Al secondo acquirente di un bene che, in una fase precedente all’acquisto, è stato oggetto di un’operazione fraudolenta deve essere negato integralmente il diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte, nel caso in cui sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’acquisto in parola era collegato a un’evasione. Questo il principio espresso dalla Corte di giustizia europea con la sentenza resa nella causa C 596/2021 di 24 novembre 2022.
La fattispecie e le questioni pregiudiziali
La domanda di pronuncia pregiudiziale relativa alla controversia in commento verte sull’interpretazione degli articoli 167, 168 e 178 della direttiva n. 2006/112/Ce sull’Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone un contribuente alla amministrazione fiscale tedesca in relazione ad un diniego del diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte a fronte dell’acquisto di un veicolo.
Tale contribuente, un commerciante, ha acquistato da C, che asseriva di essere W, un autoveicolo usato per la sua impresa. W sapeva che C si faceva passare per lui e vi acconsentiva. C ha fatturato nei confronti di W un importo per la cessione dell’autoveicolo controverso, mentre W ha successivamente fatturato nei confronti del ricorrente nel procedimento principale un ulteriore importo. W ha consegnato tale fattura a C, il quale, a sua volta, l’ha trasmessa al ricorrente nel procedimento principale.
La questione controversa che è quindi sorta è pervenuta alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue alcune questioni.
La prima questione
Con la sua prima questione, il giudice ‘a quo’ chiede, in sostanza, se gli articoli 167 e 168 della direttiva n. 2006/112, letti alla luce del principio del divieto di frode, debbano essere interpretati nel senso che al secondo acquirente di un bene può essere negato il beneficio della detrazione dell’Iva assolta a monte se quest’ultimo sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che tale acquisto era collegato a un’evasione dell’Iva commessa dal venditore iniziale all’atto della prima vendita, anche qualora il primo acquirente avesse, a sua volta, conoscenza di tale evasione.
Il semplice fatto che un soggetto passivo abbia acquistato beni o servizi quando sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con tale acquisto, partecipava a un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’Iva, commessa a monte nella catena delle cessioni o prestazioni, è considerato, ai fini della direttiva n. 2006/112, come una partecipazione a tale evasione.
Il solo atto positivo determinante per fondare un diniego del diritto a detrazione in una tale situazione è l’acquisto di tali beni o servizi. Tale acquisto agevola l’evasione, permettendo lo smercio dei prodotti, ed è sufficiente a determinare il diniego del diritto alla detrazione dell’Iva assolta.
Da ciò deriva che, qualora sia dimostrato che il secondo acquirente sapeva o avrebbe dovuto avere conoscenza dell’esistenza di un’evasione dell’Iva commessa dal venditore iniziale, il fatto che anche il primo acquirente del bene fosse a conoscenza dell’evasione commessa dal venditore iniziale e l’abbia agevolata non osta a che al secondo acquirente possa essere negato il beneficio della detrazione dell’Iva assolta in occasione di un’operazione interessata da tale evasione o effettuata a valle di quest’ultima.
La Corte Ue perviene pertanto alla conclusione che gli articoli 167 e 168 della direttiva n. 2006/112, letti alla luce del principio del divieto di frode, devono essere interpretati nel senso che al secondo acquirente di un bene può essere negato il beneficio della detrazione dell’Iva assolta a monte, in ragione del fatto che egli sapeva o avrebbe dovuto avere conoscenza dell’esistenza di un’evasione dell’Iva commessa dal venditore iniziale all’atto della prima vendita, anche se il primo acquirente aveva, a sua volta, conoscenza di tale evasione.
La seconda questione
Con la sua seconda questione, il giudice ‘a quo’ chiede, in sostanza, se gli articoli 167 e 168 della direttiva n. 2006/112, letti alla luce del principio del divieto di frode, debbano essere interpretati nel senso che al secondo acquirente di un bene che, in una fase precedente a tale acquisto, sia stato oggetto di un’operazione fraudolenta relativa soltanto a una parte dell’Iva che lo Stato ha diritto di riscuotere, può essere negato il diritto alla detrazione dell’Iva assolta a titolo di tale operazione, integralmente oppure fino a concorrenza del solo importo oggetto dell’evasione commessa che ha determinato il danno tributario, se egli sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’acquisto in parola era collegato a un’evasione.
La Corte Ue, sulla base di un consolidato orientamento, ritiene che il beneficio del diritto alla detrazione dell’Iva deve essere negato non soltanto quando un’evasione sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’Iva.
Infatti, un tale soggetto passivo deve essere considerato, ai fini della direttiva n. 2006/112, partecipante all’evasione, e ciò a prescindere dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da esso effettuate a valle, dato che in tale situazione il soggetto passivo collabora con gli autori dell’evasione e ne diviene complice.
D’altro lato, il diniego del diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte dal ricorrente nel procedimento principale deve essere considerato distinto dalle sanzioni che lo Stato membro può prevedere in conformità all’articolo 273 della direttiva n. 2006/112.
Coerentemente con il regime armonizzato dell’Iva, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che il diritto viene invocato in modo fraudolento o che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti o forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere, se avesse effettuato le verifiche che possono essere ragionevolmente richieste a qualsiasi operatore economico, che l’operazione a cui partecipava era collegata a un’evasione.
Poiché quindi l’ignoranza dell’esistenza di un’evasione nell’ambito di un’operazione che dia diritto alla detrazione costituisce un presupposto sostanziale implicito del diritto alla detrazione, al soggetto passivo che non soddisfa tale presupposto deve essere negato integralmente l’esercizio del diritto alla detrazione.
Diversamente, l’obiettivo di negare il diritto alla detrazione quando il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione era parte di una frode non sarebbe efficacemente perseguibile qualora il diniego del diritto alla detrazione fosse limitato in proporzione alla sola quota delle somme versate a titolo dell’IVA dovuta corrispondente all’importo oggetto dell’evasione, in quanto, in tal modo, i soggetti passivi sarebbero indotti unicamente ad adottare le misure idonee a limitare le conseguenze di un’eventuale evasione, ma non quelle che consentirebbero di assicurarsi che le operazioni da essi effettuate non li conducano a partecipare a un’evasione fiscale o ad agevolarla.
La Corte Ue quindi perviene alla conclusione che gli articoli 167 e 168 della direttiva n. 2006/112, letti alla luce del principio del divieto di frode, devono essere interpretati nel senso che al secondo acquirente di un bene che, in una fase precedente a tale acquisto, sia stato oggetto di un’operazione fraudolenta relativa soltanto a una parte dell’Iva che lo Stato ha diritto di riscuotere deve essere negato integralmente il diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte, se egli sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’acquisto in parola era collegato a un’evasione.
Data sentenza
24 novembre 2022
Numero sentenza
Causa C 596 2021
Nome delle parti
A
contro
Finanzamt M,