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Giurisprudenza

Accesso nello studio, indagine sul cliente

E' legittima l'acquisizione e utilizzazione di documenti relativi a un soggetto diverso dal professionista

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Con avviso di accertamento regolarmente notificato, l'ufficio Iva rettificava la dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente; tale rettifica traeva origine da un'ispezione contabile effettuata presso lo studio di un professionista incaricato dell'assistenza fiscale, nel corso della quale era stata acquisita documentazione fiscale relativa al medesimo contribuente.
L'impugnazione del contribuente era accolta dall'adita Commissione tributaria provinciale con sentenza che veniva confermata in appello dalla Commissione tributaria regionale.
Più specificatamente, la Commissione tributaria regionale confermava l'assunto dei primi giudici, asserendo che l'ufficio illegittimamente aveva accertato "a carico del ricorrente quanto era autorizzato ad accertare a carico dello studio professionale", atteso che l'autorizzazione all'ispezione era stata rilasciata, dal procuratore della Repubblica, soltanto nei confronti dello studio professionale.

Contro la suddetta decisione l'Amministrazione finanziaria insiste in sede giurisdizionale chiedendo la cassazione della sentenza di appello.
Nella specie, l'ufficio censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che l'autorizzazione rilasciata dal procuratore della Repubblica, per accedere nello studio professionale, non fosse idonea a giustificare l'utilizzazione del materiale ivi rinvenuto e riferibile all'attività svolta dal cliente.

Ciò premesso, va rilevato che, a norma dell'articolo 52 del Dpr 633/72, "gli uffici Iva possono disporre l'accesso di impiegati dell'Amministrazione finanziaria nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta e per la repressione dell'evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l'accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell'ufficio da cui dipendono. Tuttavia, per l'accesso in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l'autorizzazione del procuratore della Repubblica".

La disposizione normativa richiamata, che si applica anche in materia di accertamento delle imposte sui redditi (cfr. articolo 33, primo comma, Dpr 600/73), si collega all'articolo 14 della Costituzione, il quale, dopo aver posto il principio dell'inviolabilità del domicilio, aggiunge nel secondo comma che non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.
Inoltre, il terzo comma del medesimo articolo 14, specifica che gli accertamenti e le ispezioni, per motivi di sanità o d'incolumità pubblica o a fini economici e fiscali, sono regolati da leggi speciali.

Il richiamo alle garanzie prescritte per la tutela della libertà personale rinvia all'articolo 13 della Costituzione, il quale, affermando l'inviolabilità di tale valore fondamentale della persona, dispone che essa non può essere ristretta, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
Ne consegue che il procuratore della Repubblica, nelle ipotesi previste dal citato articolo 52 del Dpr 633/72, è chiamato a comporre il conflitto tra esigenze istruttorie dell'ufficio finanziario e inviolabilità del domicilio.
In altri termini, l'autorità giudiziaria deve valutare, sulla scorta degli elementi che le vengono sottoposti dagli organi verificatori, se sussista una situazione tale, nel quadro descritto dalla citata disposizione normativa, da giustificare una restrizione o limitazione al diritto a quella inviolabilità spettante a uno o più soggetti.
Pertanto, una volta che tale valutazione sia stata effettuata, e abbia condotto a ravvisare gli estremi per autorizzare l'accesso, la successiva attività d'indagine e di acquisizione dei dati fiscalmente rilevanti non incontra nessun limite soggettivo.
In buona sostanza, il potere autorizzatorio attribuito al procuratore della Repubblica è finalizzato ad evitare che il diritto all'inviolabilità del domicilio possa essere limitato o ristretto senza un giustificato motivo o, peggio, in modo pretestuoso o strumentale.

Poste queste premesse, va evidenziato che, con la sentenza in rassegna (n. 19837 depositata il 12 ottobre 2005), la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall'ufficio finanziario, affermando che, nella fattispecie in esame, i giudici di appello si sono limitati a un richiamo acritico della decisione della Commissione tributaria provinciale, non avendo adeguatamente valutato il contenuto argomentativo della sentenza di primo grado, né l'iter decisionale, né le ragioni della conferma.

Invero, osservano i giudici di legittimità, "la motivazione di una sentenza per relationem ad altra sentenza, è legittima quando il giudice, riportando il contenuto della decisione evocata, non si limiti a richiamarla genericamente ma la faccia propria con autonoma e critica valutazione" (cfr. Cassazione n. 2196/2003; 1539/2003; n. 985/2000; n. 1069071999).
Nella specie, aggiunge la Corte suprema, la motivazione della sentenza di appello avrebbe dovuto essere ancora più puntuale, considerato, peraltro, che gli organi preposti alle verifiche e agli accertamenti, quando accedono legittimamente in un luogo, perché debitamente autorizzati, ben possono acquisire atti e dati riguardanti anche soggetti diversi dal titolare del domicilio nei cui confronti è stata chiesta e ottenuta l'autorizzazione.
Ciò, in quanto la ratio ispiratrice dell'articolo 52 del Dpr 633/73, non è quella di creare una sorta di immunità dalle indagini a favore di terzi, siano o meno conviventi con l'interessato, bensì quella di tutelare il diritto del soggetto nei cui confronti l'accesso viene richiesto, evitando che quel diritto sia compresso senza ragioni serie.

Invero, osservano i giudici di legittimità, per esigenze di coerenza interna del sistema tributario, "se fosse precluso agli organi verificatori, nel corso di accessi debitamente autorizzati, di prendere visione e, del caso, di acquisire atti e dati fiscalmente rilevanti nei confronti di terze persone (non menzionate nel provvedimento di autorizzazione), sarebbe agevole per il contribuente infedele sottrarre alle verifiche la propria documentazione fiscale, bastando a ciò il semplice accorgimento di conservarla presso un'altra persona".
In tal caso, "sarebbe aperto un grosso varco all'evasione, mentre il sistema tributario è mosso proprio dall'esigenza contraria diretta a potenziare gli strumenti di accertamento, in guisa da creare i presupposti per garantire l'osservanza dei doveri tributari imposti a tutti dall'art. 53 della Costituzione".

Pertanto, sulla base delle argomentazioni sopra evidenziate e considerato, peraltro, che la sentenza d'appello richiamava genericamente il contenuto della decisione di primo grado, senza dare "adeguata motivazione del percorso decisionale e delle ragioni che, in contrasto con i richiamati principi, giustificavano diverse conclusioni", la Corte di cassazione ha ritenuto legittima l'acquisizione e la successiva utilizzazione della documentazione fiscale relativa a una terza persona non menzionata nel provvedimento autorizzatorio di cui all'articolo 52 del Dpr 633/1972.

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