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Giurisprudenza

Accordi contro doppie imposizioni.Beneficiario effettivo ai raggi X

La norma convenzionale scatta sole se si dimostra che il percettore non è un mero collettore di compensi

La nozione di “beneficiario effettivo”, introdotta nel modello Ocse di convenzione contro le doppie imposizioni, deve essere intesa in senso “sostanziale” e non meramente “formale”. Sarà onere del contribuente che intende avvalersi della norma convenzionale agevolativa, pertanto, dimostrare che il percettore non svolge la funzione di mero collettore di compensi in realtà destinati ad altri soggetti, avendo invece piena autonomia (anche organizzativa) nell’attività economica da cui derivano i proventi e della quale si è assunto i relativi rischi imprenditoriali.   Questo l’importante principio di diritto espresso dalla Ctp di Torino con la sentenza n. 124/09/10 del 19 ottobre scorso, destinata a rappresentare, in ragione della chiarezza delle sue massime interpretative, un importante riferimento giurisprudenziale in relazione al fenomeno dell’abuso dei trattati internazionali (anche noto come “treaty shopping”) e alla applicazione della clausola convenzionale del “beneficiario effettivo”.   La vicenda La controversia nasce da una verifica fiscale nel corso della quale è emerso che, a fronte di un contratto per la concessione in uso di un determinato marchio, la società verificata (italiana) aveva corrisposto a una società lussemburghese (totalmente partecipata da altra compagine avente sede alle Bermuda) delle royalties, assoggettandole alla ritenuta agevolata del 10% in applicazione dell’articolo 12 della convenzione Italia – Lussemburgo (“I canoni provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato. Tuttavia tali canoni possono essere tassati nello Stato contraente dal quale essi provengono secondo la legislazione di detto Stato, ma se la persona che percepisce i canoni ne è il beneficiario effettivo, l’imposta così applicata non può eccedere il 10% dell’ammontare lordo dei canoni”).   L’ufficio ha contestato alla società italiana l’applicazione della aliquota ridotta del 10% in luogo di quella del 30%, prevista dall’articolo 25, comma 4, del Dpr 600/1973, ritenendo non provato che la società lussemburghese fosse il “beneficiario effettivo” delle royalties.   La società italiana ha proposto ricorso eccependo:
  • che era onere dell’ufficio provare la mancanza della qualità di beneficiario effettivo in capo alla società lussemburghese
  • che tale qualità risultava comunque pacifica in quanto la società percipiente era titolare del marchio dato in uso, il diritto immateriale – il cui uso era stato concesso in base a un contratto regolarmente stipulato - era regolarmente registrato in Lussemburgo, i proventi delle royalties corrisposte risultavano correttamente iscritti nel bilancio della società.
La sentenza. La Commissione tributaria provinciale di Torino ha respinto entrambi i motivi di ricorso, enunciando due principi destinati a rappresentare – anche per l’attualità della problematica affrontata – un importante riferimento giurisprudenziale nel panorama italiano.
In primo luogo, i giudici hanno sottolineato la natura agevolativa dell’articolo 12, comma secondo, della convenzione Italia – Lussemburgo, nella parte in cui consente di assoggettare i compensi alla ritenuta del 10%, affermando, di conseguenza, che compete alla società erogante che intende avvalersi di tale agevolazione dimostrare che il destinatario dei canoni in uscita sia il beneficiario effettivo degli stessi.   Ciò chiarito, la Ctp – riconoscendo le finalità antiabuso alla base dell’introduzione del “beneficiario effettivo” nelle convenzioni internazionali - ha ritenuto che le argomentazioni della società dimostravano semplicemente che la compagine lussemburghese fosse il “formale” percettore dei proventi in uscita, ma non consentivano di appurare che essa fosse, anche “sostanzialmente”,  titolare dei medesimi. Anzi, tale circostanza era da escludere in quanto, dagli atti di causa, era emerso che la società percipiente:
  • aveva acquisito gratuitamente – da altra società del gruppo – la titolarità del diritto all’uso e allo sfruttamento del marchio
  • non possedeva alcun bene materiale
  • disponeva di una ridottissima struttura operativa.
Tali condizioni strutturali (assenza di rischio di impresa e limitata organizzazione operativa) - unite al fatto che la destinataria risultava essere totalmente partecipata da altra società avente sede alle Bermuda – consentivano, quindi, a giudizio della Ctp di Torino - di ritenere che la società lussemburghese avesse solo formalmente percepito i compensi in uscita senza esserne il “beneficiario effettivo”.   Osservazioni La sentenza della Ctp di Torino esprime importanti considerazioni in ordine alla applicazione della clausola del beneficiario effettivo presente pressoché in tutti i trattati stipulati dall’Italia con altri Paesi, ma priva di una definizione nel modello Ocse.   In tale contesto la pronuncia si impone all’attenzione degli operatori del settore, in quanto fa proprio quell’orientamento – già maggioritario in dottrina – secondo il quale la locuzione “beneficiario effettivo”, innanzi tutto, deve intendersi quale autonomo concetto ai fini convenzionali e non necessita, pertanto, di essere interpretata alla luce della normativa interna degli stati contraenti. E invero, nell’individuare la portata applicativa di tale locuzione, i giudici hanno ribadito la necessità di attenersi alle linee guida fornite nel commentario al modello Ocse, nelle quali viene precisato che tale espressione non è utilizzata nella convenzione “in un’accezione tecnica e restrittiva” ma “deve essere intesa nel suo contesto e alla luce dello scopo e delle finalità della Convenzione, in particolare quello di evitare la doppia imposizione e prevenire l’evasione e l’elusione fiscale”, chiarendo altresì come “sarebbe contrario allo scopo e alle finalità della Convenzione che lo stato della fonte conceda uno sgravio o l’esenzione nei casi in cui un residente di uno stato contraente, seppure al di fuori dell’ambito di un rapporto di agenzia o fiduciario, agisca semplicemente come intermediario per altra persona che di fatto è beneficiaria del reddito in oggetto”.   In questo contesto, pertanto, i giudici piemontesi hanno sancito il principio di diritto per cui è da escludere “che il destinatario del pagamento delle royalties debba considerarsi beneficiario effettivo per il solo fatto di essere il percettore formale dei proventi, ben potendo questi essere niente di più che un intermediario attraverso il quale si realizza l’interposizione di un diverso soggetto, al quale è sostanzialmente destinato il beneficio. A tal fine appare rilevante stabilire se la società che percepisce i canoni … abbia piena autonomia anche organizzativa nell’attività economica da cui derivano i proventi e se ne sia assunta i relativi rischi imprenditoriali oppure se non svolga una mera funzione di collettore di proventi in realtà destinati ad altri soggetti: circostanza quest’ultima che potrebbe risultare  avvalorata dal fatto di essere controllata al 100% da un unico azionista”.   Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, sarà quindi onere del contribuente che intende avvalersi della clausola convenzionale agevolativa accertare, caso per caso, la sussistenza dello status di beneficiario effettivo in capo al percettore dei compensi, avendo cura di verificare che sussistano elementi atti a dimostrare che questi non operi quale mero collettore di proventi in realtà destinati ad altri soggetti, ma abbia la disponibilità concreta e attuale di tale reddito ossia il potere di deciderne l’utilizzo economico.
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