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Giurisprudenza

Accertamento con adesione:
solidale il socio accomodante

L’atto impositivo originario, oggetto della transazione, non può essere impugnato e conserva efficacia, solo a garanzia del fisco, fino al pagamento della somma concordata o della prima rata

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Sussiste responsabilità solidale per il socio accomandante, amministratore di fatto della società di persone, che, insieme al socio accomandatario, amministratore di diritto, abbia sottoscritto l’accertamento con adesione della società. L’adesione che abbia avuto buon esito è, infatti, intoccabile da parte del contribuente, a cui non resta che eseguire l’accordo, versando quanto in esso stabilito.

La vicenda processuale
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 20577 del 31 luglio 2019, ha chiarito un rilevante profilo in tema di accertamento con adesione.
Nell’ambito di una controversia relativa all’impugnazione di una cartella di pagamento, recante l’iscrizione a ruolo delle somme risultanti dal verbale di accertamento con adesione sottoscritto dal contribuente, socio accomandante di una Sas, e dal socio accomandatario, a seguito della decadenza dal beneficio della rateizzazione per avere, i contribuenti, versato soltanto le prime due rate. La Ctr accoglieva l’appello proposto dall’accomandante avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, ritenendo insussistente la responsabilità solidale dello stesso e non avendo l’Amministrazione finanziaria dimostrato “con prove inconfutabili che questi fosse amministratore di fatto della società.
Secondo i giudici di secondo grado, del resto, la partecipazione del ricorrente al procedimento di adesione, insieme al socio accomandatario-amministratore, era avvenuta al solo fine di controllo dell’attività di quest’ultimo, anche tenuto conto degli effetti che l’adesione avrebbe comportato sulla determinazione del maggior reddito, per trasparenza, pro-quota.
Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle entrate proponeva, quindi, ricorso per cassazione, deducendo, tra l’altro, il vizio motivazionale della sentenza e sostenendo che la qualifica del contribuente come amministratore di fatto della Sas era desumibile da una serie di elementi emergenti dal pvc trascurati dalla Ctr, come, ad esempio, che lo stesso: era responsabile di fatto della seconda agenzia della società, tanto da aver effettuato, in un’occasione, il pagamento della retribuzione di una dipendente; era delegato a operare in tutti i rapporti intestati alla società; aveva sottoscritto il pvc in cui veniva indicato quale amministratore di fatto, senza nulla opporre e che, in tale veste, aveva anche sottoscritto il verbale di accertamento con adesione.

La sentenza
Secondo la Corte suprema il ricorso era fondato.
Evidenziano, infatti, i giudici di legittimità che era innanzitutto necessario premettere la sottoscrizione, da parte dell’accomodante, unitamente al socio accomandatario, del verbale di accertamento con adesione.
Ciò posto, la Cassazione, ricorda che, nella specifica materia, la giurisprudenza (vedi in motivazione, Cassazione, ordinanza n. 2161/2019 e cfr Cassazione, nn. 10086/2009 e n. 11982/2011) “ha già avuto modo di affermare che quando, come nel caso concreto, l'istanza di adesione abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l'accertamento così definito diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell'Ufficio, che non può integrarlo o modificarlo …”.
Pertanto, una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire (o, per usare lo stesso termine della legge, “perfezionare”) l’accordo, versando quanto da esso risulta, essendo normativamente esclusa la possibilità d’impugnarlo e, a maggior ragione, quella d’impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del fisco, finché non sia stata “perfezionata” la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato (cfr Cassazione, n. 14533/2015).
Nel caso in esame la Ctr aveva, dunque, chiaramente omesso di valutare l’adesione del contribuente, quale coamministratore di fatto della società, e le relative conseguenze, così come enunciate, da cui doveva invece ricavare l’intangibilità della pretesa erariale come risultante dall’adesione, che non poteva certo essere rimessa in discussione in sede di impugnazione di un atto meramente esecutivo quale la cartella di pagamento.

La stessa Ctr, secondo la Cassazione, aveva inoltre errato quando, in violazione dei suddetti principi, aveva fornito una giustificazione del comportamento del socio accomandante (ovvero che lo stesso aveva sottoscritto il relativo verbale al solo fine di controllo dell’attività dell’amministratore – socio accomandatario, tenuto conto degli effetti che tale adesione avrebbe comportato sulla determinazione del maggior reddito, per trasparenza) senza dare atto da quali elementi avesse tratto una simile convinzione e con motivazione, dunque, meramente apparente.
Si evidenzia, peraltro, che in tema di individuazione dell’amministratore di fatto di una società, secondo la giurisprudenza della Corte suprema (cfr Cassazione, n. 18924/2017), determina in ogni caso l’atteggiarsi come referente dell’ente nei momenti decisivi e operativi della vita della compagine sociale, anche considerato che la prova per presunzioni può essere raggiunta anche grazie a un solo elemento, se lo stesso sia ritenuto attendibile alla luce del complessivo compendio probatorio (cfr Cassazione, n. 21619/2015).
Tale unico elemento, del resto, ben può essere rappresentato anche dalle dichiarazioni del prestanome (il formale legale rappresentante) che, per scagionarsi, riveli l’identità dell’amministratore di fatto, non essendo ex se inattendibili le dichiarazioni che svelano il vero “dominus” della società.
Muovendo dal criterio funzionalistico, il dato fattuale della gestione sociale deve, quindi, prevalere sulla qualifica formalmente rivestita, privilegiando il concreto espletamento della funzione e la conseguente equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente investiti della carica.
Tale conclusione trova del resto conferma anche, sul piano normativo, nell’articolo 2639 cc, che dispone per i reati societari previsti dal codice civile l’equiparazione al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge di chi esercita in materia continuativa e significativa i poteri tipici inerenti alla qualifica o funzione.
Sebbene dettata in materia di reati societari, tale norma è stata infatti ritenuta la codificazione di un principio generale applicabile anche ad altri settori dell’ordinamento, così come in campo civile e tributario.
Non che questo “liberi” l’amministratore di diritto, che resta comunque solidalmente responsabile con quello di fatto, laddove, il prestanome, che, accettando la carica ha anche accettato i rischi a essa connessi, si espone comunque alle conseguenze dell’operato dei gestori reali e, dunque, alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, e questo anche in base alla posizione di garanzia di cui all’articolo 2392 cc, in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale e impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi (cfr Cassazione, nn. 7208/22006 e 47110/2013).

A prescindere dallo specifico caso processuale, la sentenza rappresenta inoltre l’occasione per fare un quadro, in generale, sul tema del rapporto tra adesione ed effetti sui membri delle società a cui l’accertamento originario era riferito.
La definizione dei redditi mediante accertamento con adesione da parte della società di persone costituisce, infatti, titolo per effettuare un accertamento parziale nei confronti dei soci in ordine al maggior reddito da partecipazione (cfr Cassazione, ordinanza n. 21834/2018).
Laddove, quindi, la Sp abbia provveduto a definire il proprio reddito mediante tale istituto, ai soci deve essere attribuita, per la medesima annualità, la quota parte dell’imponibile risultante dall’imposta versata dalla compagine per la definizione della lite, costituendo l’imputazione al socio automatica applicazione del disposto dell’articolo 5, del Dpr 917/1986.
Ancora la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 16810/2017, ha inoltre chiarito gli effetti dell’adesione della società a ristretta base azionaria, affermando che la procedura dell’accertamento con adesione consiste nella definizione di un nuovo atto pattuito tra ufficio e contribuente a seguito di un contraddittorio tra le parti.
Con specifico riferimento, quindi, alle società di capitali a ristretta base azionaria, pur non sussistendo, a differenza delle società di persone, una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, la Corte rileva che l’appartenenza della società a una stretta cerchia familiare può, comunque, fornire, sul piano meramente indiziario, la prova dell’avvenuta distribuzione di utili extracontabili.
Quanto, infine, agli effetti preclusivi dell’adesione, l’accertamento definito in adesione diventa così intoccabile, con la conseguenza che il contribuente non può più impugnarlo e l’ufficio non può integrarlo o modificarlo, pena l’annullamento dello stesso scopo dell’istituto, che mira appunto alla deflazione del contenzioso.
Pertanto, dopo il perfezionamento (con il pagamento in un’unica soluzione o della prima rata) l’atto impositivo perde efficacia e l’inadempimento dell’accordo può giustificare l’adozione dei normali mezzi di coercizione, quanto all’importo già definito, con iscrizione a ruolo.

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