Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Abuso del diritto, onere della prova
prima al fisco poi al contribuente

Se l’Ufficio accerta la mancanza di sostanza economica e il conseguimento di vantaggi fiscali indebiti di un’operazione, la società dovrà dimostrare l’assenza di intenti elusivi

immagine generica

Un’operazione di scissione parziale, con cui viene assegnato a una neocostituita tutto il patrimonio immobiliare a cui segue il riacquisto di parte di esso ad opera dalla società scissa con cessione al socio, nel breve periodo, della partecipazione della neocostituita, configura un abuso del diritto. La quinta sezione civile della Corte di cassazione con la sentenza n. 27709/2022, è stata chiamata ad esprimersi su eventuali profili elusivi rinvenibili in un’operazione di ristrutturazione aziendale, ovvero una scissione parziale proporzionale con successive cessioni delle partecipazioni.

La vicenda processuale
L’Amministrazione finanziaria ha contestato l’elusività di un’operazione di riorganizzazione, la quale è stata così strutturata.
Tramite una scissione parziale, veniva assegnato l’intero patrimonio immobiliare ad una società neocostituita; nell’arco di qualche anno, parte dei beni immobili venivano riacquistati dalla società scissa e nel breve periodo veniva ceduta al socio l’intera partecipazione della Newco; contestualmente il socio cedeva le quote della società scissa.
La contestazione verteva sul fatto che la scissione parziale proporzionale e successive cessioni delle quote erano dirette a consentire al socio di recedere dalla compagine sociale mediante l’assegnazione di parte degli immobili in contropartita della liquidazione della sua quota di partecipazione.
Il giudice di prime cure, chiamato a giudicare l’operazione oggetto di contestazione, ha confermato l’impianto delle riprese, evidenziando la sussistenza di un abuso del diritto.
Il contribuente ha quindi fatto ricorso alla Commissione tributaria regionale, la quale, rigettate le eccezioni pregiudiziali e preliminari, ha confermato l’elusività nelle operazioni poste in essere, e conseguentemente ha rigettato il ricorso.

La normativa di riferimento
Il generale principio antielusivo rinvenibile nella Costituzione e nelle indicazioni della raccomandazione n. 2012/772/Ue, è stato decodificato dal legislatore nazionale con l’introduzione del comma 1, articolo 10-bis della legge n. 212/2000 e successive modificazioni, recante la “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”, il quale definisce quando un’operazione può essere considerata abusiva.
La norma antielusiva prevede che l’Amministrazione finanziaria debba identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi:

  • l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali
  • l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale
  • la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”.

Il mancato riscontro di anche solo uno dei tre presupposti costitutivi dell’abuso determina l’assenza di abusività.
Attraverso il successivo comma 3, il legislatore ha chiarito espressamente che non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali (anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale).

La pronuncia della Corte
Il contribuente ha eccepito, tra le altre cose, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 37-bis del Dpr n. 600/1973, ossia della norma anti-elusiva vigente all’epoca dei fatti, in quanto il solo fatto che vi sia un risparmio di imposta nell’operazione così strutturata, rispetto ad un’operazione alternativa più semplice e lineare, non determina che lo stesso sia qualificabile come vantaggio fiscale “indebito”, infatti secondo l’appellante è indebito soltanto nel caso in cui sia disapprovato dall’ordinamento tributario. Contestualmente è stato eccepito che l’insieme di operazioni oggetto di contestazione non possono essere considerate prive di valide ragione extra-fiscali, senza che l’Amministrazione finanziaria abbia provato “una manipolazione e alterazione degli schemi negoziali classici contrari ad una normale logica di mercato”.
I giudici di Piazza Cavour hanno chiarito, riguardo al riparto dell’onere della prova, che grava sul fisco l’onere di dimostrare tanto l’esistenza di un disegno elusivo, quanto le manipolazioni e alterazioni degli schemi negoziali, rispetto ad una normale logica di mercato, tenute al solo fine di conseguire un vantaggio fiscale. Invece, grava sul contribuente dimostrare l’esistenza di ragione economiche alternative o concorrenti che giustifichino l’insieme delle operazioni.
I giudici hanno voluto anche rammentare la prevalenza della sostanza economica dell’operazione rispetto la formale denominazione negoziale.
Gli ermellini hanno altresì affermato il seguente principio di diritto: «In materia tributaria, l'operazione economica che non trova giustificazione extrafiscale ed è diretta essenzialmente a conseguire un risparmio d'imposta costituisce "condotta abusiva" e la prova del disegno elusivo incombe sull'agenzia delle Entrate, ma questa non si estende alla dimostrazione della necessaria preordinazione ex ante del compimento di tutti i negozi e i fatti giuridici che realizzano la fattispecie, ben potendo essere dirimente un accordo stipulato tra le parti che ricostruisce il collegamento teleologico tra tutte le singole operazioni, sia anteriori alla sua stipula, sia poste in essere successivamente.»

Conclusioni
Affinché si possa configurare un abuso del diritto, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare che ricorrano contestualmente i seguenti tre requisiti:

  1. mancanza di sostanza economica
  2. essenzialità dei vantaggi fiscali
  3. conseguimento di vantaggi fiscali indebiti.

Tale riscontro dovrebbe basarsi in prima battuta sull’assenza della sostanza economica dell’operazione, in secondo luogo sull’assenza di valide ragioni extrafiscali non marginali, e nel caso in cui vi fosse la rispondenza di entrambi i requisiti, l’eventuale vantaggio fiscale sarebbe da considerarsi “indebito”, senza che l’Amministrazione finanziaria sia tenuta a dimostrare la necessaria preordinazione delle operazioni.
In conclusione, qualora il fisco riesca a dimostrare la sussistenza di tutti e tre i requisiti sopra elencati, spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali, non marginali, al fine di provare che non vi era alcun intento elusivo.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/abuso-del-diritto-onere-della-prova-prima-al-fisco-poi-al