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Giurisprudenza

Al Tar le liti fra enti locali e società miste

Accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi rappresentano svolgimento di servizio pubblico

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Le attività di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi locali, anche se svolte da società miste, cui il Comune ha affidato il relativo incarico, ai sensi dell'articolo 52 del Dlgs 446/1997, costituiscono svolgimento di servizio pubblico, con conseguente devoluzione delle relative controversie alla competenza del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato è recentemente intervenuto sull'argomento (sentenza n. 3672 dell'8 febbraio 2005, depositata il 1° luglio 2005), fornendo tale importante precisazione, dopo aver operato un'articolata critica della nozione generale di "concessione di pubblico servizio", anche alla luce della normativa comunitaria in materia.

La sentenza, ben articolata e ampiamente motivata, merita di essere segnalata perché interviene su una problematica di particolare attualità, avuto riguardo al fatto che - sempre più spesso - i Comuni scelgono di affidare a terzi le attività di accertamento, liquidazione e riscossione dei propri tributi. In effetti, l'accresciuta responsabilità economica assegnata agli enti territoriali in molti settori della vita economica e sociale - tenuto conto dei rilevanti cambiamenti, anche normativi, avvenuti - li pone nella condizione di dover reperire le risorse, indispensabili a mantenere (e, in prospettiva, a potenziare) i livelli di servizi erogati ai cittadini.

A tali nuove esigenze è possibile far fronte anche e soprattutto attraverso l'utilizzo della leva fiscale, che permette l'implementazione delle risorse economiche delle diverse municipalità, che tali enti dovranno provvedere a raccogliere presso i propri cittadini in misura certamente superiore rispetto al passato, quando il ruolo dei trasferimenti statali era prevalente. In tale ottica, gli enti locali hanno ormai imparato a non circoscrivere l'utilizzo delle strategie fiscali ai soli interventi sulle aliquote e tariffe, provvedendo a incentivare e meglio organizzare anche le attività di accertamento e riscossione dei tributi, sicuramente più appaganti dal punto di vista della tutela della collettività e di incremento del gettito tributario.

In tal modo, l'attività di organizzazione e pianificazione svolta dall'Agenzia delle Entrate nell'ambito della fiscalità erariale viene, per certi versi, "replicata" in sede locale, da parte degli 8.200 Comuni esistenti, sia per mezzo della gestione diretta dei tributi locali, ma anche attraverso l'esternalizzazione dei servizi fiscali, affidati a partner scelti attraverso il ricorso alle procedure previste dall'articolo 52 del Dlgs 446/1997. Così delineato lo scenario di riferimento, è agevole individuare la rilevanza del pronunciamento del Consiglio di Stato e l'attualità del tema trattato.

La vicenda
La vicenda processuale prende le mosse dalla controversia instauratasi fra una società a prevalente partecipazione privata (60 per cento del capitale) e un Comune che aveva affidato a tale soggetto esterno, nel 1995, la realizzazione e la gestione di un'anagrafe tributaria comunale, con personale specializzato e tecnologie avanzate e successivamente, nel 1998, la gestione di tutti i tributi comunali, con monitoraggio dell'evasione e pianificazione finanziaria. Nel 1999 veniva richiesto al ministero delle Finanze un parere circa la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali per ritenere conforme all'ordinamento detta società mista, anche alla luce delle norme contenute nell'articolo 52 del Dlgs 446/1997 in tema di affidamento dei servizi fiscali a soggetti terzi. La direzione centrale per la Fiscalità locale evidenziò come, pur nelle more dell'istituzione dell'Albo dei soggetti gestori, di cui al successivo articolo 53 del Dlgs 446/1997 "risultasse evidente la totale mancanza dei requisiti prescritti dalla normativa vigente da parte della società" reputandosi "la costituzione della società mista in questione... del tutto illegittima, con la conseguenza che la eventuale attività deve essere considerata, fin dall'inizio, svolta senza titolo".
Al fine di rimuovere le ragioni di illegittimità rappresentate nel parere ministeriale e rilevandosi anche profili di sostanziale onerosità della gestione affidata alla società mista, rispetto alla gestione diretta, il Comune dispose l'annullamento in autotutela degli atti amministrativi e politici con i quali era stata avviata la collaborazione con la società mista e stipulata la relativa convenzione per l'affidamento dei servizi fiscali. Per far valere le proprie ragioni e ottenere la declaratoria della nullità/annullabilità della convenzione, il Comune proposte ricorso al Tar, ottenendo un pronunciamento a esso favorevole. L'appello proposto dalla società innanzi il Consiglio di Stato pone, come questione pregiudiziale, il difetto di giurisdizione, sul quale ampiamente e preliminarmente si pronuncia il giudice del riesame, concludendo per l'infondatezza della questione, alla luce delle seguenti osservazioni.

Il pronunciamento
Il punto focale del presente contenzioso amministrativo mira a decifrare se l'attività affidata in convenzione dal Comune sia qualificabile come "pubblica funzione" (e, quindi, integri una "concessione di pubblico servizio"), ovvero si limiti a un "appalto di servizi", circoscritto in un rapporto convenzionale di natura esclusivamente bilaterale (tra amministrazione e soggetto affidatario), in quanto non diretto a soddisfare alcuna esigenza della collettività locale di riferimento e unicamente finalizzato ad ausiliare la pubblica amministrazione committente.

Facendo proprie le osservazioni del Tar, anche il giudice del riesame rileva che, in effetti, "alla società appellante vennero affidati non soltanto compiti di mero censimento anagrafico a fini fiscali, bensì tutte le attività preparatorie relative alla gestione dei tributi comunali (poteri istruttori e di verifica, di liquidazione e di predisposizione degli atti di accertamento), con unica salvezza della firma degli atti a rilevanza esterna (ossia degli atti di accertamento), demandata al responsabile del servizio, in doverosa applicazione delle pertinenti disposizioni tributarie".
Pertanto il Consiglio di Stato, richiamandosi al chiaro tenore del quinto comma dell'articolo 52 del Dlgs 446/1997, ha dissipato ogni dubbio relativo alla giurisdizione del giudice amministrativo, posto che la disposizione indubbiamente disciplina una forma di affidamento di un servizio pubblico, anche alla luce del recente intervento di riforma dell'articolo 33 del Dlgs 80/1998, per come riscritto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204/2004.

Ulteriori conferme verso tale convincimento scaturiscono dalla considerazione che "l'affidamento di un servizio pubblico ad una società mista, seppure costituente un modello apparentemente alternativo alla "concessione" (intesa nel senso ristretto e formalistico di "provvedimento" costitutivo, traslativo o derivativo-costitutivo), a ben riflettere non si pone in radicale antitesi con il più generale e variegato fenomeno, in uno organizzatorio ed autoritativo, di tipo concessorio, qualora i tratti distintivi di quest'ultimo siano ricostruiti interpretando i dati del diritto interno, al lume del formante comunitario".
In tal senso, appare significativo il riferimento al "Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto degli appalti pubblici e delle concessioni", presentato dalla Commissione europea a Bruxelles il 30 aprile 2004, secondo cui appartengono a tale partenariato ("PPP") tutte le forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese, che mirino a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio.

Come riferisce il Consiglio di Stato, l'organismo comunitario ha distinto due tipi di partenariato: quello puramente contrattuale, basato su legami contrattuali tra i vari soggetti (riconoscibile nell'appalto e nella concessione di lavori pubblici), e quello "istituzionalizzato", cui va ascritta la concessione di servizi che implica una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato e che "si attua mediante la creazione di un'entità distinta, in genere un'impresa compartecipata dal pubblico e dal privato (quest'ultimo da scegliersi in base a procedure selettive), investita della precipua mission di assicurare la fornitura di un'opera o di un servizio".

I giudici di Palazzo Spada, pertanto, concludono che la convenzione stipulata dal Comune aveva a oggetto attività di pubblico servizio e che, soprattutto, "essa perfezionava un rapporto concessorio, regolato dalla convenzione successivamente stipulata, la cui fattispecie costitutiva - a formazione progressiva - si era realizzata attraverso il modello dell'affidamento diretto ad una società mista".
Tali conclusioni consentono di assegnare le controversie in esame alla giurisdizione del giudice amministrativo, soprattutto alla luce della dimostrata coerenza delle stesse "con la tendenza, ormai in atto da decenni e sempre più accelerata dalle suggestioni interne e comunitarie (v. le modifiche all'art. 11 della legge n. 241/1990, apportate dalla recente L. n. 15/2005), verso la progressiva 'contrattualizzazione' e la parallela 'detipicizzazione' dei rapporti concessori".

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