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Giurisprudenza

Accertamenti bancari. Conto “aperto”, difesa debole

Non vale a vincere la presunzione la mera affermazione che sullo stesso confluivano anche somme altrui

aula cassazione
Il contribuente che utilizza il conto corrente a lui personalmente intestato anche per versare somme affidatagli da terzi in amministrazione deve fornire la prova specifica della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui. In caso contrario, la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato, senza necessità per l’Amministrazione di instaurare un contraddittorio precontenzioso. Lo ha confermato la Corte di cassazione con la sentenza n. 14847 del 5 giugno 2008.

La vicenda
La controversia in esame trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’agenzia delle Entrate aveva determinato un maggior reddito di lavoro autonomo sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, che faceva riferimento a indagini relative a movimentazioni bancarie.

La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso e i giudici di appello rigettavano l’appello proposto dall’ufficio, rilevando che il decesso del contribuente, avvenuto non appena era iniziata la verifica (che aveva impedito la sottoscrizione del verbale di constatazione), avrebbe dovuto indurre l’ufficio a integrare gli accertamenti effettuati dalla Gdf con elementi probatori idonei a confermare che le somme depositate presso gli istituti di credito provenivano esclusivamente dall’attività professionale del contribuente; l’ufficio si era invece limitato a richiamare il verbale di accertamento, inidoneo a costituire esclusiva fonte di prova, atteso che dall’esame dei conti correnti bancari emergeva che il contribuente “aveva l’abitudine di far transitare sui suoi conti correnti anche denaro non proprio e redditi terziari non identificati”.

Più specificatamente, secondo la Ctr, alcune poste del conto corrente erano riferibili all’attività politica espletata dal contribuente, per la quale egli doveva rendere conto al partito; altre, invece, dovevano essere imputate al ricorrente solo per metà, giacché questi si trovava in regime di comunione legale dei beni con la moglie cointestataria del medesimo conto corrente.

In Cassazione, l’agenzia delle Entrate deduceva che nel ricorso introduttivo la parte non aveva fatto alcun accenno ad attività extraprofessionali (tali da far presumere che le somme sui conti correnti potessero essere riferibili a terzi, nonché per metà al coniuge), né, peraltro, era stato mai dimostrato “quali e quante fossero le somme di pertinenza altrui”.

La normativa
Prima di esaminare la sentenza in commento, è opportuno ricordare brevemente, per quanto qui d’interesse, che, ai sensi dell’articolo 32 del Dpr 600/1973, è consentito imputare gli elementi risultanti dai conti correnti bancari direttamente quali compensi relativi all’attività di lavoro autonomo svolta, salva la possibilità riconosciuta al contribuente di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi dell’attività medesima; pertanto, in relazione alla suddetta presunzione concernente gli elementi risultanti dagli accertamenti bancari, si determina una inversione dell’onere della prova.

La sentenza
La Suprema corte, nell’accogliere il ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria, ha ritenuto del tutto irrilevante, ai fini dell’operatività della presunzione legale contenuta nell’articolo 32 del Dpr 600/1973, la circostanza secondo cui il contribuente non aveva firmato il verbale di constatazione (a causa del decesso avvenuto dopo l’inizio della verifica), giacché l’utilizzazione dei movimenti dei conti correnti bancari è legittima anche in assenza di preventiva convocazione dell’interessato.

Nella motivazione della sentenza è stato, infatti, affermato che “la legittimità dell’utilizzazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, atteso che l’art. 32 prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell’Amministrazione finanziaria, non di un obbligo (…) pertanto, in assenza di una preventiva convocazione del contribuente non può determinarsi l’illegittimità della verifica operata sulla base degli accertamenti bancari, né ciò comporta la trasformazione della presunzione legale, posta dal predetto art. 32, in presunzione semplice, con possibilità per il giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza e con conseguente onere per il fisco di fornire ulteriori elementi di riscontro” (cfr ex multis Cassazione, sentenze 4601/2002, 14675/2006, 10964/2007).

Conseguentemente, i giudici hanno ritenuto che era legittima, in virtù di quanto disposto dall’articolo 32 del Dpr 600/1973, l’imputazione dei versamenti operati su conti correnti bancari a compensi conseguiti dal contribuente nell’esercizio della propria attività professionale e che spettava al contribuente medesimo fornire la prova contraria, in sede amministrativa o contenziosa, senza necessità per l’Amministrazione di instaurare un contraddittorio precontenzioso.

In altre parole, la moglie cointestataria del conto corrente avrebbe dovuto fornire una prova contraria circostanziata (non solo quale erede del contribuente, ma anche in qualità di destinataria dell’avviso impugnato) che non poteva consistere nella mera affermazione che sul conto corrente confluivano “anche somme di pertinenza di terzi”.

La circostanza che sul conto corrente del contribuente transitassero somme altrui, non era, pertanto, idonea di per sé a escludere la totale imputabilità di tutte le movimentazioni bancarie direttamente all’intestatario del conto corrente, in assenza di elementi contrari in tal senso.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’articolo 32 del Dpr 600/1973, “non è sufficiente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto” (cfr Cassazione sentenze 27063/2006 e 13819/2007).
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