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Dal mondo

Ue: sull’economia collaborativa
regole più chiare e omogenee

A chiederle la Commissione mercato interno che ha approvato una risoluzione sui servizi equivalenti

Regole chiare e comuni per tutti i Paesi Ue rispetto alla cosiddetta “economia collaborativa”. È quanto chiede la Commissione mercato interno dell’assemblea legislativa europea, che ha approvato una risoluzione non vincolante in cui viene sottolineata la necessità di regolamentare il mercato della collaborative economy, ad oggi caratterizzata da diverse aree grigie che causano differenze significative tra gli Stati membri.

Una opportuna distinzione
In particolare, la Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) ha raccomandato che vengano individuati criteri efficaci per distinguere innanzitutto i privati cittadini che offrono servizi in maniera occasionale da quelli che invece lo fanno in maniera professionale. Inoltre, ha espresso la necessità di fornire una corretta informazione ai consumatori e di prevedere sistemi per la risoluzione delle dispute.
La Commissione ha puntato i fari anche sui lavoratori, a cui devono essere assicurate condizioni eque e protezioni adeguate, e sulla tassazione delle società che operano in questo campo, affinché vengono applicate regole fiscali simili a servizi comparabili. L’auspicio è, infatti, quello di creare condizioni eque per servizi equivalenti, sia on line che offline, in modo da permettere una concorrenza più leale nel rispetto della legge europea sulla libera concorrenza.
 
I protagonisti della collaborative economy
L’economia collaborativa permette l’incontro tra persone che offrono un servizio ed altre che invece ne usufruiscono. La logica che sta alla base di questa nuova forma di economia è quella di sfruttare il valore di beni non utilizzati o sotto-utilizzati, ad esempio delle stanze non abitate, come nel caso di Airbnb.
In Europa, il totale delle transazioni finanziarie effettuate attraverso le piattaforme che permettono questo incontro tra domanda e offerta (Uber, Blablacar, Deliveroo ed Airbnb, solo per citarne alcune) ha superato quota 28 miliardi di euro nel 2015, una cifra che rappresenta quasi il doppio rispetto a quella registrata nel 2014, a testimonianza del boom che sta vivendo questo tipo di economia. L’attenzione adesso si è quindi concentrata non solo sui diritti dei lavoratori, ma anche sui possibili vantaggi di cui queste piattaforme beneficerebbero rispetto alle compagnie tradizionali, che invece sono limitate da regole più restrittive, anche in riferimento alla tassazione e agli obblighi fiscali. L’abbattimento dei costi potrebbe, infatti, portare ad una concorrenza sleale con le altre imprese che invece operano “offline”.
I settori più popolari della sharing economy sono quello relativo agli alloggi (affitti, scambio casa), che supera i 15 miliardi di euro come valore delle transazioni, quello relativo ai trasporti (condivisione di bici, macchine, parcheggi), le piattaforme per il crowdfunding e i prestiti e il settore del mercato del lavoro online per posizioni specializzate e non (come consegne e servizi per la casa, consulenze, liberi professionisti per l’IT, ecc.).
 
Chi usufruisce dei servizi di sharing economy?
In Europa sono Francia e Irlanda i due Paesi che utilizzano maggiormente i servizi offerti dalle piattaforme di collaborative economy, usati rispettivamente dal 36% e dal 35% dei cittadini. Seguono Lettonia, Croazia, Germania, Estonia, Romania, Spagna e Italia, il cui utilizzo è pari al 17%. Riguardo, invece, alle fasce d’età degli utenti, quella che più viene attratta da queste nuove forme di economia basate sulla condivisione è quella che va dai 25 ai 39 anni (27% di utilizzo); segue la fascia 40-54 anni (22%) e quella 15-24 (18%). La popolarità di questi servizi è testimoniata, inoltre, dal fatto che una persona su due ha sentito parlare almeno una volta di queste piattaforme.
 
L’Ue per la tutela dei lavoratori vecchi e “nuovi”
“Con questa relazione ci poniamo apertamente a favore dell’innovazione e ribadiamo la necessità di un quadro giuridico europeo che chiarisca gli obblighi (anche fiscali) delle piattaforme online e garantisca una concorrenza leale coi settori tradizionali della nostra economia”, ha dichiarato il relatore Nicola Danti. “La nostra priorità”, ha continuato, “resta la tutela dei consumatori europei e la difesa dei diritti dei lavoratori: tanto di quelli dei settori tradizionali quanto dei “nuovi” lavoratori delle piattaforme collaborative”.
 
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