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Dal mondo

Usa e Canada: due ricette fiscali
contro la crisi, un solo successo

L’FMI dà i voti e riscrive le pagelle delle politiche fiscali federali e sub-nazionali adottate dai due Stati federali

bandiere usa e canada
A sorpresa il Fondo monetario internazionale promuove le politiche espansionistiche adottate dal Canada in questi quattro lunghi anni di squilibri economici, mentre solleva dubbi, non soltanto tecnici, sugli strumenti fiscali e sulle strategie pro-cicliche messe in campo dalla Casa Bianca. Al centro dell’analisi, l’intuizione che le crisi economiche sono contenute e maggiormente controllate in contesti istituzionali dove prevale il coordinamento tra i governi nazionali centrali e le singole autorità sub-nazionali. Naturalmente, un tale rilievo assume una importanza maggiore in contesti federali.
 
 
Ottawa brinda, Washington s’interroga - I cugini canadesi sul podio economico e fiscale, una rivincita storica che si ripete a più d’un secolo dalla nascita dei due Stati federali. Il primo, il Canada, oggi saldamente stratificato su province largamente autonome, evitò il conflitto per introdurre, consolidare e riaffermare la sua essenzialità istituzionale in senso espressamente federale, mentre il parallelo cammino statunitense sul sentiero del federalismo attraversò un conflitto tra i più sanguinosi e distruttivi tra quelli che ebbero luogo nel corso dell’Ottocento. Con il risultato che gli Usa ereditarono un gap economico e fiscal-finanziario lungo quasi vent’anni prima di riguadagnare il terreno perduto tanto da potersi sedere al tavolo delle grandi potenze per la prima volta soltanto nel ‘900. Comunque, l’incoronazione da parte del Fondo monetario internazionale delle modalità adottate sul versante fiscal-finanziario dal Canada ha già aperto tra i consiglieri economici impegnati nella economic-room della Casa Bianca e tra i maggiori economisti statunitensi un largo ripensamento sul “come combattere le crisi economiche”, soprattutto se sbilanciate sul versante finanziario con ricadute pesanti sull’economia reale, quotidiana, domestica.
 
Fisco nazionale e fisco locale, taxboxers o alleati? – La critica più incisiva, e sorprendente rispetto agli usuali trend fiscali Usa, riguarda il contrasto aperto, netto e controproducente, rilevato nell’economia Usa e nel suo tessuto istituzionale, tra le diverse politiche fiscali adottate dai singoli Stati e le strategie relative a tassazione e spesa impiegate a livello federale. Piena invece la sintonia rilevata in Canada nell’introduzione di misure fiscali ben coordinate sia ad Ottawa sia nelle diverse province. In pratica, mentre Washington si sforzava di adottare politiche comunque timidamente espansive sul versante federale, i singoli Stati in prevalenza mettevano in campo tagli duri sulla spesa e, al contempo, aumentavano il livello del prelievo fiscale per colmare il rosso dilagante sui conti a bilancio. L’obiettivo principale di maggiori Stati Usa è stato quindi, ed è, quello di preservare la tenuta dei conti allontanandosi dalla linea critica del default.
 
Questione di numeri – Anche i numeri hanno recitato la loro parte nel distanziare o avvicinare nelle rispettive scelte fiscal-finanziarie le autorità federali canadesi e statunitensi ai rispettivi governi sub-nazionali, province e Stati. Negli Usa, per esempio, la crisi si manifestò immediatamente nella sua potenzialità già nel biennio 2008-2009. Di fatto, gli Stati hanno visto decrescere le rispettive entrate fiscali dal 2 al 18%. Un ridimensionamento che ha determinato, come risposta, il taglio altrettanto immediato delle spese prima quelle relative agli investimenti finanziari nei fondi, abituali negli States, a seguire sul versante amministrativo, stop a nuove assunzioni e a immissioni di denaro sul sistema produttivo per acquisto di materiali e altro, e per finire in materia di Welfare sia a livello centrale sia sulle migliaia di contee coinvolte, almeno 3mila. In pratica, osservando i numeri, i tagli di spesa hanno visto diminuire le uscite del 6% l’anno. Per rintracciare una simile strategia fiscale di rigore “assoluto”, quasi “monastico”, come riportato nei commentari economici dell’Università di Harvard, si deve tornare agli anni ’60. Nel medesimo periodo, nel triennio 2010-2012, tasse e imposte sono state elevate fino a garantire un gettito extra rispettivamente di 24 miliardi di dollari, 20 miliardi e ancora 20 miliardi nell’anno corrente. Insomma, 64 miliardi di dollari di tributi aggiuntivi in un triennio segnato da almeno 120mld di dollari di minori spese. Troppo. Una politica fiscale talmente rigorosa che di fatto, secondo gli analisti del Fondo monetario, ha finito per danneggiare pesantemente l’effetto delle strategie adottate sul piano federale, soprattutto riguardo alle assunzioni di nuovi lavoratori, oggi ancora sotto lo standard atteso e stimato nel 2011. 
 
Come funziona la ricetta fiscale anti-crisi di Ottawa – Il Canada oggi sembra tra i pochi Stati oramai al riparo dei graffi della crisi. In pratica, il federalismo canadese, il suo intero impianto centrale, quindi il cordone ben definito tra centro e periferia, tra autorità federali e organi provinciali, ha funzionato. Infatti, pur registrando una perdita secca delle entrate tributarie tra il 2008 e il 2009, le province non hanno affatto tagliato la spesa o aumentato imposte e tasse, piuttosto han messo in campo una politica fiscale espansiva senza precedenti aumentando la spesa del 5 e 6%, il doppio del gap registrato sul lato delle entrate. Nel contempo, lo stimolo di oltre 60 miliardi di dollari introdotto dal governo federale, una volta coordinato con le stesse autorità provinciali, ha raggiunto in quote consistenti le stesse autorità sub-nazionali che, a loro volta, han provveduto a riversarle sul Welfare e sul sistema produttivo dell’economia reale. Uno sforzo pari al 4% del Pil nazionale che, nel suo complesso, s’è rivelato sufficiente per chiudere la porta in faccia alla crisi. 
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