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Giurisprudenza

Addio al bonus “prima casa”
se la residenza è fuori tempo

Inutile appellarsi ai “tentennamenti” del Comune, la normativa non ammette i ritardatari, e i contratti di utenza domestica non dimostrano l’effettivo trasferimento dell’acquirente

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La Corte di cassazione è tornata ancora una volta a occuparsi di agevolazioni per l’acquisto della “prima casa” e, con la sentenza 11614 del 15 maggio, ha stabilito che non spetta alcun beneficio se il contribuente non stabilisce la residenza nel comune dove si trova l’immobile entro un anno dalla stipula del contratto d’acquisto (come stabilito dalla legge n. 549/1995, vigente all'epoca dei fatti). E’ irrilevante che l’istanza sia stata presentata entro i termini di legge e che il Comune l’abbia inizialmente respinta.
 
I fatti del processo
A seguito di atto d’acquisto della proprietà di un alloggio e di un box auto, la contribuente fruiva delle agevolazioni fiscali “prima casa” (imposta di registro al 3% e imposte ipotecaria e catastale in misura fissa), ma l’ente impositore le notificava successivamente un avviso di liquidazione per il recupero dei benefici indebitamente fruiti, atteso che l’interessata non aveva stabilito la residenza nel comune di ubicazione dell’immobile, all’epoca nel termine di un anno dall’atto di acquisto, come previsto dalla norma quale condizione legittimante del bonus.
 
La contribuente deduceva in opposizione di avere presentato regolare richiesta di residenza entro i tempi stabiliti dalla normativa e che tale istanza, in un primo tempo rigettata, era stata poi accolta, ma quando ormai era decorso l’anno dalla data del rogito. Al fine di certificare la condizione vantata, la ricorrente produceva in giudizio varia documentazione (contratto dell’energia elettrica, del gas e della tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani).
 
La Commissione tributaria regionale, pur avendo constatato la mancanza della tempestiva concessione della residenza, rigettava l’appello dell’ufficio affermando che la richiedente aveva dato prova sia di avere richiesto entro l’anno la residenza, sia di averla effettivamente trasferita.
 
L’ente impositore proponeva susseguente ricorso per cassazione e, nell’instare per la declaratoria di decadenza dall’agevolazione, formulava i quesiti di diritto:
 
  • se possa ritenersi soddisfatta la condizione stabilita dalla nota II-bis), comma 1, lettera a), della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, come sostituita dall’articolo 3, comma 131, della legge 549/1995, nel caso in cui la residenza risulti anagraficamente stabilita dopo la scadenza del termine di un anno dall’acquisto dell’immobile
  •  se a questo fine possano assumere rilevanza eventuali circostanze di fatto, in contrasto con le risultanze anagrafiche, che possano far ipotizzare che la residenza fosse in concreto già trasferita presso l’immobile alla data di scadenza dell’atto.
 
La decisione
Dando riscontro negativo ai quesiti prospettati, la Corte suprema accoglie il ricorso, riconfermando il consolidato principio secondo cui nessuna agevolazione fiscale “prima casa” compete se il contribuente non stabilisce la residenza nel Comune dove si trova l’immobile entro un anno dalla stipula del contratto d’acquisto. E ai fini del beneficio non rileva neppure l’intestazione delle utenze (cfr Cassazione, sentenza 12050/2010), perché ciò che conta è l’effettiva utilizzazione dell’immobile come residenza nei previsti termini di legge; ciò anche in rapporto alle ineludibili esigenze di celerità e certezza nell’applicazione dell'agevolazione.
Al riguardo, non può reggere l’ipotesi del “disguido” da addebitare alla struttura del Comune, soprattutto perché nessuna rilevanza può attribuirsi all’“eventuale ottenimento della residenza oltre il termine fissato” se, come in questo caso, “una domanda di trasferimento della residenza anteriormente (e in termini)” è stata formulata dal contribuente, con “rigetto da parte del Comune”. Sicché, la seconda risposta positiva dell’ente non vale a “salvare” l’invocata agevolazione (che è di stretta interpretazione: vedi Cassazione, sentenze 6905/2011 e 5570/2011), rimettendo in termini il contribuente.
 
Nell’ottica delineata dalla sentenza in esame, è stato più volte affermato in sede di legittimità (cfr Cassazione, sentenza 8377/2001, 26115/2005, 4628/2008, 14399/2010 e 1530/2012) che, ai sensi dell’articolo 2 della legge 118/1985, condizione per il riconoscimento del beneficio previsto è che l’immobile sia ubicato nel comune in cui l’acquirente ha la residenza anagrafica; non può riconoscersi alcuna rilevanza giuridica alla realtà fattuale, ove in contrasto con il dato anagrafico, né al successivo ottenimento della residenza.
 
Peraltro, questo quadro non può essere modificato – chiarisce il giudice di legittimità – neppure dal richiamo della contribuente alla “stipula dei contratti dell’energia elettrica, del gas e della denunzia ai fini della tassa sulla spazzatura”, soprattutto perché questi elementi sono necessari anche “per soggetti non residenti, e, quindi, non dimostrano affatto l’effettivo trasferimento della residenza, neanche nel senso di fissazione della propria dimora abituale nell’immobile acquistato”.
 
Anche a questo riguardo è stata rilevata l’erroneità della sentenza della Commissione regionale che, facendo riferimento alla sussistenza di una bolletta di energia elettrica e a una dichiarazione delle forze dell’ordine oggettivamene generica, non dia conto dell’iter logico seguito e dei concreti elementi, utilizzati nel percorso decisionale, per giungere ad affermare il trasferimento di residenza (Cassazione, sentenza 271/2013).
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