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Giurisprudenza

Agire in linea con la “prassi”
salva solo da sanzioni e interessi

Al contribuente è consentito assumere una condotta fiscale ispirata all’interpretazione contenuta negli atti interni ma, se questa cambia, l’eventuale accertamento è legittimo

Le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi, per cui, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’articolo 10, comma 2, della legge 212/2000. Il legittimo affidamento del contribuente, infatti, non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 12635 del 19 maggio 2017, rigettando il ricorso di una contribuente.
 
L’iter processuale e la pronuncia
La vicenda riguardava un avviso d’accertamento notificato a una banca con cui l’Agenzia delle Entrate disconosceva le agevolazioni di cui all’articolo 6 del Dpr 601/1973, accertando l’omessa effettuazione di ritenute alla fonte sugli utili distribuiti alla fondazione bancaria: il tutto, per mancata ricorrenza dei presupposti del beneficio, consistenti nell’esercizio esclusivo di attività di interesse pubblico o di utilità sociale.
Il contenzioso sulla questione derivava dal fatto che le fondazioni bancarie, pur essendo chiamate a svolgere (anche in virtù della loro veste giuridica) attività aventi finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, di fatto si trovavano a operare come holding, in quanto chiamate a gestire le partecipazioni derivanti dal conferimento dell’azienda bancaria nell’ambito di società per azioni.
 
Sul punto, si ricorda che dopo una prima serie di pronunce favorevoli alle fondazioni (cfr Cassazione n. 6607/2002, in base alla quale bisognava riconoscere le finalità di interesse pubblico e di utilità sociale delle attività svolte nei settori della ricerca scientifica, dell’arte e della sanità rispetto alle quali l’amministrazione della partecipazione bancaria – attività non avente di per sé natura commerciale – aveva soltanto funzione strumentale), il punctum dolens si spostava sull’assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto richiedente l’agevolazione che, in concreto, doveva dimostrare lo svolgimento di attività meritevoli dello sconto fiscale (anche per non incorrere nella violazione della normativa comunitaria sugli aiuti di Stato nei confronti di soggetti esercenti attività commerciale).
 
I giudici d’appello nella loro decisione hanno richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, espresso a sezioni unite prima con la sentenza n. 27619/2006, poi con la n. 1576/2009, secondo cui:
  • il riconoscimento a favore delle fondazioni bancarie di agevolazioni fiscali (esenzione da ritenuta sui dividendi piuttosto che riduzione al 50% dell’imposta sui redditi) è subordinato alla prova, posta a carico del soggetto che invoca l’agevolazione, dell’effettivo perseguimento in via esclusiva di scopi di beneficenza, educazione e ricerca scientifica, rispetto ai quali la gestione di partecipazioni nelle imprese bancarie assume un ruolo non prevalente e comunque strumentale all’ottenimento delle necessarie risorse economiche
  • l’attività della fondazione non deve presentare i connotati dell’azione imprenditoriale, essendo escluso il carattere di impresa commerciale solo dalla previsione, statutaria o legale, dell’esclusività degli scopi di utilità sociale e dalla dimostrazione che tale attività sia stata effettivamente svolta e che la fondazione non abbia alcuna possibilità di influire, quale azionista maggioritario o in virtù di patti parasociali, sulla gestione della banca conferitaria o di altre imprese da essa partecipate. 
Nel caso in esame, non era stata fornita la prova che l’attività svolta in concreto dalla fondazione in questione fosse riconducibile ai modelli legislativi invocati per beneficiare dell’agevolazione richiesta: di conseguenza, i giudici hanno confermato la legittimità dell’avviso d’accertamento, disapplicando le sanzioni perché la contribuente aveva conformato il proprio comportamento a un parere reso dall’Ispettorato compartimentale delle imposte dirette del Lazio.
 
Con il ricorso in Cassazione la contribuente denunciava, tra l’altro, la violazione o falsa applicazione dell’articolo 10 della legge 212/2000, ritenendo che i giudici di appello, pur riconoscendo la sussistenza del legittimo affidamento della contribuente, hanno erroneamente limitato la tutela della contribuente alla disapplicazione delle sanzioni, mentre avrebbero dovuto annullare l’intero avviso di accertamento.
 
La Cassazione, nel rigettare il ricorso, conferma il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, commi 1 e 2, l'esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all'inadempimento colpevole dell'obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall'obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi” (cfr Cassazione nn. 10195/2016, 5934/2015 eccetera). Ciò in quanto le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi e, pertanto, qualora il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’amministrazione finanziarla, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Al rigetto del ricorso è conseguita la condanna della contribuente alla rifusione delle spese di lite.
 
Osservazioni
Il principio del legittimo affidamento richiede che venga tutelata l’aspettativa legittima di una conseguenza giuridica in favore del soggetto che abbia tenuto un determinato comportamento affidandosi alla prevedibilità dei dati giuridici conoscibili; in questa prospettiva, il principio del legittimo affidamento si pone come un corollario del principio di certezza giuridica.
Tale postulato trova un chiaro riconoscimento nell’ordinamento comunitario (perlomeno secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia), venendo riconosciuto che i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento ricoprono un fondamentale ruolo di garanzia per i cittadini, degli Stati membri e delle istituzioni europee.
In sostanza, questi principi valgono ad assicurare la conoscibilità e, soprattutto, la prevedibilità della disciplina applicabile per assicurare agli operatori sul mercato la sicurezza giuridica dei comportamenti da tenere in concreto.
 
Per quanto concerne i documenti di prassi emessi dalla pubblica amministrazione, tali atti sono potenzialmente idonei a suscitare l’affidamento dei cittadini – e dunque, in ambito fiscale, dei contribuenti e degli altri soggetti coinvolti nell’attuazione dei tributi – in ordine alle direttive formulate.
Ne discende che, laddove gli atti di indirizzo – e segnatamente le circolari, le note e le risoluzioni – forniscano una interpretazione di norme tributarie, essi possono determinare l’affidamento dei contribuenti circa la prevedibile attuazione della disciplina tributaria in senso conforme.
Pertanto, il contribuente può ragionevolmente assumere una condotta fiscale che risulti ispirata al rispetto dell’interpretazione contenuta negli atti di indirizzo dell’amministrazione finanziaria, confidando nel mantenimento di tale interpretazione anche in eventuali accertamenti tributari avviati a suo carico.
L’adeguamento del contribuente all’interpretazione fornita dall’atto di indirizzo non vale, però, a escludere l’emissione di un atto impositivo che si allinei a diversa interpretazione giuridica.
 
L’esigenza di tutelare la buona fede e l’affidamento del contribuente impone, tuttavia, di escludere l’irrogabilità di sanzioni, stante l’evidente mancanza dell’elemento soggettivo della trasgressione (e cioè il dolo o la colpa) in presenza di un adeguamento all’indirizzo amministrativo.
Le imposte risultano, comunque, dovute in virtù del principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria: una diversa interpretazione si risolverebbe in una incongruente e discriminatoria ripartizione in capo alla collettività di un peso fiscale diversamente riferibile ai singoli, in contrasto anche con quanto statuito nell’articolo 23 della Carta costituzionale in tema di fonte legale dell’obbligazione tributaria.
 
Questa impostazione è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza, secondo cui l’articolo 10, comma 2, della legge 212/2000, nel tutelare l’affidamento del contribuente che si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, limita gli effetti di tale tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria, diversamente dall’articolo 11 della medesima legge, il quale, nel disciplinare il caso in cui il contribuente si sia adeguato a un esplicito responso dell’amministrazione finanziaria, motivatamente espresso in esito alla particolare procedura dell’interpello, prevede la nullità degli atti impositivi che siano in contrasto con l’esito dell’interpello (cfr Cassazione, sentenza 15224/2012). Su tale questione la suprema Corte non fa che confermare il proprio orientamento espresso con le sentenze nn. 19479/ 2009 e 21070/2011.
Nello specifico, con la prima pronuncia, la Cassazione sostiene che l’espressa previsione della nullità degli atti impositivi che siano in contrasto con l’esito dell’interpello, disciplinata nell’articolo 11 dello Statuto del contribuente, dimostra che, se nel precedente articolo 10 lo stesso legislatore non ha previsto un’analoga statuizione, non può che averlo fatto intenzionalmente (ubi lex voluti dixit, ubi noluit tacuit).

Con l’altra sentenza viene ribadito che l’articolo 10 limita gli effetti della tutela dell’affidamento alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi moratori, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria, cioè la disciplina dell’articolo 10 “si differenzia da quanto previsto dall'art. 11 della stessa legge, che, con la disposizione posta al termine del secondo comma, deroga al principio generale di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, vincolando l'Amministrazione alla posizione assunta nella risposta resa all'interpello del contribuente anche in ordine debenza del tributo”.
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