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Dal mondo

Usa: nel confronto Obama-Romney,
le aliquote fanno la differenza

Il DNA tributario dei candidati, espresso nelle dichiarazioni fiscali, dimostra perché Mr President precede il rivale

sfida presidenziale

Il futuro Presidente Usa? Parola al DNA fiscale dei due candidati. Innanzitutto, non è la prima volta che sia un tema strettamente fiscale a favorire un candidato rispetto al suo rivale. Mai però così dirimente. Generalmente delle ombre permangono, non in questo caso. Barack Obama e Mitt Romney, nelle rispettive dichiarazioni dei redditi, pubbliche peraltro, abitano due visioni distanti, due prospettive divergenti e soprattutto due diverse vicinanze rispetto agli oltre 200milioni di elettori che sceglieranno il futuro inquilino della Casa Bianca.


Le aliquote fiscali marcano la differenza - In pratica, è nel dna fiscale dei due candidati, raccolto dall'Agenzia delle Entrate, l'Irs per intendersi, che si rivelano due diversi orizzonti per il futuro degli States nei prossimi quattro anni. Non è quindi un caso se proprio sul duello incrociato delle due dichiarazioni, e sulla loro sovrapposizione, che s'è determinata la prima rottura, e la prima distanza tra i due, nella corsa verso la Casa Bianca. Risultato 25 a 14 in favore di Obama. Sono queste, infatti, le aliquote effettive che i due candidati applicano sui redditi che denunciano. Ed è quell'11% che li separa che, al contrario, ne ha rideterminato la vicinanza, o la distanza, dagli elettori. Di fatto spingendo Obama in braccio alla classe media statunitense che, da almeno mezzo secolo, costituisce il serbatoio primario per un cammino sicuro verso l'investitura di Presidente degli Stati Uniti.


Non soltanto la guerra delle aliquote - Il fatto che Obama lasci al fisco il 25% dei suoi guadagni annuali, mentre Romney s'accontenti di trasferirvi un infinitamente più modesto 14%, non esaurisce il confronto fiscale ingaggiato di fronte agli elettori, attenti. In realtà, i numeri che sono emersi dalle due dichiarazioni dei redditi hanno giocato e giocano tuttora un ruolo decisivo nell'orientamento di voto dell'elettore medio. Mitt Romney riposa su 13,9 milioni di dollari, che corrisponde al reddito imponibile lordo di routine per un miliardario. Obama invece si ferma a 844mila dollari. Inoltre, l'attuale Presidente Usa riporta nello spazio riservato al salario 394mila dollari, cifra che corrisponde al suo stipendio annuale effettivo come principale esecutore dei destini statunitensi e conseguentemente mondiali. Sul versante opposto Mitt Romney offre un deprimente zero-salari, che ne segna subito l'allontanamento dalla classe media, bacino elettorale decisivo. Le sue maggiori entrate, quasi 7 milioni di dollari, derivano infatti da guadagni originati dagli investimenti. Su quale settore? E proprio in una lunga stagione di crisi dove le Borse sono delle altalene che guardano in basso? Semplice, "proprietà", immobili, insomma, il settore immobiliare, in altre parole, sull'origine della crisi, su quel buco nero statunitense che ha tolto le briglie a una delle più lunghe fasi di stagnazione dell'economia mondiale. Dalla porticina del business a Barack Obama giungono in soccorso 441mila dollari, una mini-entrata talmente modesta rispetto a quella del suo rivale da esaltarne il guadagno.


La chiamata dei due candidati alla cassa del Fisco - L'ultimo passaggio numerico che definisce le distanze tra Obama e Romney si consuma al momento del versamento effettivo delle tasse e delle imposte dovute. Il primo lascia all'erario 162mila dollari somma che equivale all'incirca al 25% dell'originario imponibile lordo, quindi senza considerare detrazioni e deduzioni che riconducono ad un imponibile netto di 789mila dollari. La cronaca numerica di Romney è piuttosto diversa. Al fisco, infatti, lascia 1,9 milioni di dollari, ovvero, il 14% dell'imponibile lordo. Un imponibile che, sfruttando 2,2 milioni di dollari di donazioni e una deduzione stellare di quasi  5 milioni di dollari, vede ridursi a un imponibile netto di 9 milioni di dollari. Comunque, per l'elettore medio la partita termina 25 a 14 in favore dell'attuale Presidente.


La curiosità - Osservando, e scorrendo, le due dichiarazioni dei redditi, pagine e pagine, è chiaro come, oltre al mito del self-made man, una seconda saga favolistica si riduce a leggenda, ovvero, nel tempio del liberalismo anglosassone la semplicità non è affatto così ricorrente. L'intero formato delle due dichiarazioni dei redditi, infatti, risulta non lunare per la sua complessità piuttosto stellare. E ben si comprende un secondo dato, questa volta numerico, messo in evidenza ciclicamente dall'autorità fiscale di controllo e di sorveglianza che opera negli Usa, sorta di Garante dei contribuenti ma con poteri effettivi, il quale denuncia che ogni anno per compilare la dichiarazione dei redditi i contribuenti, 142 milioni, spendono all'incirca 280 miliardi di dollari. La ragione? Eccessivamente complessa, spesso difficile da comprendere e, soprattutto, distante da un parametro accettabile di semplicità per il contribuente medio americano. Forse gli States non sono affatto l'Eldorado del fisco "easy" come spesso è dipinto in Europa, in particolare dai Paesi mediterranei.


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