o diplomatiche come un tempo, al recupero dei tesori che centinaia di contribuenti europei, individuali e imprese, hanno alloggiato e gestito nei caveaux del Leviathan bancario elvetico. Insomma, la crisi ha determinato un deciso superamento di antiche ambiguità che oramai da mesi sono poste in discussione. Comunque, il centro di questa nuova stagione fiscale resta saldamente centrato su Berna, sorta di ombrello fiscal-finanziario pan-europeo al riparo del quale, nel corso degli anni, s’è stratificata una variegata popolazione di contribuenti ansiosi di risparmiare sul versante del fisco e incrementare, spesso illecitamente, le rispettive fortune personali. Il tutto sottraendosi a un obbligo contributivo che ora la crisi ha restituito all’attenzione prioritaria degli Stati membri come strumento essenziale, non più rimandabile, da cui recuperare una quota significativa di risorse da indirizzare urgentemente sul versante della crescita.
La stretta francese, dalle parole ai fatti – Settimane or sono lo stesso Sarkozy aveva aperto il fronte antielvetico promettendo di rendere la Svizzera un pariah internazionale, a meno che non interrompesse la pratica comune, oramai rituale, di fornire aiuto e assistenza ai contribuenti Ue ansiosi di materializzare consistenti risparmi fiscali. E questo anche oltrepassando la linea dell’illecito, evadendo o eludendo le norme in vigore, in pratica abusando di percorsi e di istituti di fatto legali ma violandone e aggirandone la reale sostanza dei fini e degli ambiti d’applicazione. In verità l’attuale presidente francese s’era spinto oltre rilasciando questa dichiarazione minacciosa in rappresentanza del sentire comune e convergente degli Stati membri “…Non vogliamo più paradisi fiscali. Il messaggio è molto chiaro, i Paesi che persisteranno nel mantenere la veste di paradisi fiscali saranno ostracizzati dalla comunità internazionale”. Parole dure cui ora seguono nuove misure altrettanto aspre.
Rivelato il piano anti-offshore alla francese, spazio anche alle sbarre – Sono tre le misure che campeggiano al centro del nuovo modello antievasione di cui disporranno gli agenti del fisco di Parigi che si occupano delle frodi oltreconfine. Innanzitutto, nel caso d’un contribuente che non rivelasse d’essere titolare d’un deposito bancario oltreconfine presso una giurisdizione offshore alle sanzioni standard, cioè gli interessi con l’aggiunta della somma evasa, s’aggiungerà una nuova sanzione proporzionale all’ammontare sottratto al fisco. Naturalmente, l’importo della sanzione extra non potrà superare una quota pari al 5% del patrimonio che risulta riconducibile all’evasore, una quota di asset che saranno debitamente confiscati come misura immediata. Il secondo passo che mira a rafforzare l’arsenale di cui disporranno gli investigatori delle Entrate guarda alle frodi più ingegnose realizzate tramite lo scudo fornito dai paradisi fiscali, cioè non cooperative in tema di fisco. In questo caso le sanzioni si moltiplicano per dieci, fino a 1 milione, mentre fa il suo esordio lo spettro delle sbarre. La norma, infatti, prevede fino a due anni di prigione a seconda della frode e della sua entità. A questa misura si lega la terza novità che, sempre riguardo all’uso dei paradisi fiscali per realizzare frodi ai danni dell’erario nazionale, prevede una sanzione extra, pari a 500mila euro, per l’evasore incorreggibile che, già segnalato e caduto nelle maglie del fisco, prosegua ostinato a percorrere la via della frode fiscale offshore.
Bruxelles, eppur si muove… - Sul versante dell’Unione i ministri delle Finanze, e dell’Economia, starebbero trattando, anzi, discutendo e dibattendo anche con toni accesi, la ridefinizione della direttiva sulla tassazione degli interessi derivanti da depositi stoccati nelle giurisdizioni a bassa tassazione. Obiettivo del dibattito, sino ad ora riservato, è di ridisegnare la direttiva al fine di renderla maggiormente stringente e, come ripetuto da alcuni, avvolgente. In pratica, la finalità è di utilizzarla come strumento di dissuasione potenziato rispetto a quanto accaduto in passato. Naturalmente, gli ostacoli, le divisioni e gli aut aut sono interni agli stessi Paesi membri. Innanzitutto, l’opposizione, dura ma scontata, di Londra. Sul versante opposto invece tra i più decisi proprio l’Italia e la stessa Austria, il cui obiettivo è di estendere la nuova direttiva fino a ricomprendere sia la Svizzera sia i territori britannici come, per esempio, le Isole Vergini Britanniche. Dunque, o tutti dentro o niente. In effetti, non avrebbe senso rafforzare la stretta su alcuni centri finanziari lasciandone altri in una sorta di area free dalla riedizione aggiornata d’una nuova turbo direttiva sulla tassazione degli interessi originati dai depositi presso realtà offshore. Suonerebbe come una sorta di discriminazione, mentre di fatto all’evasore s’aprirebbero i porti e i caveau più rassicuranti degli hub finanziari del Pacifico e dei Caraibi in particolari.