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Dal mondo

USA, dal petrolio 1.650 miliardi di dollari al fisco in 25 anni

È la somma versata dalle multinazionali del petrolio nelle casse dell’erario statunitense nel periodo 1981-2006

Nello stesso intervallo di tempo i profitti complessivi registrati dall’intero settore petrolifero hanno totalizzato 1.120 miliardi di dollari. Al di là d’ogni ragionevole dubbio, resta la concretezza del dato riportato dall’Agenzia che monitorizza flussi e numeri del settore energetico americano. Una benedizione contabile per i conti pubblici statunitensi, sempre in rosso oramai da decenni, oppure, come sostengono in molti, un dono piuttosto modesto offerto da grandi aziende al fisco federale di Washington e ai diversi erari locali, a cominciare da quelli dei singoli Stati dell’Unione, che ospitano sul loro territorio le strutture operative delle grandi multinazionali del petrolio e delle migliaia di operatori che a diverso titolo ne costituiscono l’intero settore. Comunque, al di là d’ogni ragionevole dubbio, resta la concretezza del dato fiscal-finanziario riportato dall’AIE, l’Agenzia che negli States monitorizza trend, flussi e numeri relativi al complesso settore energetico made in USA, e che riporta, senza tante ombre, il gettito complessivo delle imposte, delle tasse e dei tributi versati, dal 1981 al 2006, dalle major del petrolio al Fisco federale e alle Amministrazioni tributarie degli Stati dell’Unione e delle diverse realtà locali dotate d’ampia autonomia fiscale, all’incirca 3mila, che ne ospitano strutture, residenze e sedi amministrative e di rappresentanza.

Il petrolio Usa? Un tesoro da 3mila miliardi di dollari
In totale il gettito, distribuito lungo un intervallo di venticinque anni, ammonterebbe a ben 1650 miliardi* di dollari, un vero e proprio tesoro, mentre i profitti dichiarati dall’intero settore risulterebbero inferiori, ma altrettanto ricchi dato che ammonterebbero a 1120 miliardi di dollari. Insomma, si tratterebbe d’un affare da 3mila miliardi di dollari, senza scivolare tra le pagine dei bilanci e tra le moltitudini statistiche che indicano anche i ricavi complessivi, le ripartizioni delle spese eccetera. Una pioggia di miliardi, che hanno contribuito ad alimentare le risorse disponibili da indirizzare sui diversi capitoli di spesa del bilancio pubblico e, al medesimo tempo, hanno distribuito somme ingenti agli azionisti e agli amministratori attivi all’interno del complesso e variopinto comparto energetico statunitense. Variopinto per la sua innaturale propensione ad assumere profili che spesso, se non di regola, oltrepassano le linee sottili di demarcazione che segnano il limite naturale in prossimità del quale l’interesse per il semplice profitto dovrebbe cedere il passo al prevalere d’un interesse superiore, quello pubblico.

E le tasse pagate all’estero? Solo 518miliardi di dollari
Considerando l’ampiezza geografica del mercato energetico dominato, ancor oggi, dal petrolio e dal barile che ne costituisce l’unità di misura fondante, le attività e i bilanci delle multinazionali statunitensi che operano nel settore del greggio riportano anche una somma significativa d’imposte versate nelle casse di erari diversi da quello di Washington. Si tratta d’un Tesoretto il cui gettito è pari a 518miliardi di dollari, anch’essi pagati dal 1981 al 2006, ma agli erari nazionali di altri Stati sovrani.

L’oro nero, ovvero, l’industria delle ombre
A questo riguardo i dubbi e le critiche legittime tornano ad occuparsi della questione che fuoriesce dal confine angusto della pura contabilità. Infatti, a fronte delle imposte versate manca invece l’indicazione dei profitti incassati dalle multinazionali, dei ricavi derivanti dalle vendite e dalla distribuzione e, in ultimo, delle eventuali spese sostenute. Un’assenza numerica che legittima e quasi istituzionalizza una lunga sequenza di dubbi e di osservazioni relative alla rete superaffollata di controllate e di società sussidiarie dipendenti dalle major del petrolio e in riferimento ai transiti spesso ambigui, o peggio lacunosi, di decine di miliardi l’anno che, destinati ai mercati nazionali alle volte finiscono per alimentare e rafforzare solide Piazze dell’offshore. E allora i dubbi si moltiplicano e si giunge a raffigurarsi l’idea, anche la semplice riflessione, che i numeri disponibili per quanto risultino seducenti in fondo non fanno chiarezza su di un settore, quello dei prodotti energetici, ancora in cerca d’una accettabile riconfigurazione dopo aver beneficiato d’un lungo periodo di relax normativo.

* Si tratta d’un valore che tiene conto del tasso d’inflazione calcolato in riferimento al periodo preso in esame.
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