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Dal mondo

UE: riforma dell’Iva a 360 gradi
verso la riduzione del Vat gap_1

Un restyling che si integra nel programma volto a realizzare un sistema fiscale più equo ed efficiente

VAT

L’Unione fa la forza. Possiamo etichettare con questo “pensiero” di uso comune il percorso di rinnovamento e ammodernamento che la Commissione europea ha intrapreso nei confronti di quella che è l’imposta per eccellenza del sistema comune europeo, cioè l’Iva. Non stiamo parlando di un’azione isolata ma di un insieme di iniziative la cui opera congiunta persegue finalità di tutela delle entrate, efficientamento del sistema e maggiore competitività del mercato unico. Per comprenderne l’importanza per l’Unione basti pensare che l’Iva rappresenta una fonte di entrata in crescita, che nel 2015 ha permesso di raccogliere più di 1.000 miliardi di euro, pari al 7% del Pil dell’Ue. Il km 0 di questo percorso è stato contraddistinto dalla presentazione, nel mese di aprile del 2016, del VAT Action Plan – Verso uno spazio unico europeo. L’ultimo, ma non di certo conclusivo, atto è invece quello del 22 giugno 2018 con il quale gli Stati membri dell’Unione hanno raggiunto un accordo sulle misure da adottare per rafforzare la cooperazione nel contrasto alle frodi. Nel mezzo troviamo numerose proposte tecniche che riguardano la revisione delle norme che disciplinano gli scambi intracomunitari, le regole per il commercio elettronico, le modalità di definizione delle aliquote e lo scambio di informazioni. La riforma dell’attuale sistema Iva si integra nel programma della Commissione volto a realizzare un sistema fiscale Ue più equo ed efficiente.
 
La riduzione del “VAT gap” faro della riforma
Letteralmente si può tradurre come il “divario dell’Iva”. Consiste nella differenza tra il gettito Iva previsto e l’importo effettivamente corrisposto. Qualsiasi valutazione sull’opportunità di revisionare il sistema non può infatti prescindere dalla determinazione dell’efficacia della raccolta e delle risorse che eventualmente vengono perse, al di là del raggiungimento di altri obiettivi qualitativi e di performance. La quantificazione del differenziale nonché delle cause che lo hanno generato è un momento fondamentale per la scelta delle misure più appropriate da adottare oltreché per monitorare successivamente la loro efficacia. Per questi motivi la Commissione ha finanziato studi specifici le cui conclusioni hanno esposto valori preoccupanti. I dati più recenti, relativi al 2015, mostrano che i Paesi dell’Ue hanno perso complessivamente 152 miliardi di euro di gettito d’imposta. Preoccupazione espressa anche nelle parole di Pierre Moscovici, Commissario per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane nell’intervento del 28 settembre 2017 a margine della presentazione dei risultati: “Gli Stati membri non dovrebbero accettare questi livelli sconcertanti di perdite di entrate Iva”. Esattamente un anno prima lo stesso Commissario, commentando i dati relativi al 2014 (il divario dell’Iva ammontava a circa 160 miliardi di euro) aveva dichiarato: “Il regime attuale è deplorevolmente inerme di fronte ai problemi delle frodi e degli errori di calcolo in ambito Iva”. L’esposizione dei dati riferiti all’anno 2014 seguiva di pochi mesi la presentazione del VAT Action Plan con il quale la Commissione aveva individuato la via da percorrere per la creazione di uno spazio unico europeo dell’Iva. I dati disponibili al momento della presentazione del piano stimavano un gap ancor più elevato, pari a 168 miliardi di euro. Una delle principali cause di un differenziale così importante è stata rintracciata nel fenomeno delle frodi fiscali, che secondo gli studi condotti ne sono responsabili per il 36%. I fenomeni fraudolenti sfruttano i punti di debolezza e le modalità di riscossione che contraddistinguono il sistema attualmente in uso. Benché le misure più immediate (come aumentare la cooperazione tra Paesi Ue, incrementare il livello di tax compliance e modernizzare le amministrazioni fiscali) per far fronte al problema delle frodi siano già state avviate, come dimostra la riduzione del differenziale nel confronto tra il 2013 e il 2015, le cifre indicano la necessità e l’urgenza di riforme più radicali.
 
Il Vat Action Plan
L’Iva rappresenta la principale fonte di entrate tributarie per i Paesi membri dell’Ue. Di conseguenza la perdita di gettito ha un impatto considerevole sui bilanci degli Stati. Inoltre c’è un sistema che, nella sua attuale formulazione, non è in grado di far fronte alle sfide poste da un’economia moderna che è globale, digitale e mobile. Sono argomenti sufficienti per pensare a una revisione dell’intero sistema che la Commissione sollecitava da tempo. La dichiarazione di intenti risale al 1° dicembre 2010 con l’adozione del Green Paper sul futuro dell’Iva – Verso un sistema più semplice, solido ed efficiente. Dopo la pubblicazione del “Libro Verde” è stata avviata una consultazione pubblica, che ha portato nel dicembre 2011 a una comunicazione sul futuro dell’Iva, con la quale venivano stabilite le caratteristiche fondamentali del nuovo sistema e gli interventi prioritari. Recependo le indicazioni del Parlamento europeo e del Consiglio sul fatto che il futuro sistema dell’Iva avrebbe dovuto basarsi sul principio di destinazione, vale a dire dove i beni o servizi vengono consumati, il 7 aprile 2016 veniva presentato dalla Commissione un piano d’azione sull’Iva per rendere il sistema più semplice, in grado di contrastare le frodi, sostenere le imprese e aiutare l’economia digitale e il commercio elettronico. Obiettivo finale la creazione di uno spazio unico europeo dell’Iva. Oggi, infatti, il sistema si presenta frammentario e inadeguato a rispondere alle esigenze del mercato interno. Le attuali regole, che si basano su 28 procedure Iva diverse, scoraggiano gli operatori ad espandersi oltre i confini nazionali. Elemento chiave del piano, la definizione di un sistema unionale definitivo nel settore del commercio transfrontaliero (cross-border), attraverso una sostanziale modifica delle modalità di riscossione, in grado di ridurre anche la possibilità di frodi. L’attuale sistema dell’Iva per il commercio transfrontaliero, infatti, è entrato in vigore nel 1993 ed era da intendersi come transitorio. Altri due aspetti principali definiscono il piano d’azione: l’intenzione di attribuire una maggiore flessibilità agli Stati membri nella scelta delle aliquote da applicare e una politica di sostegno al commercio elettronico e alle piccole e medie imprese (PMI). È proprio nei confronti delle PMI e delle imprese che operano online che un sistema frammentario e complesso rappresenta un onere amministrativo che ne impedisce lo sviluppo nelle transazioni commerciali cross-border, sulle quali grava un costo mediamente più elevato dell’11% rispetto alle transazioni domestiche. Il completamento del nuovo sistema Iva è previsto per il 2022.
 
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