Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Dal mondo

Ue, nel Tp uno standard comune per
l’applicazione del metodo profit split_2

Continua l’analisi del rapporto di marzo dal Joint Transfer Pricing Forum, sulla strada intrapresa dall’Ocse con l’Action 10 del Beps

transfer pricing

Il documento pubblicato a marzo dal JTPF si propone di offrire utili spunti in merito ai seguenti aspetti: quando utilizzare il metodo del profit split (sezione 3) e come ripartire il profitto (sezione 4). Dopo aver analizzato i criteri di ripartizione del profitto, passiamo a approfondire l’individuazione degli indicatori che rendono auspicabile l’applicazione del metodo profit split.

Le condizioni per l’applicazione del PSM
La sezione 3 del report è dedicata all’individuazione degli indicatori che suggeriscono l’applicazione del metodo profit split. La definizione dell’Ocse considera contribution unici e di valore quelli che non risultano comparabili con quelli esistenti tra parti indipendenti in circostanze comparabili e quando rappresentano una risorsa chiave per attuali o potenziali benefici economici. Il documento del JTPF precisa che per qualificare l’esistenza di un contribution rilevante ai fini del metodo PSM, entrambi gli elementi di unicità e valore devono essere presenti. Per quanto riguarda, invece, il potenziale beneficio economico, non importa se sia o meno realizzato, ma se la risorsa chiave utilizzata è strumentale al successo del business. Per business caratterizzati da un elevato grado di integrazione, invece, l’Ocse intende quelle transazioni controllate in cui le funzioni, gli asset e i rischi che contraddistinguono le parti risultano strettamente interconnessi, da non renderli valutabili separatamente. Il report chiarisce che tale situazione, in sostanza, si realizza quando due o più imprese consociate condividono o combinano funzioni, asset e rischi per il conseguimento di un obiettivo comune. In questo senso non è automatica l’esistenza di un business profondamente integrato in presenza di una cross-border business unit (unità operativa appartenente ad un gruppo multinazionale che può essere formata da fattori produttivi riconducibili a società localizzate in Paesi diversi). L’ultima circostanza di applicazione del metodo è la condivisione tra le parti di rischi economicamente significativi ovvero la separata assunzione di rischi economicamente significativi tra loro correlati. A tal proposito, il JTPF riprende un concetto espresso dall’Ocse, sottolineando che la presenza di rischi condivisi o strettamente correlati non esclude l’esistenza di un business con un profondo grado di integrazione. Considerazione applicabile anche alle altre condizioni di applicazione del PSM (es. la presenza di un business con un elevato grado di integrazione è condizione sufficiente per applicare il metodo PSM indipendentemente dalla presenza di un contribution unico e di valore).

Il metodo profit split in breve
Il PSM, come gli altri metodi suggeriti dall’Ocse, deve essere utilizzato quando in base alle caratteristiche della transazione e dell’analisi funzionale viene qualificato come il metodo migliore.
Come sottolineato nelle linee guida realizzate dall’Organizzazione di Parigi (le TP Guidelines, o TPG), la prerogativa principale del metodo in discussione risiede nella capacità di affrontare situazioni in cui le parti coinvolte: utilizzano contributions (es. asset, funzioni, ecc.) unici e di valore, sono caratterizzate da un elevato grado di integrazione del business oppure condividono rischi economicamente significativi (o assumono separatamente rischi strettamente correlati). Le condizioni per l’applicazione del metodo non si realizzano quando una delle parti coinvolte nella transazione effettua solo funzioni semplici e nel caso in cui la transazione possa essere adeguatamente misurata identificando transazioni e funzioni comparabili.
Qualora il metodo prescelto per l’analisi sia il PSM esistono due ipotesi principali per la ripartizione del profitto (risultato economico della transazione): la contribution analysis e la residual analysis. Nel primo caso il profitto della transazione verrà allocato tra le parti sulla base delle funzioni svolte, asset utilizzati e rischi assunti. Nell’ipotesi di residual analysis, invece, il profitto della transazione sarà diviso in due parti. La prima imputabile alla remunerazione di funzioni ordinarie (meno complesse), per le quali esiste una possibilità di confronto. La parte che residua, invece, è riconducibile nella contribution analysis. La ripartizione del risultato economico relativo alla componente rilevante della transazione è demandata, in entrambi i casi, all’individuazione di driver di allocazione (splitting factors) in grado di remunerare il contributo delle parti nella creazione di valore.

2 - fine

La  prima puntata è stata pubblicata mercoledì 22 maggio

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/dal-mondo/articolo/ue-nel-tp-standard-comune-lapplicazione-del-metodo-profit-split2