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Giurisprudenza

Accertamento a terzo senza dialogo:
legittimo proprio perché verso terzo

L’emissione dell’atto impositivo, fondato su prove acquisite presso altri soggetti, non lede il diritto di difesa del contribuente. Qui non opera la garanzia dello Statuto

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Nell’ipotesi in cui, nel corso di una verifica condotta nei confronti di una società, l’Amministrazione fiscale constata l’emissione di fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti, può legittimamente essere emanato l’avviso di accertamento nei confronti del terzo utilizzatore delle fatture anche senza previa instaurazione del contraddittorio.
L’emissione dell’atto impositivo, fondato sulla documentazione o su informative acquisite presso terzi, non lede il diritto di difesa del contribuente accertato, che può essere esercitato sia nella fase extragiudiziale, con l’attivazione dell’istituto dell’autotutela, sia nella fase giudiziale, con l’opposizione dinanzi alle Commissioni tributarie.
Questo l’importante principio statuito dalla Corte di cassazione con la sentenza 9108 del 6 giugno.
 
Il fatto
La vicenda trae origine dal ricorso contro l’avviso di accertamento emesso, a seguito della verifica condotta dalla Guardia di finanza, nei confronti di una società a cui era stato contestato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse da due società fornitrici, anch’esse sottoposte a verifica.
Sulla base delle risultanze delle attività ispettive, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva rettificato la dichiarazione relativa al 2003, liquidando una maggiore imposta ai fini Irpeg, Irap e Iva.
Il ricorso era stato respinto dalla competente Commissione tributaria provinciale.
 
In sede di appello, la Commissione regionale, in totale riforma della prima pronuncia, aveva dichiarato l’annullamento dell’avviso di accertamento.
A parere dei giudici di secondo grado, gli elementi offerti dall’Amministrazione finanziaria, a sostegno della tesi sull’inesistenza delle operazioni passive, parevano inconsistenti in quanto incentrati esclusivamente sulle dichiarazioni acquisite dai dipendenti della società accertata.
Al contempo l’ufficio non avrebbe tenuto conto dei dati e delle giustificazioni offerte dalla società avverso la pretesa tributaria, quali la produzione delle distinte bancarie comprovanti il pagamento delle prestazioni, gli accordi scritti con i fornitori e la prova dell’effettiva ricezione dei beni oggetto delle operazioni e del loro reimpiego nel ciclo produttivo dell’impresa.
I giudici di secondo grado avevano ritenuto, altresì, fondato il motivo di ricorso posto dalla società in merito alla violazione, da parte dell’ente accertatore, delle disposizioni a tutela del contribuente di cui all’articolo 12 della legge 212/2000, essendo stata svolta l’istruttoria esclusivamente sulla base delle informative acquisite in sede di verifica presso i fornitori della società, in totale assenza del contraddittorio con quest’ultima.
 
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione contro la citata pronuncia sulla base di sei motivi.
La Corte suprema, ritenendone fondati due, ha dichiarato la cassazione della sentenza impugnata, rimandando la pronuncia ad altra sezione della medesima Commissione regionale per l’emendamento dei vizi logici riscontrati in sede di legittimità.
 
La decisione
Nella corposa pronuncia in esame, i giudici di legittimità hanno enunciato una serie di principi di diritto in materia di legittimità dell’atto impositivo e di garanzie istruttorie, alcuni dei quali inediti.
Si premette che, con apposito motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censurava il capo della sentenza di secondo grado nella parte in cui questa riteneva fondata l’illegittimità dell’avviso di accertamento per omessa osservanza del contraddittorio con il contribuente nel corso delle verifiche condotte presso i propri fornitori, a cui veniva contestata l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, le medesime utilizzate dalla società cui era diretto l’atto impositivo.
In altre parole, il contribuente riteneva leso il proprio diritto di difesa in quanto l’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica presso i suoi fornitori, non aveva provveduto ad avvisare la società dei rilievi mossi prima della notifica dell’avviso di accertamento, e ciò in mancanza di espressi motivi d’urgenza.
Così operando, il contribuente non avrebbe avuto modo di avanzare osservazioni avverso i rilievi dell’ufficio.
 
Di diverso avviso la ricorrente Agenzia delle Entrate, cui i giudici di legittimità hanno riconosciuto la fondatezza delle proprie ragioni.
 
Il Collegio di legittimità ha ritenuto la sentenza della Ctr viziata in punto di diritto, in quanto i giudici hanno erroneamente esteso a un soggetto terzo, la società utilizzatrice delle fatture per operazioni inesistenti, le garanzie istruttorie previste dall’articolo 12, comma 2, della legge 212/2000 a tutela del soggetto destinatario della verifica fiscale, in questo caso costituito dalle società fornitrici emittenti le fatture contestate.
La norma richiamata, infatti, trova precipua collocazione nell’ambito del rapporto esclusivo tra Amministrazione finanziaria e contribuente sottoposto a controllo, attività che deve essere svolta nel rispetto del principio di collaborazione.
Nell’alveo di tale principio, pertanto, risulta coerente l’operato dell’organo accertatore con “l’invito alla partecipazione alla fase dell’acquisizione documentale rivolto al solo soggetto che ha la disponibilità dei documenti ritenuti rilevanti ai fini della verifica fiscale”.
Pertanto, trattandosi di contestazione relativa a operazioni commerciali soggettivamente inesistenti, a fronte delle quali più società avevano emesso fattura, i diritti di informazione e di difesa cui l’Amministrazione avrebbe dovuto attenersi in fase istruttoria riguardano, specificamente, gli emittenti, detentori dei documenti rilevanti ai fini del controllo fiscale, e non anche il terzo utilizzatore delle fatture, il quale assume immediata rilevanza soltanto in veste di soggetto che, sulla base dei documenti acquisiti nel corso della verifica, risulta aver intrattenuto rapporti commerciali con il contribuente verificato.
 
Sul punto, i giudici della Cassazione affermano, peraltro, che il terzo non subisce alcuna lesione del proprio diritto di difesa, “tenuto conto da un lato che l’utilizzo di dati, documenti ed informative acquisite presso terzi ai fini dell’accertamento di ufficio o in rettifica è pienamente legittimo in quanto espressamente contemplato dagli artt. 32 e 33 del D.P.R. 600/1973 e dagli artt. 51 e 52 del D.P.R. 633/1972; dall’altro che il contribuente, nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria emetta avvisi di accertamento fondati in tutto o in parte sulla documentazione o su informative acquisite presso terzi, è posto comunque in grado di esercitare in modo pieno e senza alcun limite il proprio diritto di difesa sia nella fase extra-giudiziale con la richiesta di attivazione dell’autotutela, sia nella fase giudiziale con l’opposizione dell’atto impositivo davanti alle Commissioni Tributarie”.
 
Il Collegio di legittimità è tornato a esprimersi, altresì, in ordine al principio del libero convincimento del giudice di merito con specifico riferimento all’aspetto dell’iter logico-giuridico posto a fondamento delle proprie decisioni.
Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate lamentava l’operato dei giudici di secondo grado laddove questi avevano ritenuto inconsistenti, dal punto di vista probatorio, gli elementi indiziari emergenti dal processo verbale di constatazione, senza tuttavia esplicitare l’iter logico che aveva portato al rigetto delle ragioni dell’ufficio.
Nella specie, l’Amministrazione finanziaria aveva riportato nel ricorso per cassazione molti elementi indiziari tratti dal pvc, posto alla base dell’avviso di accertamento, tutti diretti a comprovare la fittizietà dell’attività delle società emittenti le fatture contestate (sedi legali inesistenti, assenza di documentazione contabile, mancanza dei requisiti tecnici necessari allo svolgimento della specifica attività d’impresa, mancanza di pagamenti a favore di dipendenti o collaboratori, eccetera).
Tutti questi elementi non risultavano esser stati presi in considerazione dai giudici di merito, che si erano limitati a definirli genericamente “fragili rilievi”.
 
Sull’argomento, fatto salvo il principio del libero convincimento del giudice di merito in fase decisionale, in base al quale l’organo giurisdizionale può decidere liberamente a quale presunzione (anche semplice) dare peso e in che misura, la Corte di cassazione ha chiarito che tale discrezionalità deve essere esercitata in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto alla base delle risultanze probatorie e del proprio convincimento.
Quindi, la motivazione della sentenza deve necessariamente articolarsi in due momenti valutativi: in primo luogo il giudice, dopo avere analizzato ogni singolo elemento indiziario, deve conservare soltanto quelli che singolarmente rivestono i caratteri della precisione e della gravità; successivamente, deve procedere a una valutazione complessiva di tali elementi, accertando la loro concordanza e la loro capacità di fornire nel complesso una prova presuntiva.
 
Di conseguenza, concludono i giudici, richiamando anche numerose pronunce della stessa Corte (come la sentenza 584/2008), deve ritenersi “censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare che essi, quand’anche sforniti singolarmente di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento”.
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