Il fatto
Nelle more del giudizio davanti la Commissione tributaria provinciale, l’ufficio aveva emesso un ulteriore avviso di accertamento, definito “integrativo”, nel quale venivano questa volta specificatamente indicate le aliquote applicate. Va detto che il contribuente aveva impugnato anche l’accertamento “integrativo”. La Commissione tributaria provinciale, chiamata a pronunciarsi sull’avviso di accertamento originario, aveva deciso per il rigetto del ricorso.
In appello il contribuente aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado. Di contrario avviso era stata la Ctr, per i cui giudici l’accertamento “integrativo” aveva annullato e sostituito l’originario atto solo ed esclusivamente nella parte relativa all’indicazione delle aliquote.
Così, con ricorso in Cassazione il contribuente ha riproposto la questione della esatta qualificazione del nuovo avviso rispetto all’originario accertamento; chiedendo, cioè, di verificare se si trattava di nuovo accertamento emesso in via di autotutela, e quindi di nuovo atto autonomamente impugnabile, ovvero di una mera integrazione del precedente, come ritenuto dai giudici del merito.
Potere di accertamento integrativo e autotutela
Ebbene, una volta esaminate le eccezioni addotte dalle parti, la Suprema corte afferma che, nel caso di avviso di accertamento mancante dell’indicazione dell’aliquota applicata, pertanto nullo per violazione dei principi di cui all’articolo 42 del Dpr 600/1973, l’emanazione di un successivo nuovo atto, immune dai vizi indicati, costituisce esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria, e non del potere di accertamento integrativo.
Una volta correttamente inquadrato l’atto, la Corte ritiene opportuno sottolineare le conseguenze, sul piano processuale, per il giudizio avente ad oggetto la legittimità dell’atto di accertamento originario. Infatti, l’esercizio del potere di autotutela determina la caducazione dell’avviso originario. Ne consegue che è impossibile per il giudice emanare una pronuncia di nullità di un atto che, nei fatti, è già stato annullato dall’Amministrazione. Di contro, il giudice deve prendere atto del venir meno di ogni interesse alla prosecuzione del giudizio, con ciò dichiarando la cessata materia del contendere.
La Cassazione si preoccupa altresì di chiarire quali siano gli effetti giuridici ricollegabili alla dichiarazione di cessata materia del contendere:
- caducazione della sentenza impugnata, differente della rinuncia al ricorso che ne determina il passaggio in giudicato; questo principio si spiega considerando che, mentre la rinuncia al ricorso proposto avverso la sentenza assume il significato di una rinuncia al giudizio di impugnazione e, quindi, comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, di contro il venir meno dell’interesse ad agire in giudizio determina la caducazione della sentenza perché è l’interesse al processo e non all’impugnazione che è venuto meno
- assoluta inidoneità della sentenza di cessazione della materia del contendere ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, se non limitatamente al profilo processuale del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio; del resto, si consideri che la sentenza non può che esplicare effetti limitatamente all’oggetto del giudizio; nel caso di specie, l’atto originario è venuto meno ed è stato sostituito (e non integrato) da un nuovo atto, rispetto al quale il precedente giudizio non può produrre effetti.