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Giurisprudenza

Agli utili distribuiti da società extra Ue, si applica l’aliquota ordinaria o ridotta?

A questo interrogativo ha risposto la Corte Ue con la sentenza emanata oggi in materia di libera circolazione dei capitali

La controversia in esame, promossa da un amministratore di una società di capitali con sede in Austria, riguarda la conformità delle disposizioni vigenti della legge fiscale austriaca in materia di imposta sui capitali agli articoli 56, 57 e 58 del Trattato Ce. La Corte di Giustizia delle Comunità europee si è pronunziata in data odierna (24 maggio 2007) sulla corretta interpretazione del combinato disposto degli articoli 56 e 57 e 58 del Trattato CE in materia di libera circolazione dei capitali. Le disposizioni in questione sono volte a garantire l’effettività della realizzazione del mercato unico in ambito Ue attraverso la rimozione di qualsiasi tipo di ostacolo, normativo o burocratico, che può compromettere l’esercizio delle principali libertà di movimento (persone) e circolazione (beni, capitali) garantite dal legislatore comunitario.

L’oggetto della controversia
La controversia in esame, promossa da un amministratore di una società di capitali avente sede in Austria, concerne, appunto, la conformità, con i predetti articoli del Trattato Ce, delle disposizioni vigenti nell’ambito della legge fiscale austriaca in materia di imposta sui capitali. In particolare, si rappresenta che il ricorrente, il signore Holbock, è amministratore di una società di capitali (la Cbs Cosmetic Business System, operante nel settore dei cosmetici) le cui quote sociali sono interamente detenute dalla Cbs Conmeth Business System con sede in Svizzera. Il signor Holbock possiede una partecipazione azionaria in questa società che è pari ai due terzi del capitale sociale. Tali partecipazioni hanno prodotto utili nel periodo 1992-1996. Questi utili sono stati tassati nello Stato di residenza del detentore (Austria) come redditi di capitale applicando, secondo la normativa allora vigente, l’aliquota piena dell’imposta sul reddito.

La posizione dell’Amministrazione fiscale austriaca
L’autorità fiscale austriaca, sussistendo il fondato timore del mancato assolvimento del tributo, ha ordinato, mediante decreto, la costituzione sul patrimonio del ricorrente di una fideiussione a copertura del debito tributario. Tale decreto è stato prontamente impugnato dal signor Holbock il quale ha eccepito la violazione del citato articolo 56 del Trattato che vieta qualsiasi restrizione ai movimenti di capitale (distribuzione di dividendi) non soltanto in area Ue, ma anche tra l’Unione europea e i Paesi terzi (come la Svizzera).

Le motivazioni del ricorrente
Il ricorrente ha denunziato, in particolare,  l’illegittimità degli articoli 37 e seguenti della normativa austriaca in materia di imposta sul reddito in quanto gli stessi dispongono l’applicazione di  un’aliquota dimezzata per gli utili percepiti da un residente e distribuiti da una società austriaca mentre assoggettano all’aliquota ordinaria i dividendi distribuiti ai residenti da società di capitali straniere. Tale disciplina è, a parere del ricorrente, chiaramente discriminatoria e, pertanto, si pone in aperta violazione del Trattato.

Il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione
L’autorità giurisdizionale nazionale, investita della questione, ha preferito devolvere la definizione alla Corte di Giustizia della Comunità europea per verificare se la legislazione fiscale austriaca fosse in concreta lesiva delle libertà garantite dal legislatore comunitario. I giudici comunitari, nel definire la questione, hanno rilevato che le disposizioni oggetto del giudizio svolgono un effetto sicuramente dissuasivo nei riguardi degli investitori austriaci, certamente disincentivati dall’investire in società stabilite in paesi extra Ue; ciò si riverbera negativamente sulla possibilità per tali enti di raccogliere capitali in Austria proprio per il differente trattamento fiscale cui sono assoggettati gli utili distribuiti da società straniere. Tuttavia, osserva la Corte, l’articolo 57 del Trattato introduce una deroga al divieto di restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri e Paesi terzi enunciato dall’articolo 56. In particolare l’articolo 56 consente ai Paesi membri di mantenere, nei confronti dei Paesi terzi, qualsiasi restrizione prevista dalle legislazioni nazionali in vigore al 31 dicembre 1993 e riguardante "i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o a loro diretti, che implichino investimenti diretti, inclusi gli investimenti immobiliari o ( ed è il caso in esame ) l'ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari".

La nozione di investimento diretto
Il problema interpretativo si sposta, di conseguenza, sulla definizione della nozione "investimenti diretti" per verificare se la partecipazione detenuta dal ricorrente (pari a due terzi) nel capitale sociale della società svizzera fosse suscettibile di essere qualificata come tale e, di conseguenza, possa ricadere nell’eccezione prevista dal citato articolo 57. La Corte rammenta, a tal proposito, che la legislazione comunitaria include nella nozione di "investimenti diretti" gli investimenti, di qualsiasi genere e da chiunque effettuati, il cui scopo è stabilire o mantenere legami diretti e stabili tra il finanziatore e l’impresa cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività economica. È evidente che l’obiettivo di cui sopra può realizzarsi a condizione che la partecipazione detenuta sia tale da consentire all’azionista l’esercizio di un controllo sulla gestione societaria. Ora, poiché nella deroga prevista dall’articolo 57 del Trattato rientrano le restrizioni in vigore negli Stati membri al 31 dicembre 1993 concernenti non soltanto i movimenti di capitale destinati o provenienti da Paesi terzi ma anche, come nel caso di specie, i provvedimenti che colpiscono in maniera più onerosa i pagamenti di dividendi derivanti dai predetti investimenti, non c’è ragione di escludere dalla deroga in parola la normativa austriaca. Infatti, la restrizione in esame colpisce le partecipazioni detenute dal ricorrente nella società svizzera. Queste partecipazioni, considerata la loro entità, gli consentono di creare e mantenere  legami economici durevoli e diretti tra l’azionista e la società e, ben a ragione, rientrano nella nozione di investimenti diretti.

Le conclusioni
Pertanto, poiché le restrizioni imposte dalla legislazione austriaca sui dividendi percepiti da società residenti in Paesi extra Ue erano in vigore al 31 dicembre 1993, a parere della Corte esse rientrano di diritto nella previsione "derogatoria" del citato articolo 57 Ce. Di conseguenza, la maggiore tassazione prevista per i proventi di capitale consistenti in dividenti di provenienza extra Ue, pur risolvendosi, di fatto, in un trattamento discriminatorio e lesivo della libertà di circolazione dei capitali, può essere legittimamente mantenuta in quanto sussistono le condizioni  previste dall’articolo 57.
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